Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18861 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18861 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a POLICORO il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a MARSICOVETERE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/04/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 Febbraio 2022 emessa nei confronti degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, il Tribunale di La Spezia, riqualificata l’originaria accusa relativa ai reati di cui agli artt. 81 cpv., 110 e 629, comma 2, cod. pen. nel delitto di c all’art. 640, comma 2, n.2, cod. pen., condannava gli imputati alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 1.200 di multa, oltre all’applicazione della pena accessoria ex art. 29 cod. pen. e la condanna in solido al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita NOME COGNOME.
Avverso la predetta decisione NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano appello. La Corte territoriale, con sentenza del 4 aprile 2023, in parziale riforma dell condanna inflitta in primo grado, condannava entrambi gli appellanti alla minor pena di anni 2 e mesi 9 di reclusione e 1.200 euro di multa, eliminando le pene accessorie e confermando le statuizioni civili.
Nei confronti della citata sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME, a mezzo dei rispettivi difensori, propongono ricorso per cassazione, deducendo entrambi due motivi, in parte sovrapponibili.
L’imputato NOME COGNOME eccepisce con un primo motivo la violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., in ordine alla manifesta illogicità contraddittorietà della motivazione, nonché relativamente al travisamento dei fatti oggetto dell’imputazione a carico del ricorrente. In particolare, deduce che nei confronti del COGNOME vi sarebbe solo un indizio, ossia essere l’intestatario della car postpay su cui venivano versati i soldi dalla persona offesa. Inoltre, non sussisterebbe l’aggravante dell’aver ingenerato nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario, dato che le minacce operate dalla COGNOME di togliersi la vita, venivano impartite a se stessa e nessun male ingiusto era mai stato prospettato in ordine alla sfera personale della persona offesa NOME COGNOME, il quale in ogni momento avrebbe potuto interrompere la relazione virtuale con la donna e decidere di non inviare più soldi alla stessa. Vi sarebbe quindi, un’evidente inidoneità della condotta ad integrare il reato di truffa aggravata. Contesta altresì che la sentenza di appello confermativa della decisione di primo grado sarebbe viziata per carenza di motivazione in quanto si sarebbe limitata a riprodurre la decisione confermata dichiarando in termini apodittici e stereotipati di aderirvi, senza dar conto deg specifici motivi di impugnazione che l’appellante aveva prospettato avverso le soluzioni adottate dal giudice di primo grado. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
3.1 Con un secondo motivo lamenta il vizio di motivazione relativamente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, in quanto la Corte di appello non avrebbe vagliato adeguatamente gli elementi emersi dall’istruttoria dibattimentale con riferimento alla condotta attribuita al ric:orrente, né avrebbe ottemperato al principio costituzionale di assicurare una pena “congrua”, rispettosa del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e della finalità rieducativa della pena (art. 27, comma 3, Cost.).
L’imputata NOME COGNOME, formula, anch’essa, due motivi di ricorso. Con il primo lamenta la violazione di legge in relazione all’art. 640, comma 2, n. 2, cod. pen., poiché nessun pericolo di danno si è mai paventato nei confronti della persona offesa, come dalla stessa riferito. Né può essere accolta la tesi fornita dall’impugnata sentenza, secondo cui il pericolo di danno da rinvenire in capo alla persona offesa sarebbe quello indiretto, ossia riconducibille all’imputata stessa (che aveva prospettato di uccidersi) e all’immaginaria figlia malata.
4.1 Con il secondo motivo eccepisce il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante delle più persone riunite, in quanto nella sentenza impugnata, malgrado lo specifico motivo di appello, non vi è alcuna motivazione al riguardo, e non quindi possibile comprendere se l’aggravante è stata esclusa oppure applicata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché proposti fuori dai casi previsti dalla legge perché manifestamente infondati.
Con riguardo al primo motivo del ricorso di NOME COGNOME inerente al vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine al delitto di truffa aggravata, nonché al primo motivo dedotto da NOME COGNOME relativamente alla violazione di legge con riferimento all’art. 640, comma 2, n. 2, cod. pen., si ritiene che essi sian manifestamente infondati.
