Truffa Aggravata: Quando Rassicurare il Cliente Diventa Reato
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un caso di truffa aggravata, fornendo chiarimenti cruciali sulla differenza tra una semplice omissione e una condotta penalmente rilevante. La vicenda riguarda un professionista che, dopo aver ricevuto denaro per adempimenti fiscali, non solo non li ha eseguiti, ma ha anche attivamente rassicurato i propri clienti del contrario. La Suprema Corte ha confermato la condanna, stabilendo che tali rassicurazioni costituiscono “artifizi e raggiri” e trasformano una condotta omissiva in una pienamente commissiva.
I Fatti del Caso
Un professionista veniva incaricato da diversi clienti di curare i loro adempimenti fiscali. I clienti versavano le somme necessarie per i pagamenti, fidandosi del professionista. Quest’ultimo, tuttavia, ometteva di eseguire i versamenti dovuti. La questione cruciale, però, non risiedeva solo in questa omissione. Di fronte alle richieste dei clienti, il professionista li aveva più volte rassicurati, mentendo e affermando di aver regolarmente compiuto tutte le operazioni necessarie.
I giudici di primo e secondo grado avevano riconosciuto la sua responsabilità penale per il reato di truffa aggravata. L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente due punti: primo, che la sua condotta era stata meramente omissiva e che le vittime avrebbero potuto scoprire la verità con l’ordinaria diligenza; secondo, che la pena era eccessiva perché i giudici non avevano fatto prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante contestata.
La Decisione della Cassazione sulla Truffa Aggravata
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea le argomentazioni della difesa. La decisione si fonda su due pilastri logico-giuridici che meritano di essere analizzati.
La Distinzione tra Condotta Omissiva e Commissiva
Il punto centrale della difesa era che il reato di truffa non potesse configurarsi per una mera omissione. La Cassazione ha smontato questa tesi, evidenziando come l’azione dell’imputato non si fosse limitata a un “non fare” (omettere i pagamenti), ma si fosse estesa a un “fare” ben preciso: rassicurare attivamente e ripetutamente i clienti, inducendoli in errore.
Questa condotta “commissiva”, fatta di menzogne e rassicurazioni, integra pienamente gli “artifizi e raggiri” richiesti dall’art. 640 del codice penale. Secondo la Corte, nel momento in cui si passa dal silenzio all’inganno attivo, la potenziale negligenza della vittima diventa irrilevante. La truffa sussiste perché è stato il comportamento fraudolento dell’agente a creare la falsa rappresentazione della realtà che ha indotto in errore le persone offese.
Il Bilanciamento delle Circostanze: una Valutazione di Merito
Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, relativo alla determinazione della pena, la Cassazione ha ribadito un principio consolidato. Il giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e attenuanti è una valutazione discrezionale che spetta al giudice di merito. La Suprema Corte può intervenire solo se tale valutazione è palesemente illogica, arbitraria o priva di motivazione.
Nel caso di specie, i giudici di appello avevano adeguatamente motivato la loro scelta di considerare equivalenti le circostanze, ritenendola la soluzione più idonea a garantire l’adeguatezza della pena. Pertanto, la decisione è stata considerata incensurabile in sede di legittimità.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte Suprema sono chiare e dirette. In primo luogo, un ricorso in Cassazione non può essere una semplice riproposizione dei motivi già presentati in appello; deve invece contenere una critica specifica e argomentata contro le ragioni della sentenza impugnata. Il ricorso dell’imputato è stato giudicato apparente e non specifico.
Nel merito, la Corte ha sottolineato che l’azione fraudolenta non consisteva solo nell’inadempimento degli obblighi fiscali (condotta omissiva), ma soprattutto nell’aver attivamente ingannato i clienti con false rassicurazioni (condotta commissiva). Questo comportamento attivo costituisce il nucleo del reato di truffa, rendendo superflua ogni discussione sulla diligenza delle vittime. La giurisprudenza citata conferma che, in presenza di un’attività ingannatoria, non si può addebitare alla vittima di non essere stata abbastanza accorta da scoprirla.
