Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 43651 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 43651 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, nato a Taranto il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte d’appello di Lecce-Sezione Distaccata di Taranto, dell’8.3.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa della parte civile NOME COGNOME, che ha insistito per l’inammissibilità del ricorso depositando conclusioni scritte e nota spese;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Sezione Distaccata di Taranto della Corte d’appello di Lecce ha confermato al sentenza con cui il Tribunale tarantino, in data 23.1.2023, aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile del delitto di truffa aggravata in concorso e lo aveva condannato alla pena finale di anni 1 di reclusione ed euro 500 di multa, oltre al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali ed al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile in cui favore aveva liquidato una provvisionale nella misura di euro 66.000,00.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
2.1 violazione di legge con riguardo agli artt. 640 e 61 n. 7 cod. pen. e vizio di motivazione anche per travisamento RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie: rileva che la Corte d’appello si è limitata ad una stringata sintesi dei pur meticolosi ed articolati motivi di appello ed ha ribadito la piena attendibilità della persona offesa appiattendosi sulla valutazione operata dal primo giudice e giustificando le macroscopiche contraddizioni che avevano caratterizzato le dichiarazioni del COGNOME con il ricorso ad argomentazioni di tipo soggettivo ed illogico; richiama, a tal proposito, le discrasie, ben evidenziate dalla difesa, circa la proprietà dei gioielli che la persona offesa aveva affermato provenire dalla collezione privata della moglie e che, invece, dai messaggi allegati alla querela, parrebbero appartenere a due “soci” rispetto ai quali il COGNOME avrebbe agito come intermediario e segnala come, in generale, la Corte abbia tentato in ogni modo, con ipotesi cui è stata attribuita la patente di plausibilità o di verosimiglianza, di superare la generale fragilità della ricostruzione della vicenda proposta dalla persona offesa;
osserva che la Corte ha sposato la tesi del COGNOME che, secondo la ricostruzione della pubblica accusa, sarebbe stato tratto in inganno dalla falsa rappresentazione che il COGNOME avrebbe fornito di sé, come persona facoltosa ed esperta di finanza, trascurando, tuttavia, di considerare che il presupposto dell’inesistente teorema era rimasto assolutamente indimostrato ed è stato ritenuto sulla scorta di mere illazioni; osserva che, seguendo la tesi dell’accusa, anche il proprietario del ristorante “Il Faro”, avendo contribuito a rendere una falsa rappresentazione dell’imputato, avrebbe dovuto rispondere a titolo di concorso e non già essere sentito come testimone; aggiunge che, in ogni caso, i giudici di merito hanno travisato il contenuto della deposizione del COGNOME laddove costui
aveva confermato che il COGNOME era un abituale cliente ed assiduo frequentatore della lussuosa struttura;
rileva che proprio il travisamento della prova ha comportato l’errata qualificazione della condotta dell’imputato quale finalizzata ad indurre in errore il COGNOME attraverso la simulazione di situazioni inesistenti ovvero astuti espedienti finalizzati a realizzare la frode; segnala come non fosse mai stato messo in discussione il ruolo rivestito dall’imputato all’interno di varie società come anche la sua posizione professionale di assoluto prestigio e le sue competenze, peraltro emerse durante gli incontri con la persona offesa ed i suoi intermediari; sottolinea, dunque, come i giudici di merito abbiano posto a fondamento del teorema accusatorio un presupposto indimostrato;
segnala che la ingiustificata attendibilità della persona offesa aveva indotto la Corte d’appello a confermare la aggravante contestata e fondata esclusivamente sull’elenco dei preziosi fornito dal COGNOME e la indicazione del loro prezzo di listino, in difetto di ogni attestazione di autenticità e dell’effettivo valore di mercato; osserva che dalla ritenuta sussistenza dell’aggravante contestata sono derivate conseguenze sia in termini di procedibilità dell’azione penale che di tempestività della querela che, infine, di impossibilità di invocare l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.; segnala, per altro verso, e con riguardo al profilo della tempestività della querela, che la presunta truffa si sarebbe consumata in data 1.12.2016, in coincidenza con la deminutio patrimonii ed il correlativo ingiusto profitto conseguito dall’agente e quando il COGNOME aveva già avuto cognizione della condotta truffaldina tanto da registrare la conversazione con colui che avrebbe dovuto consegnargli il corrispettivo della cessione dei gioielli;
2.2 violazione di legge in relazione all’art. 120 cod. pen. per difetto della condizione di procedibilità; vizio di motivazione per omessa declaratoria di improcedibilità dell’azione penale: rileva come, con l’atto di appello, la difesa avesse insistito sulle dichiarazioni del COGNOME il quale aveva reiteratamente ribadito che i gioielli erano parte della collezione della moglie e fossero, perciò, di proprietà di costei, con la conseguenza che la querela risultava essere stata proposta da soggetto non legittimato; richiama, a tal proposito, la motivazione con cui la Corte d’appello ha ritenuto di poter superare l’eccezione difensiva facendo ricorso, tuttavia, ad argomentazioni oggetto di intuizione da parte del collegio e mai espresse o emerse nel corso del giudizio;
2.3 violazione di legge e vizio di motivazione per violazione del principio del “oltre ogni ragionevole dubbio”: rileva che la sentenza impugnata è fondata su argomentazioni sorrette su ipotesi meramente plausibili e deduzioni meramente
congetturali, con violazione del canone suindicato e normativamente recepito nell’art. 533 cod. proc. pen..