Deve essere preliminarmente evidenziato che la sentenza di appello oggetto di ricorso in relazione al reato di truffa, aggravata dall’aver ingerierato nella vitti timore di un pericolo immaginario, costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Giudice per le indagini preliminari, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 2, n.33588 del 13.07.2023, COGNOME, n.m.; Sez. 2, n. 6560 del 8/10/2020, COGNOME, Rv. 280654 – 01). Va, altresì, evidenziato che la modifica dell’art. 606 lett. e) co proc. pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Corte di legittimità di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici merito, mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali possa essere dedotta sotto lo stigma del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevant
e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile ictu ()culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 3, n. 18521 dei 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217 – 01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099 – 01; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, Rv. 237652). Questa Corte, infatti, con orientamento (Sez. 2, n. 5336 del 9/1/2018 Rv. 272018; Sez. 6, n. :19710 del 3/2/2009, Rv. 243636) che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza della c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilità per la truffa), il vizio di travisamento dei fatti o della prova possa essere rilevato in sede legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) ch l’argomento probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Invero, sebbene in tema di giudizio di RAGIONE_SOCIALEzione, in forza della novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vi di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critich motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice). Tanto premesso, rileva il Collegio come nel caso in esame non si versi in ipotesi di travisamento dei fatti o della prova nei termini sopra specificati e c peraltro, la Corte di appello, ha fornito adeguate risposte ai motivi di ricors enucleando con chiarezza le condotte truffaldine dei due imputati. In conclusione, le difese – più che del travisamento de i fatti – si dolgono del percorso motivazionale seguito dai giudici di merito, che in modo congruo ed esaustivo hanno ritenuto la configurabilità del delitto di cui all’art. 640, comma 2, n.2, cod. pen., dichiarando non condividerlo. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha avuto cura di precisare che nel giudizio di cassazione sono precluse al giudice di legittimità la rilettura deg elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicat dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 2, n. 9106 d 12/2/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, COGNOME, Rv. 280601 – 01; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482 – 01). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
2.1 Con riguardo specifico alla posizione di NOME COGNOME, i giudici di merito hanno motivato adeguatamente in ordine alla sussistenza di prove indiziarie inconfutabili circa la sua partecipazione alla truffa. Egli, infatti, fu il diretto beneficiar numerosi versamenti da parte della persona offesa delle cospicue somme di denaro oggetto della truffa, in quanto intestatario della carta postpay indicata alla vittima da NOME COGNOME, all’epoca sua fidanzata. Come riferito dalla persona offesa nel corso del dibattimento, la COGNOME non si lamentò mai di non aver ricevuto le somme accreditate sulla carta postpay del COGNOME, né mai quest’ultimo si attivò, anche solo per chiedere spiegazioni, circa la ricezione di somme di denaro non trascurabili da parte di un soggetto a lui sconosciuto. Queste due circostanze rappresentano una prova indiziaria certa in ordine alla partecipazione a titolo di concorso di COGNOME nella tru perpetrata dalla COGNOME, con cui, evidentemente, condivise il profitto illecito che concretizzava, in più momenti, sulla sua carta postpay. Per ribaltare queste emergenze probatorie la difesa di NOME COGNOME avrebbe dovuto, quantomeno, allegare delle circostanze da cui ricavare elementi di prova a discarico, ad esempio sul fatto che il COGNOME non era in realtà in possesso della c::arta postpay al momento di ricevere i versamenti della vittima, perché l’aveva smarrita o gli era stai:a sottratta. Nei d giudizi di merito non vi è, invece, traccia di plausibili versioni alternative in ordin possesso della carta postpay.
Le sentenze dei giudici di merito hanno, quindi, motivato sul punto in maniera corretta e adeguata, di talché i motivi di ricorso sono inammissibili non ravvisando, questo Collegio, alcun travisamento dei fatti e delle prove assunte, né alcun vizio di illogicità o contraddittorietà delle motivazioni della Corte di appello.
2.2 Quanto alla deduzione circa l’erronea configurabilità dell’aggravante dell’aver ingenerato nella vittima NOME COGNOME il timore di un pericolo immaginario, su cui entrambi i ricorrenti hanno sollevato eccezioni, va affermato che essa è stata correttamente ritenuta dai giudici di merito, non avendo rilevanza, a tal proposito, che il pericolo immaginario prospettato alla persona offesa per indurlo a versare denaro in favore dell’autrice del raggiro riguardasse la stessa protagonista della truffa. Come evidenziato nella sentenza impugnata, la COGNOME prospettò al COGNOME “di togliersi la vita” perché disperata a causa della grave malattia della figlia e dalla mancanza di sufficienti risorse economiche per curarla; si trattava di un pericolo del tutto inventato perché la truffa era consistita proprio nel far credere al vittima che la donna avesse una figlia gravemente malata, con l’evidente fine di ottenere un aiuto economico dal COGNOME. La Corte di appello ha affermato quanto
segue: “Non può poi escludersi l’aggravante contestata riguardante il timore di un pericolo immaginario perché, oltre al danno che sarebbe potuto derivare dalle prospettazioni della COGNOME (aggravamento delle condizioni della piccola, intenzione della madre di togliersi la vita per la disperazione), non può escludersi che i paventato danno avrebbe coinvolto la persona offesa, in quanto riguardava persone a cui si sentiva ormai legato ovvero la C:avallo e la sua figlia ammalata”, considerazione su cui le difese non si sono per nulla confrontate, limitandosi a ribadire l’interpretazione della norma da loro già esposta nell’atto di appello.
