Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22640 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22640 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 28/05/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia avverso l’ordinanza del Tribunale di Brescia emessa in data 18/2/2025 nel proc. a carico di NOME COGNOME n. in Senegal il 19/5/1972 dato atto che si è proceduto a trattazione con contraddittorio cartolare; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del Cons. NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata ordinanza il Tribunale di Brescia rigettava l’appello del pubblico ministero avverso il decreto del G.i.p. dello stesso Tribunale che, in data 13/1/2025, aveva
qualificato i fatti addebitati a NOME e rubricati ex art. 640bis cod. pen. come violazione dell’art. 7 D.L. 4/2019 e aveva disposto il sequestro finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato, pari ad euro 10.777,83, nel contempo rigettando la domanda di adottare la misura anche per equivalente, risultando la stessa inapplicabile al reato ritenuto.
Il Collegio cautelare rilevava in particolare che il procedimento di erogazione del reddito di cittadinanza non comporta, sempre e necessariamente, il preventivo espletamento di verifiche in ordine alla sussistenza dei prescritti requisiti soggettivi ed oggettivi e che, nella specie, dagli atti emerge che l’amministrazione ha erogato il contributo sulla base di una mera presa d’atto formale delle autocertificazioni della richiedente, la cui falsità è stata solo successivamente accertata, con conseguente esclusione dell’induzione in errore dell’istituto di previdenza sociale.
Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, il quale ha dedotto l’erronea applicazione degli artt. 640bis cod. pen. e 7 D.L. 4/19.
Il pubblico ministero impugnante richiama l’espresso tenore dell’art. 5 D.L. 4 del 2019, convertito nella L. 26/2019, a mente del quale, ai fini del riconoscimento del reddito di cittadinanza, l’INPS era tenuta alla verifica, entro cinque giorni lavorativi dalla comunicazione della domanda, del possesso da parte del richiedente e del relativo nucleo famigliare dei requisiti per l’accesso al beneficio sulla base delle informazioni disponibili nei propri archivi e in quelli delle amministrazioni, quali i Comuni, titolari dei dati sulla residenza e il soggiorno. Evidenzia che, nel caso di specie, contrariamente a quanto ritenuto dall’ordinanza impugnata, dalla documentazione acquisita in atti, risulta che entrambe le domande presentate dall’indagata furono accolte sulla base dell’esito positivo dei controlli preliminari eseguiti nel rispetto della previsione normativa. Pertanto, il Tribunale del riesame avrebbe dovuto ritenere sussistenti gli estremi costitutivi dell’art. 640bis cod. pen., autorizzando il sequestro preventivo del profitto anche per equivalente, attesa la sussistenza del periculum in mora in considerazione del comportamento elusivo dell’indagata e delle condizioni economiche del nucleo familiare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e merita accoglimento. Questa Corte ha autorevolmente chiarito che integrano il delitto di cui all’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza quando le stesse sono
funzionali a ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge (Sez. U, n. 49686 del 13/07/2023, Giudice, Rv. 285435 – 01). La fattispecie, abrogata dall’art. 1, comma 318, L. 29/12/2022 a decorrere dal 1/1/2024, prevede un reato di pericolo concreto a consumazione anticipata, connotato da dolo specifico e clausola di riserva che ne limita l’applicabilità solo ai fatti che non costituiscano altro e più grave illecito. La condotta sanzionata, di carattere misto e alternativo, commissivo-omissivo (‘rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere ovvero omette informazioni dovute’) è finalisticamente qualificata dallo scopo di ottenere ‘indebitamente’ il riconoscimento del beneficio e ricalca l’elemento strumentale del reato d’evento ex art. 316ter cod. pen. nel cui paradigma l’indebito conseguimento di contributi, sovvenzioni, finanziamenti o altre erogazioni da parte dello Stato segna il perfezionamento del delitto mentre la più lieve previsione sanzionatoria (da sei mesi a tre anni di reclusione) di quest’ultima disposizione, non coerente con la progressione della lesività che connota i due illeciti, deve ascriversi a mero difetto di coordinamento legislativo.
1.1 Anche l’art. 316ter cod. pen., che dell’art. 7 L. 4/19 costituisce evidente archetipo normativo, è caratterizzato dalla clausola di riserva che ne esclude la configurabilità ove nei fatti ricorrano gli estremi dell’art. 640bis cod. pen. Infatti, nel solco tracciato dalla pronunzia di Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962 – 01, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che l’ambito di applicabilità dell’art. 316ter cod. pen. abbraccia situazioni residuali rispetto alle contigue fattispecie ex artt. 640, secondo comma e 640bis cod. pen., come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale, intercorrendo tra le fattispecie un rapporto di sussidiarietà e non di specialità. Pertanto, il meno grave delitto di cui all’art. 316ter cod. pen. è configurabile solo quando difettino nella condotta gli estremi della truffa (cfr., Sez. 2, n. 23163 del 12/04/2016, Oro, Rv. 266979-01; Sez. 2, n. 49642 del 17/10/2014, Ragusa, Rv. 261000-01; sulla diagnosi differenziale tra le due fattispecie, ex multis , Sez. F, n. 44878 del 06/08/2019, COGNOME, Rv. 279036 – 03).
Gli argomenti spesi dal Collegio cautelare a sostegno della sussunzione dei fatti contestati nel paradigma dell’art. 7 D.L. 4/2019 piuttosto che della truffa aggravata ex art. 640bis cod. pen., riassumibili nella mancata induzione in errore dell’INPS in ragione dell’assenza da parte dell’istituto di verifiche prodromiche al riconoscimento del beneficio, non paiono condivisibili.
Infatti, come riconosciuto dalla stessa sentenza delle Sezioni Unite ‘ Giudice ‘ (pag. 13, in motivazione) e come correttamente rappresentato dal pubblico ministero, a norma dell’art 5, comma 3, del decreto legge in esame, ai fini del riconoscimento del beneficio è prevista una
seppur minima attività istruttoria in quanto l’INPS è tenuto a verificare, entro cinque giorni lavorativi dalla data di comunicazione della richiesta, il possesso dei requisiti per l’accesso al Rdc sulla base delle informazioni pertinenti disponibili nei propri archivi e in quelli delle amministrazioni titolari dei dati, acquisendole dall’Anagrafe tributaria, dal Pubblico registro automobilistico e dalle altre amministrazioni pubbliche detentrici mentre fa capo ai Comuni la verifica dei requisiti di residenza e soggiorno del richiedente.
2.1 L’ordinanza impugnata opina che nella specie, come sovente avviene, l’Inps possa essersi limitata ad ‘abbinare i dati anagrafici del richiedente alla correlata attestazione ISEE e ad ulteriori informazioni in suo possesso … pur non avendo acquisito le informazioni necessarie in possesso di altre amministrazioni’ (pag. 5). Si tratta di una mera congettura efficacemente confutata dal ricorrente, che ha evidenziato che, alla stregua della documentazione trasmessa dall’Inps e acquisita al fascicolo processuale, risultano eseguiti preliminari e positivi controlli in ordine alla sussistenza dei requisiti economici per l’accesso al reddito da parte dell’indagata, dato che non può ritenersi vanificato dalla postuma emersione della genetica insussistenza delle condizioni reddituali previste dall’art. 2, comma 1, lett. b) D.L. 4/2019.
Infatti, detta argomentazione confligge con i principi costantemente enunziati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di truffa l’idoneità degli artifici e raggiri non è esclusa dal fatto che per svelarli sia necessario il successivo intervento di atti di controllo, atteso che l’idoneità postula che i comportamenti truffaldini siano astrattamente capaci, con valutazione ” ex ante “, di causare l’evento (Sez. 2, n. 40624 del 04/10/2012, COGNOME, Rv. 253452 – 01; conformi, Sez. 6, n. 36199 del 16/09/2020, Sassano, Rv. 280178 – 01; Sez. 1, n. 31897 del 12/07/2023, COGNOME, Rv. 285048 – 01), né rileva l’eventuale mancanza di diligenza da parte dell’ente erogatore nell’eseguire adeguati controlli in ordine alla veridicità dei dati forniti dal richiedente il contributo pubblico, in quanto tale circostanza non esclude l’idoneità del mezzo truffaldino (Sez. 2, n. 52316 del 27/09/2016, Riva, Rv. 268960 – 01).
Il collegio cautelare sembra confondere l’attività di verifica dell’istituto erogatore, prevista ed eseguita, con la concreta capacità della stessa di intercettare le situazioni irregolari con l’illogica conseguenza che l’induzione in errore dell’istituto di previdenza dovrebbe essere esclusa in tutti i casi in cui si è rivelata inidonea a neutralizzare le mendaci dichiarazioni dell’interessato.
Al contrario, la mancata dolosa ostensione da parte dell’indagata dei redditi da lavoro dipendente del marito e della figlia, che concorrevano ad integrare il reddito familiare, costituisce condotta a contenuto decettivo causalmente idonea a indurre in errore l’ente previdenziale, determinandolo all’erogazione di una prestazione cui la richiedente non aveva titolo.
Alla luce delle considerazioni che precedono i fatti contestati devono essere riqualificati ai sensi dell’art. 640bis cod. pen. e l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Brescia per le conseguenti determinazioni in ordine alla misura del sequestro anticipatorio per equivalente richiesta dal pubblico ministero ricorrente.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Brescia competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, c.p.p.
Così deciso in Roma, 28 Maggio 2025