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
Il ricorrente deduce, con il primo ed articolato motivo, innanzitutto il vizio di violazione di legge con riguardo alla fattispecie incriminatrice di cui i giudici di merito hanno ritenuto integrati gli elementi costitutivi; in secondo luogo, e promiscuamente, vizio di motivazione in punto di responsabilità o di sussistenza RAGIONE_SOCIALE pur contestate circostanze aggravanti.
Quanto al primo profilo, relativo alla violazione di legge, il ricorso, lungi dal prospettare un vizio di legittimità, finisce in realtà per contestare il giudizio d responsabilità, ovvero il risultato probatorio cui sono approdati i giudici di primo e secondo grado con valutazione conforme RAGIONE_SOCIALE medesime emergenze istruttorie; il vizio di violazione di legge importa la contestazione della riconducibilità del fatto – così come ricostruito dai giudici di merito – nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, è, come accade sovente ed anche nel caso di specie, contestare o mettere in dubbio che le emergenze istruttorie acquisite consentano di ricostruire la condotta di cui si discute in termini idonei a ricondurla nel paradigma legale, operazione, questa, che è, invece, propria del giudizio di merito.
Con riguardo, poi, al vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere mirato a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione RAGIONE_SOCIALE regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Longo, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, COGNOME, Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, COGNOME, Rv. 270801).
In generale, va evidenziato che non sono deducibili, in sede di legittimità, le censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali per pervenire ad una diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747).
Né, per altro verso, è consentito il ricorso per cassazione che, “sub specie” della violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., finisce in realtà per fondarsi su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici, tassativamente previsti dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. (cfr., Sez. 6, n. 13442 del 08/03/2016, COGNOME ed altro, Rv. 266924; Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 258153; conf., ancora, Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 04, in cui la Corte ha ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità RAGIONE_SOCIALE doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza RAGIONE_SOCIALE norme processuali stabilite a pena di nullità).
E, d’altra parte, è certamente preclusa al giudice di legittimità l’operazione di rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata ovvero l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche qualora indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148, in cui la Corte ha affermato che il controllo del
giudice di legittimità, anche dopo la novella del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi atti del processo e di una correlata pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che attiene alla reale “esistenza” della motivazione ed alla “resistenza” logica del ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti; conf., da ultimo, Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556 – 01, in cui la Corte ha ribadito che eccede dai limiti della sua cognizione la possibilità di rivisitare degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza RAGIONE_SOCIALE argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile).
Vagliando, inoltre, la completezza e congruità della motivazione della sentenza di appello, si è da sempre ribadito che l’emersione di una criticità su una RAGIONE_SOCIALE molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata non è di per sé rilevante laddove l’apparato motivazionale offra, nel suo complesso, ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non potendo perciò comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione che rileva solo quando, per effetto di tale critica, ed all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, il ragionamento risulti disarticolato in uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (cfr., Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227).
La difesa, con il terzo motivo, ha inoltre censurato la sentenza impugnata perché resa in presenza di elementi idonei a fondare un “ragionevole dubbio” sulla responsabilità dell’imputato: è allora appena il caso di segnalare, con la costante giurisprudenza di questa Corte, che la regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio” rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione RAGIONE_SOCIALE fonti di prova (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 270108 GLYPH 01; Sez. 4, n. 2132 del 12/01/2021, Maggio, Rv. 280245 – 01).
Osserva ancora il collegio che, nel caso di specie si è in presenza di una “doppia conforme” di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, giungono a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione RAGIONE_SOCIALE medesime emergenze istruttorie, cosicché vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia quando, per l’appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (cfr., Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, NOME, 252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
Tra i vizi riconducibili al novero di quelli denunziabili ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. vi è quello del “travisamento” che, come è noto, è ravvisabile nel caso di contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame, ovvero dall’errore cosiddetto revocatorio, che cadendo sul significante e non sul significato della prova, si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio ovvero nella omessa valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (cfr., Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. 257499; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, COGNOME, Rv. 272406; Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, COGNOME, Rv. 276567).
