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Truffa aggravata reddito di cittadinanza: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22640/2025, ha stabilito che presentare false dichiarazioni per ottenere il reddito di cittadinanza configura il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640-bis c.p.) e non il meno grave illecito specifico. Secondo la Corte, l’atto di nascondere informazioni reddituali è di per sé idoneo a indurre in errore l’ente erogatore, a prescindere dall’eventuale negligenza di quest’ultimo nell’eseguire i controlli. La sentenza chiarisce che la condotta decettiva del richiedente è l’elemento cruciale, rendendo irrilevante che i sistemi di verifica dell’ente non siano riusciti a smascherare l’inganno. Di conseguenza, è stata annullata l’ordinanza che negava il sequestro dei fondi, qualificando il fatto come truffa aggravata reddito di cittadinanza.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa aggravata reddito di cittadinanza: basta la falsa dichiarazione

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha chiarito un punto fondamentale in materia di indebita percezione di sussidi statali. Chi presenta una dichiarazione falsa per ottenere il beneficio commette il reato di truffa aggravata reddito di cittadinanza, anche se l’ente pubblico non ha effettuato controlli approfonditi. Questa decisione sottolinea la prevalenza della condotta fraudolenta del singolo sulla potenziale negligenza della Pubblica Amministrazione.

I Fatti del Caso: La Domanda Basata su Dati Falsi

Il caso ha origine da una richiesta di reddito di cittadinanza presentata da una cittadina straniera. Nella sua autocertificazione, la donna aveva omesso di dichiarare i redditi da lavoro dipendente percepiti dal marito e dalla figlia, componenti del suo nucleo familiare. Sulla base di questa dichiarazione incompleta, l’INPS aveva accolto la domanda ed erogato un contributo economico di oltre 10.000 euro.

Successivamente, emersa la falsità delle informazioni fornite, il Pubblico Ministero aveva richiesto il sequestro preventivo della somma, qualificando il fatto come truffa aggravata ai danni dello Stato, ai sensi dell’art. 640-bis del codice penale.

La Decisione dei Giudici di Merito: Non c’è Inganno se Manca il Controllo

Sia il Giudice per le indagini preliminari che il Tribunale del riesame di Brescia avevano respinto la richiesta del Pubblico Ministero. Secondo i giudici di merito, non si poteva parlare di truffa perché mancava un elemento essenziale del reato: l’induzione in errore. A loro avviso, l’INPS si era limitata a una mera presa d’atto formale dell’autocertificazione, senza svolgere i dovuti controlli preventivi per verificare la veridicità dei dati. In assenza di un’attività di verifica, non si poteva affermare che l’ente fosse stato effettivamente ‘ingannato’ dalla falsa dichiarazione, ma che avesse agito sulla base di una fiducia mal riposta. Di conseguenza, il fatto veniva qualificato come il meno grave reato specifico previsto dall’art. 7 del D.L. 4/2019, che non ammetteva il sequestro per equivalente in quel contesto.

Il Ricorso in Cassazione e la questione sulla truffa aggravata reddito di cittadinanza

Il Procuratore della Repubblica ha impugnato questa decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo un’errata interpretazione delle norme. Il Pubblico Ministero ha evidenziato che la legge stessa (art. 5 del D.L. 4/2019) impone all’INPS di effettuare verifiche preliminari entro cinque giorni, basandosi sulle informazioni disponibili nei propri archivi e in quelli di altre amministrazioni. Contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, dalla documentazione risultava che tali controlli erano stati effettivamente eseguiti e avevano dato esito positivo, seppur erroneamente. La condotta omissiva dell’indagata era stata quindi determinante per indurre in errore l’ente e ottenere il beneficio non spettante, integrando pienamente gli estremi della truffa aggravata reddito di cittadinanza.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Tribunale. I giudici hanno chiarito la relazione tra la norma specifica sul reddito di cittadinanza (art. 7 D.L. 4/2019) e la truffa aggravata (art. 640-bis c.p.). L’art. 7 si applica solo in via residuale, cioè quando non sono presenti tutti gli elementi della truffa, come nel caso di un mero silenzio antidoveroso che non si traduca in un’effettiva attività ingannatoria.

Nel caso di specie, invece, la condotta della richiedente non era stata meramente passiva. L’omessa dichiarazione dei redditi dei familiari ha costituito un comportamento decettivo, un “artifizio” causalmente idoneo a indurre in errore l’ente previdenziale. La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’idoneità degli artifizi e raggiri a ingannare non è esclusa dalla possibilità che un controllo più accurato avrebbe potuto smascherare la frode. In altre parole, la negligenza o la mancata diligenza della vittima (in questo caso l’INPS) nel difendersi dall’inganno non elimina la responsabilità penale di chi ha agito fraudolentemente. Confondere l’attività di verifica, prevista ed eseguita, con la sua capacità di scoprire ogni irregolarità è un errore logico. Se così fosse, ha argomentato la Corte, la truffa sarebbe esclusa in tutti i casi in cui i controlli si rivelano inefficaci, il che è un controsenso.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma un principio di responsabilità individuale fondamentale: chi fornisce dichiarazioni false per accedere a benefici pubblici commette truffa, poiché la sua azione è la causa diretta dell’errore in cui cade la Pubblica Amministrazione. L’eventuale inadeguatezza dei sistemi di controllo non funge da scusante. La Corte ha quindi riqualificato i fatti come truffa aggravata reddito di cittadinanza ai sensi dell’art. 640-bis c.p. e ha rinviato gli atti al Tribunale di Brescia per le decisioni conseguenti in merito al sequestro dei beni, ora pienamente ammissibile.

Dichiarare il falso per ottenere il reddito di cittadinanza è sempre truffa aggravata?
Secondo la Corte di Cassazione, la presentazione di una dichiarazione mendace o l’omissione di informazioni dovute per ottenere il beneficio integra il reato di truffa aggravata (art. 640-bis c.p.) quando tale condotta è idonea a indurre in errore l’ente erogatore. Il reato meno grave previsto dall’art. 7 D.L. 4/2019 si applica solo in via residuale, quando mancano gli elementi tipici della truffa, come gli artifizi e raggiri.

La negligenza dell’ente pubblico nell’effettuare i controlli esclude la responsabilità penale per truffa?
No. La sentenza chiarisce che l’eventuale mancanza di diligenza o l’inefficacia dei controlli da parte dell’ente pubblico non esclude l’idoneità del mezzo truffaldino e, di conseguenza, non elimina la responsabilità penale di chi ha fornito le false dichiarazioni. La condotta decettiva del privato è considerata la causa principale dell’erogazione indebita.

Qual è la differenza tra il reato specifico sul reddito di cittadinanza e la truffa aggravata?
La differenza risiede nell’intensità della condotta. La truffa aggravata (art. 640-bis c.p.) richiede una condotta attiva di “artifizi e raggiri” che induce effettivamente in errore l’ente. Il reato specifico (art. 7 D.L. 4/2019) ha invece carattere residuale e si applica a condotte, come il mero silenzio o una semplice omissione, che non integrano un vero e proprio inganno attivo, ma che sono comunque funzionali a ottenere un beneficio non spettante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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