Infine, le conclusioni del giudice di merito sul trattamento sanzionatorio e sul bilanciamento delle circostanze sono state ritenute logiche, argomentate e, di conseguenza, non sindacabili.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di truffa aggravata: non è solo l’omissione a contare, ma l’intero contesto comportamentale. Un professionista che non si limita a tacere un proprio inadempimento, ma lo copre con menzogne e rassicurazioni, commette a tutti gli effetti il reato di truffa. La decisione serve da monito: la fiducia del cliente, una volta tradita con l’inganno attivo, porta a conseguenze penali severe. Inoltre, la sentenza conferma la natura limitata del giudizio di Cassazione, che non può sostituirsi al giudice di merito nelle valutazioni discrezionali, come quella sulla pena, se queste sono sorrette da una motivazione congrua e logica.
Commettere una semplice omissione è sufficiente per il reato di truffa?
Secondo questa ordinanza, una mera omissione non basta. È necessario che l’omissione sia accompagnata da una condotta attiva di inganno, come false rassicurazioni, che costituisca “artifizi e raggiri” volti a indurre in errore la vittima.
Se la vittima è stata negligente, il reato di truffa non sussiste?
No. La Corte ha chiarito che la negligenza o la mancata diligenza della persona offesa diventa irrilevante quando l’autore del reato ha posto in essere una condotta attiva di inganno, come rassicurare falsamente il cliente. L’inganno attivo prevale sulla passività della vittima.
La Corte di Cassazione può modificare la pena decisa nei gradi precedenti?
Generalmente no. La determinazione della pena e il bilanciamento tra circostanze attenuanti e aggravanti sono decisioni che spettano al giudice di merito. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione di tale decisione è manifestamente illogica, contraddittoria o del tutto assente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18783 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Data Udienza: 06/05/2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18783 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Composta da
– Presidente –
NOME
CC – 06/05/2025
R.G.N. 4007/2025
NOME COGNOME
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TRAPANI il 26/03/1960
avverso la sentenza del 13/09/2024 della Corte d’appello di Palermo
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
rilevato che la Corte di appello con la sentenza sopra indicata ha confermato la sentenza del Tribunale di Trapani in data 24 novembre 2022 con la quale era stata affermata la penale responsabilità di NOME COGNOME in relazione a due reati di truffa aggravata;
che , la difesa dell’imputato con il ricorso qui in esame ha dedotto:
violazione di legge e vizi di motivazione con riguardo all’incompatibilità dei reati in contestazione con una condotta omissiva considerato il fatto che le circostanze taciute dall’imputato alle persone offese erano conoscibili dalle stesse con il ricorso all’ordinaria diligenza;
violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio riservato all’imputato con particolare riguardo alla mancata valutazione di prevalenza delle riconosciute circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen.
considerato che , il primo motivo di ricorso che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità, Ł indeducibile perchØ fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che i Giudici di merito, con motivazione congrua e logica hanno evidenziato che l’azione dell’imputato non Ł consistita solo in una condotta ‘omissiva’ relativamente agli adempimenti fiscali dei quali era stato incaricato dalle clienti ricevendo dalle stesse svariate somme di denaro, ma
anche in una condotta ‘commissiva’ consistita nell’avere piø volte rassicurato le clienti in ordine agli adempimenti da lui asseritamente compiuti;
che del tutto priva di pregio risulta pertanto l’argomentazione circa la mancata diligenza dimostrata dalle persone offese (cfr. ex multis, Sez. 2 , n. 5138 del 20/11/2019, C., Rv. 278230 – 01; Sez. 2, n. 42941 del 25/09/2014, Rv. 260476 – 01), in quanto deve osservarsi come i giudici di appello abbiano ritenuto pienamente sussistente la fattispecie di cui all’art. 640 cod. pen. ascritta all’odierno ricorrente, sulla base di corrette ragioni di fatto e di diritto (si vedano le pagg. 2 e 3 della impugnata sentenza, ove si Ł sottolineato come il ricorrente abbia realizzato, come detto, anche una condotta attiva di artifizi e raggiri e non solo omissiva);
che , pertanto Ł da ritenersi giuridicamente corretta la configurabilità dei reati di truffa contestati all’imputato;
considerato altresì che il motivo di ricorso che contesta il giudizio di comparazione fra opposte circostanze non Ł consentito in sede di legittimità ed Ł manifestamente infondato implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito che sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la piø idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931);
che le conclusioni ragionate e argomentate del giudice del merito sia con riguardo al giudizio di comparazione delle circostanze, sia, piø in generale, con riguardo al trattamento sanzionatorio riservato all’Alagna (si vedano pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata) sono, pertanto, incensurabili;
rilevato , pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 06/05/2025.
Il Presidente NOME COGNOME