In altri termini, il vizio di “travisamento” deve riguardare una prova che non sia stata affatto valutata ovvero che sia stata considerata dal giudice di merito in termini incontrovertibilmente difformi (non già dal suo “significato” ma) dal suo “significante” e che venga individuata specificamente e “puntualmente” oltre che idonea a disarticolare il ragionamento su cui si fonda la decisione impugnata.
È necessario, dunque, che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione (o di altro elemento di prova) e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (cfr., Sez. 5, Sentenza n. 48050 del 02/07/2019, S, Rv. 277758, secondo cui il vizio di travisamento della prova è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o
ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio).
2.1 Tanto premesso, NOME COGNOME era stato tratto a giudizio e giudicato responsabile, nei due gradi di merito, del delitto di cui agli artt. 110, 640 e 61 n. 7 cod. pen. perché “… con artifizi e raggiri, inducendo COGNOME NOME a consegnare ad un soggetto rimasto ignoto gioielli del valore complessivo di euro 66.110,00, al fine di farli sottoporre a perizia per la successiva vendita, non restituendo gli stessi al COGNOME, si procurava un ingiusto profitto con altri danno patrimoniale di rilevante gravità”.
2.2 I giudici di merito hanno ricostruito la vicenda sulla scorta RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni della persona offesa ma, anche, della documentazione acquisita e di altri elementi di prova risultati all’esito coerenti con la versione dei fatti che era stata proposta dal COGNOME; era stato dunque appurato un iniziale contatto intercorso tra il COGNOME ed il COGNOME, che si era presentato come persona particolarmente facoltosa ed asseritamente intenzionato, da un lato, a vendere dei brillanti di sua proprietà per circa 3 milioni di euro e, d’altro lato, ad acquistare gioielli per circa 200.000 per conto RAGIONE_SOCIALE società di cui era titolare e da utilizzare come omaggi ai clienti.
In data 17.11.2016 i due si erano incontrati presso la sede romana della RAGIONE_SOCIALE (società di consulenza per conto della quale operava il COGNOME) dove il COGNOME aveva affermato di essere un chirurgo plastico e titolare di molte società; un secondo incontro era avvenuto il giorno 30 novembre quando il COGNOME aveva mostrato al COGNOME i gioielli di sua proprietà tra cui l’imputato aveva scelto quindici pezzi per i quali la persona offesa aveva indicato il prezzo cumulativo di 66.000 euro, immediatamente accettato dal suo interlocutore a condizione che l’affare si concludesse entro il 1 dicembre; a tal fine, anzi, il COGNOME si era offerto di ospitare il COGNOME presso l’Hotel Ristorante “Il Faro” di Taranto dove, a suo dire, sarebbe stato raggiunto dai suoi soci per concludere la transazione.
Giunto il COGNOME a Taranto, la sera, dopo cena, i due erano stati raggiunti da un esperto di fiducia del COGNOME che aveva tuttavia chiesto di poter meglio esaminare i gioielli presso il suo laboratorio, così prelevandoli ed allontanandosi senza dar tempo al COGNOME di reagire; il COGNOME, passato del tempo, aveva quindi ricevuto diverse telefonate da colui che avrebbe dovuto portare il corrispettivo in denaro per l’acquisto dei gioielli e si era ad un certo punto allontanato dall’Hotel con il pretesto di andare incontro al predetto per poi richiamare telefonicamente il COGNOME (che aveva iniziato ad insospettirsi tanto da registrare la telefonata tra il COGNOME ed il suo sconosciuto interlocutore)
sostenendo di essere stato fermato dalla RAGIONE_SOCIALE che aveva sequestrato il denaro e dandogli appuntamento per il giorno successivo.
Il giorno successivo, giunto in albergo, il COGNOME aveva promesso che alle 10.30 il suo socio avrebbe portato il denaro, cosa mai avvenuta sicché il COGNOME era rientrato a Roma ed i successivi contatti con il COGNOME, che accampava il pretesto di essere bloccato a Taranto per le indagini della GdF, non avevano sortito alcun effetto sino allo sfumato incontro programmato presso la W.B.I. del 21.12.2016 quando la persona offesa si era convinta di essere stato vittima di una truffa.
2.3 A fronte dell’impugnazione proposta dalla difesa dell’odierno ricorrente ritiene il collegio che la Corte d’appello abbia fornito una motivazione esaustiva in fatto in quanto puntualmente ancorata alle emergenze istruttorie di cui ha dato di volta in volta conto e, nel contempo, assolutamente corretta in diritto quanto alla riconducibilità della condotta dell’imputato nel paradigma disegnato dall’art. 640 cod. pen..
