Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19821 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19821 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 42309/2024
NOME COGNOME
ORDINANZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata a Campi Salentina il 19/02/1956,
avverso la sentenza del 06/05/2024 della Corte d’appello di Lecce
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminato i motivi del ricorso; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Lecce, in riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Lecce del 20/10/2020, rideterminava la pena irrogata a NOME NOME in ordine ai delitti di cui agli articoli 55 d. lgs. 165/2021 e 640 cod. pen., in anni 1 e mesi 4 di reclusione ed euro 1.600,00 di multa.
Avverso tale sentenza l’imputata ha presentato ricorso per cassazione, lamentando, con un primo motivo, violazione degli artt. 316- ter e 640 cod. pen., laddove la sentenza non ha ricondotto il fatto concreto nell’alveo della prima disposizione.
Con il secondo motivo lamentela violazione degli artt. 640 cod. penna. e 55- quinquies d. lgs. 165/2001, laddove abbia ritenuto il concorso tra le due ipotesi di reato.
Con il terzo motivo lamenta violazione dell’articolo 131- bis cod. penna..
In data 23 aprile 2025 la parte civile ASL di Brindisi, in cui chiedeva rigettarsi il ricorso e depositava nota spese.
Il ricorso Ł inammissibile.
Quanto al primo motivo, correttamente la Corte salentina ha correttamente evidenziato che, nel caso in esame, sussiste l’elemento della decezione (trasmissione di falsa documentazione medica), che distingue le due fattispecie di reato.
E’ infatti pacifico che il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316- ter cp si differenzia da quello di truffa aggravata ex art. 640- bis cp per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi, della induzione in errore del soggetto erogatore, che invece connota la truffa (Sez. U., n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. Rv. 235962 – 01; Sez. 2, n. 19841 del 12/01/2023, Pmt, Rv.285397 – 01).
Le Sezioni Unite della Corte, nella citata sentenza RAGIONE_SOCIALE hanno infatti evidenziato come una parte della giurisprudenza avesse «ritenuto di poter restringere l’ambito di applicazione della fattispecie di truffa, escludendo che la mera presentazione di documentazione falsa integrasse gli
estremi degli artifici o raggiri, in modo da riservare così all’art. 316- ter un effettivo ambito di applicazione (Cass., sez. II, 22 marzo 2002, COGNOME, m. 221838, Cass., sez. VI, 10 ottobre 2003, Riillo, m. 228191, Cass., sez. II, 28 ottobre 2005, COGNOME, m. 232785)», mentre altra parte della la giurisprudenza tendesse invece «a mantenere fermi i limiti tradizionali della fattispecie di truffa, ritenendo che siano riconducibili all’art. 316- ter cp solo o comunque soprattutto quelle condotte cui non consegua un’induzione in errore o un danno per l’ente erogatore (Cass., sez. II, 10 febbraio 2006, COGNOME, m. 233449, Cass., sez. II, 8 giugno 2006, Corsinovi, m. 234996, Cass., sez. II, 6 luglio 2006, COGNOME, m. 234848, Cass., sez. VI, 24 settembre 2001, Tammerle, m.
La Corte ebbe in tale occasione a chiarire che «il primo di questi due orientamenti finisce però per tradursi in una mera finzione interpretativa ad hoc , perchØ, quando non venga in discussione l’applicabilità dell’art. 316- ter cp o di altre fattispecie speciali di frode, la giurisprudenza continua correttamente a ritenere che il falso sia di per sØ uno strumento di raggiro idoneo a integrare gli estremi della truffa (Cass., sez. I, 31 gennaio 2000, Petrarca, m. 215516, Cass., sez. V, 27 marzo 1999, COGNOME, m. 214868, Cass., sez. VI, 25 febbraio 2003, COGNOME NOME COGNOME, m 224495), anche se si tratti della truffa aggravata prevista dall’art. 640 bis cp (Cass., sez. V, 14 aprile 2004, COGNOME, m. 229203). SicchØ questo orientamento interpretativo varrebbe solo a dissimulare, ma certo non a scongiurare, un risultato repressivo opposto a quello perseguito dal legislatore; oltre a legittimare inaccettabili disparità di trattamento di situazioni del tutto simili. Non rimane quindi che privilegiare il secondo orientamento interpretativo».
Non vi Ł quindi dubbio che, nel caso oggetto del presente scrutinio, si sia di fronte ad una ipotesi di induzione in errore e non di mera trasmissione di autocertificazioni false.
Per conseguenza, la separazione tra «retribuzione» ed «erogazione» (o «indennità»), paventata dalla ricorrente, Ł del tutto irrilevante, così come l’asserita limitazione della clausola di riserva determinata contenuta nell’articolo 316- ter cod. penna. al solo reato di cui all’articolo 640bis , posta la natura di mera circostanza aggravante di tale norma rispetto all’articolo 640 cod. penna. (così, sul punto, Sez. U, n. 26351 del 26/06/2002, Pgin, Rv. 221663 – 01).
La sentenza citata dal ricorrente (Sez. 2, n. 16817 del 26/02/2019, COGNOME, Rv. 275815 – 01), infine, concerneva l’ipotesi di un insegnante che, senza porre in essere comportamenti fraudolenti in aggiunta al silenzio serbato in ordine alla cessazione del rapporto con la pubblica amministrazione, aveva continuato a ricevere indebitamente lo stipendio mensile; essa, quindi, oltre ad apparire inconferente al caso di specie (in cui Ł presente un’effettiva condotta decettiva), rafforza la soluzione interpretativa adottata dal Collegio.
Il secondo motivo Ł manifestamente infondato, poichØ questa Corte ritiene (Sez. 3, n. 47043 del 27/10/2015, COGNOME, Rv. 265223 – 01) che «Ł configurabile il concorso materiale tra il reato di truffa aggravata e quello di false attestazioni o certificazioni previste dall’art. 55- quinquies d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Fattispecie in tema di indebito utilizzo dei badge attestanti la presenza in ufficio da parte di dipendenti comunali).
7. Il terzo motivo Ł manifestamente profondo.
A pagina 16, la sentenza gravata evidenzia che il fatto storico commesso non può essere considerato di particolare tenuità, sia in ragione del numero di ore e di giorni di assenza dal lavoro, sia del danno arrecato all’ente pubblico di appartenenza, non solo in termini patrimoniali, ma anche di incrinatura del rapporto fiduciario, motivazione che fa buon governo dei principi enucleati da questa Corte ( Sez. U, Sentenza n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590 – 01), secondo cui «il fatto particolarmente tenue va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori: le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza. L’istituto persegue dunque finalità connesse ai principi di proporzione ed extrema ratio , con effetti anche in tema di deflazione. Lo scopo primario Ł quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del processo. Proporzione e deflazione s’intrecciano coerentemente».
Si richiede, in breve, «una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto. Per ciò che qui interessa, non esiste un’offesa tenue o grave in chiave archetipica. E’ la manifestazione concreta del reato che ne segna il disvalore» ( Sez. U, n. 13681/2016, Tushaj, cit. ).
8. Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla dichiaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonchØ quello del versamento della somma, a favore della Cassa delle ammende, fissata equitativamente in euro 3.000,00.
Il ricorrente deve altresì essere condannato alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile, che il Collegio liquida in complessivi euro 3.686,00.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così Ł deciso, 09/05/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME