Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9588 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9588 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME nato a TORTORICI il 14/03/1968 avverso la sentenza del 19/09/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni della difesa che ha insistito per l’annullamento della sentenza.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Messina, con sentenza in data 19 settembre 2022, in parziale riforma della pronuncia del G.U.P. del Tribunale di Patti del 16-9-2021, riduceva la pena inflitta a NOME COGNOME Sebastiano in ordine ai reati di cui agli artt. 640 bis e 479 cod.pen. allo stesso ascritti ad anni 2 di reclusione.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, avv.to NOME COGNOME deducendo, con distinti motivi qui riassunti ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.:
violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod.proc.pen. con riferimento al regolamento comunitario n. 73 del 2009 ed all’art. 640 bis cod.pen. posto che, ai sensi del primo provvedimento, la disponibilità di estensioni di terreno su cui esercitare le attività agricole Ł condizione sufficiente per ottenere l’erogazione dei premi comunitari sicchØ l’imputato aveva ricevuto legittimamente i contributi comunitari in virtø dell’utilizzazione dei terreni che non poteva ritenersi smentita da differenti emergenze probatorie;
violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione alla mancata diversa qualificazione giuridica dei fatti nell’ipotesi di cui all’art. 316 ter cod.pen. e con riferimento al mancato assorbimento in detto reato anche delle ipotesi di falso; al proposito, infatti, si rappresentava non sussistere gli elementi integrativi la piø grave fattispecie di cui all’art. 640 bis cod.pen. essendo l’ente erogatore chiamato soltanto a prendere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati, senza che la volontà della P.A. potesse ritenersi raggirata dall’attività dell’imputato;
violazione di legge in relazione alla negazione delle attenuanti generiche;
erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod.pen. posto che avrebbe dovuto farsi riferimento al valore di ciascuna operazione illecita e non anche all’ammontare complessivo del danno cagionato;
prescrizione dei reati maturata nelle more del deposito della sentenza di appello quantomeno per i fatti commessi negli anni 2015 e 2016;
violazione del divieto di reformatio in pejus quanto alla disposta confisca per equivalente rispetto alla pronuncia dichiarativa della prescrizione in primo grado per i fatti avvenuti nel 2012 e 2013 stante la non applicabilità del disposto di cui all’art. 578 bis cod.proc.pen. che, secondo l’interpretazione delle Sezioni Unite, può essere applicato solo ai fatti commessi successivamente la sua entrata in vigore, avuto riguardo alla natura sanzionatoria della misura.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi due motivi sono manifestamente infondati ed anche reiterativi di doglianze già compiutamente vagliate e disattese dalla corte di merito, e devono, pertanto, essere dichiarati inammissibili.
Ed invero, quanto alle doglianze con le quali si contesta la sussistenza della contestata fattispecie ovvero la qualificazione giuridica dei fatti ai sensi dell’art. 640 bis cod.pen. piuttosto che in quella che si assume corretta dell’art. 316 ter cod.pen., va ricordato come tale ultima norma costituisca fattispecie residuale rispetto alle ipotesi di truffa finalizzate al conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640 bis cod.pen.. Il principio risulta, innanzi tutto, dalla lettera inequivocabile della norma che si apre proprio con una precisa clausola di riserva escludendo l’applicazione dell’ipotesi di cui all’art. 316 ter cod.pen. ogni qual volta ricorrono i casi di cui all’art. 640 bis cod.pen. ( Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640 bis…. ). Così che l’interprete, per procedere alla esatta qualificazione giuridica dei fatti, deve, dapprima, escludere l’ipotesi della truffa e, solo dopo, eventualmente inquadrare la fattispecie concreta in altro e diverso reato; ove, quindi, sussistano sia gli artifici ed i raggiri che l’induzione in errore tramite inganno, non vi Ł dubbio che va applicata la fattispecie piø grave di cui al citato art. 640 bis cod.pen.. Detto principio risulta inequivocabilmente affermato dalle Sezioni Unite nella pronuncia Carchivi (Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Rv. 235962 – 01) che in motivazione espressamente precisa come ” la costruzione del delitto di cui all’art. 316 ter c.p. come un’ipotesi speciale di truffa finirebbe per vanificare l’intento del legislatore che, anche in adempimento di obblighi comunitari, aveva perseguito l’obiettivo di espandere ed aggravare la responsabilità per le condotte decettive consumate ai danni dello Stato o dell’Unione europea; mentre proprio tali condotte risulterebbero invece punite meno severamente a norma dell’art. 316 ter comma 1 c.p. o addirittura sottratte alla sanzione penale a norma dell’art. 316 ter comma 2 c.p. nei casi di minore gravità. Ora non v’Ł dubbio che il legislatore del 2000, quando ha inserito nel codice penale l’art. 316 ter, ha ritenuto appunto di estendere la punibilità a condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, esattamente come già il legislatore del 1986, che aveva previsto un’analoga fattispecie criminosa (art. 2 della legge 23 dicembre 1986 n. 898). E questa possibile diversità della fattispecie di truffa rispetto a quelle introdotte nel 1986 e nel 2000 Ł stata piø volte riconosciuta sia dalla Corte costituzionale sia da queste stesse Sezioni unite, sebbene con un affidamento all’interprete del compito di verificare caso per caso se sia configurabile il delitto di truffa aggravata (art. 640 bis c.p.) ovvero quello residuale previsto appunto dall’art. 316 ter c.p. (C. cost., n. 25/1994, C. cost., n. 433/1998, C. cost., n. 95/2004; Cass., sez. un., 24 gennaio 1996, Panigoni, m. 203969)….. Non rimane quindi che privilegiare il secondo orientamento interpretativo, con la consapevolezza tuttavia che, in conformità del resto ai dichiarati intenti del legislatore, l’ambito di applicabílità dell’art. 316 ter c.p. si riduce così a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale “.