I giudici di secondo grado hanno motivato in termini congrui ed incensurabili sulla attendibilità del COGNOME facendo riferimento ai riscontri di natura oggettiva rappresentati dalle e-mail in atti (relative ai plurimi contatti con il COGNOME) ma, anche, dal viaggio a Taranto e dalla stessa consegna dei gioielli, risultante dalla – non contestata nel suo contenuto – registrazione audio acquisita agli atti; per altro verso, hanno valorizzato le “incredibili” giustificazioni fornit dall’imputato a fronte RAGIONE_SOCIALE reiterate richieste del COGNOME di restituzione dei gioielli ovvero di pagamento del prezzo pattuito.
La Corte d’appello, evadendo le censure difensive, ha dato conto RAGIONE_SOCIALE “contraddizioni” segnalate dalla difesa e che sarebbero emerse dal racconto del COGNOME (che si assume persona esperta e navigata nel settore dei preziosi ma al contempo tanto ingenuo dal recarsi a Taranto recando con sé gioielli di valore complessivamente elevato sino, infine, alla tardiva e marginale cautela attivata registrando i colloqui) sottolineando, per l’appunto, come la ricostruzione offerta dalla persona offesa fosse comunque resistente a siffatte obiezioni (cfr., pag. 9 della sentenza impugnata in cui la Corte ha sottolineato come l’atteggiamento del COGNOME fosse “… frutto del latente contrasto tra la fiducia riposta nell’imputato, anch’essa conseguenza dell’incredibile messinscena ordita dal predetto, e quel residuo di cautela derivante dall’esperienza lavorativa pluriennale … sebbene tardivamente e marginalmente attuata”); non ha mancato di prendere in esame la indicazione, da parte del COGNOME, dei presunti “soci” da lui menzionati nei messaggi inviati al COGNOME che, con argomentazione non manifestamente illogica in quanto frutto di una valutazione di merito, ha considerato un mero
“espediente” per fare pressione sull’imputato al fine di indurlo a restituire i gioielli, circostanza che ha anche corroborato con il puntuale riferimento alla discordanza circa il numero di costoro (cfr., ivi).
I giudici di secondo grado hanno infine motivato in termini assolutamente lineari e corretti quanto alla tempestività della querela: hanno infatti sottolineato che soltanto alla fine del mese di dicembre, quando erano ormai sfumati tutti i tentativi di recuperare i gioielli o ottenerne il prezzo pattuito, il COGNOME avesse avuto piena consapevolezza del fatto di essere stato vittima di una vera e propria truffa.
È d’altra parte pacifico e consolidato il principio per cui il termine per la presentazione della querela decorre dal momento in cui il titolare ha conoscenza certa, sulla base di elementi seri e concreti, del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 37584 del 05/07/2019, COGNOME, Rv. 277081 – 01, Sez. 5, n. 46485 del 20/06/2014, COGNOME, Rv. 261018 01; Sez. 5, n. 33466 del 09/07/2008, COGNOME, Rv. 241395 – 01; Sez. 5, n. 12634 del 13/12/2000, dep. 2001, COGNOME, Rv. 218565 – 01).
Altrettanto pacifico è che l’onere della prova della intempestività della stessa è a carico del querelato che la deduce e, nella eventuale situazione di incertezza, va risolta a favore del querelante (cfr., in tal senso, per tutte, Sez. U, n. 12213 del 21/12/2017, dep. 2018, Zucchi, Rv. 272170 – 01).
3. Il secondo motivo è a sua volta manifestamente infondato: dalla ricostruzione della vicenda restituita dalla lettura RAGIONE_SOCIALE due sentenze di merito risulta pacifico che il COGNOME avesse la disponibilità dei gioielli al fine di vender e che, pertanto, proprio in quanto autorizzato a disporne in tal senso, ne avesse una detenzione “qualificata” idonea, pertanto, a fondare la legittimazione a proporre querela (cfr., tra le più recenti, Sez. 4 , n. 7193 del 20/12/2023, dep. 2024, P. Rv. 285824 – 01, che ha riconosciuto la legittimazione a proporre querela alla cassiera di un supermercato pur se sprovvista dei poteri di rappresentanza del proprietario, in quanto titolare della detenzione qualificata del bene a scopo di custodia o per l’esercizio del commercio al suo interno; conf., Sez. 5, n. 55025 del 26/09/2016, Mocanu, Rv. 268906 – 01, che ha ritenuto legittimato il custode di uno stabilimento al cui interno era stato commesso un furto, in quanto titolare di una posizione di detenzione materiale qualificata della cosa; Sez. 5, n. 33813 del 26/05/2023, Breda, Rv. 284991 – 01, relativa all’amministratore di condominio in ragione della detenzione qualificata rispetto alle risorse economiche del condominio e della necessità di assicurare il corretto espletamento dei servizi comuni).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
Il COGNOME va inoltre condannato alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di assistenza della costituita parte civile nel presente grado, che si liquidano come in dispositivo alla luce dell’attività svolta.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME che liquida in complessivi euro 3.686,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 2.10.2024