Al di là della aspecificità dei motivi di ricorso, va, in ogni caso, rilevato l’aggravante di cui al comma secondo, n.2, dell’art. 640 cod. peri, ricorre certamente nel caso di specie. La norma citata non distingue in alcun modo a chi debba riferirsi la prospettazione del pericolo immaginario, e la giurisprudenza di legittimità ha, in più occasioni, ritenuto che il pericolo immaginario potesse riferirsi anche ai familiar della vittima della truffa (si veda per ultimo Sez.2, n.49519 del 29.11.2019, COGNOME, Rv. 278004-01; Sez.2, n.42445 del 19/10/2012, Rv. 253647-0:I). Il Collegio ritiene che ai fini del riconoscimento dell’aggravante ciò che davvero rileva è l’idoneità del prospettato pericolo immaginario a trarre in inganno la persona offesa su determinate circostanze fattuali, tale da indurlo a compiere atti dispositivi in favore dell’aut della truffa. Nel caso di specie, i giudici di merito, derubricando l’origina imputazione di estorsione, hanno ritenuto che il COGNOME sia stato indotto a versare del denaro alla COGNOME, non per timore che la donna riferisse della loro relazione alla compagna della persona offesa, ma piuttosto per l’erronea percezione della realtà derivante dalle condotte di raggiro: in un primo momento agì allo scopo di aiutare economicamente la COGNOME a curare la presunta figlia malata, ed, in una seconda fase, si convinse a versare ulteriore denaro alla truffatrice per il timore ingenerat fraudolentemente che la donna compisse gesti autolesionistici, da lei prospettati in ragione della manifestata situazione di disperazione personale. Non vi sono, perciò, dubbi che il prospettato pericolo di “togliersi la vita” nel contesto di una situazio tragica collegata alla grave malattia della presunta figlia, sia stata una condott decettiva in concreto idonea a raggirare la persona offesa, la quale aveva stretto un forte legame affettivo, seppure a distanza, con la donna, tanto da averle già inviato consistenti somme di denaro allo scopo di aiutarla per c:urare la figlia. La concatenazione di questi fatti: la grave malattia della presunta figlia, la manifestat situazione di disperazione, la prospettazione di possibili gesti autolesionistici mancanza di ulteriore sostegno economico, integra perfettamente lo schema tipico della truffa aggravata ex art. 640, comma 2, n.2 cod. pen., non essendo a tal fine necessario che il pericolo immaginario riguardi direttamente la persona offesa, Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
purché essa sia tratta in inganno dal timore ingenerato da prospettazioni artatamente rappresentate dall’autore della vittima.
Per queste ragioni i citati motivi di ricorso sono, quindi, inammissibili.
Al pari inammissibile è il secondo motivo di ricorso dedotto da NOME COGNOME.
La sentenza impugnata argomenta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche sotto tre profili: assenza di motivi di meritevolezza; gravità de fatto illecito, compiuto con professionalità e disinvoltura; entità del danno cagioNOME alla vittima. Si tratta di argomentazioni che non presentano vizi rilevabili in sede d legittimità, considerato che “in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini de concessione o dell’esclusione” (cfr. tra le tante Sez.2, n.23903 del 17.07.2020, Rv. 279549-01; Sez. 5, n.43952 del 13.04.2017, Rv. 271269-01).
Il secondo motivo del ricorso della COGNOME è manifestamente infondato. Infatti, la Corte di appello correttamente non ha motivato nulla in ordine all’aggravante delle più persone riunite, dato che essa era stata contestata in relazione all’originaria imputazione di estorsione, che, come già evidenziato, è stata derubricata già in primo grado nel delitto di truffa aggravata.
Per tutte le considerazioni fin qui esposte, dunque, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla inammissibilità degli stessi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processualli, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibili emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa di euro tremila a favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 24/01/2024