Successivamente, proprio osservando i dettami delle Sezioni Unite, si Ł stabilito come il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche differisce da quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche per la mancanza dell’elemento dell’induzione in errore, la quale può anche desumersi dal falso documentale allorchØ lo stesso, per le modalità di presentazione o per altre caratteristiche, sia di per sØ idoneo a trarre in errore l’autorità; e nel caso in esame la Corte ha ritenuto artificiosa – e pertanto idonea ad integrare il reato di truffa in danno di ente pubblico – la falsa attestazione, sottoscritta con firma apocrifa di cui l’imputato aveva consapevolezza, di essere nelle condizioni per poter beneficiare dell’indennità di disoccupazione (Sez. 2, n. 49464 del 01/10/2014, Rv. 261321 – 01).
1.1 L’applicazione dei sopra esposti principi comporta dichiarare del tutto corretta la conclusione cui perveniva la corte di merito la quale segnalava come, a sostegno delle proprie domande di contributi, l’imputato avesse allegato falsi contratti di affitto di fondi agricoli tutti disconosciuti dai reali proprietari dei fondi, così commettendo entrambe le ipotesi contestate a seguito dell’inganno realizzato mediante la falsa documentazione. Esente dai lamentati vizi appaiono, pertanto, sia l’affermazione di responsabilità che la qualificazione giuridica dei fatti.
Quanto al terzo motivo, alcun vizio sussiste nella pronuncia impugnata circa la negazione delle attenuanti generiche posto che il giudice di appello ha fatto riferimento nella motivazione esposta a pagina 6 della sentenza a precise circostanze di fatto valutate in assenza di qualsiasi illogicità.
Il quarto motivo, con il quale si lamenta il riconoscimento dell’aggravante ex art. 61 n. 7 cod.pen. non Ł proponibile nella presente sede di legittimità in quanto mai dedotto in sede di appello ed involgente un profilo di violazione di legge non sottoposto all’analisi della corte di merito con evidente violazione dell’art. 606 comma 3 cod.proc.pen.. In ogni caso il motivo non Ł in alcun modo fondato; con orientamento che si condivide la Corte di cassazione ha affermato che in tema di reato continuato, valendo il principio di unitarietà in mancanza di tassative esclusioni, la valutazione della sussistenza o meno dell’aggravante del danno di rilevante gravità deve essere effettuata con riferimento, non al danno cagionato da ogni singola violazione commessa nei confronti di un’unica persona offesa, ma a quello complessivo, causato alla stessa, dalla somma delle violazioni (Sez. 2, n. 40314 del 03/05/2023, Rv. 285253 – 01; Sez. 2, n. 25030 del 31/05/2022, Rv. 283554 – 01; Sez. 2, n. 34525 del 13/07/2021, Rv. 281866 – 01).
E nel caso di specie l’ammontare del danno arrecato all’unica persona offesa attraverso le plurime truffe attuate mediante l’invio dei falsi contratti ammonta ad oltre 152.000 €, importo al quale deve certamente riconoscersi la rilevante entità.
Totalmente generico Ł il quinto motivo, con il quale il ricorso deduce l’intervenuta prescrizione dei fatti commessi nel corso degli anni 2015 e 2016 senza indicare nØ i momenti consumativi degli stessi nØ, tantomeno, la disciplina della prescrizione applicabile pro tempore stante la modifica in tema di interruzione di cui al secondo comma dell’art. 161 cod.pen. e dell’entità della pena ex art. 640 bis primo comma cod.pen..
In ogni caso irrilevante appare poi l’eventuale maturazione della causa estintiva nelle more del deposito della motivazione di appello poichØ per costante orientamento ai fini del computo della prescrizione rileva il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non quello successivo del deposito della stessa (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Rv. 277593 – 02).
Quanto poi alle doglianze in tema di confisca va fatta applicazione del principio secondo
cui non viola il divieto di “reformatio in pejus” una diversa qualificazione giuridica della misura ablatoria disposta dal giudice di appello rispetto a quella stabilita in primo grado, pur in assenza di gravame sul punto da parte del pubblico ministero, in quanto l’attribuzione alla misura di una diversa qualificazione giuridica costituisce un’operazione istituzionalmente spettante al giudice, anche se di secondo grado; ed in motivazione la Corte ha ritenuto legittima la riqualificazione giuridica della confisca di denaro ai sensi dell’art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, convertito nella legge n. 356 del 1992, in luogo dell’originaria confisca facoltativa del profitto del reato, disposta dal giudice di primo grado ai sensi dell’art. 240, comma primo, cod. pen. (Sez. 3, n. 9156 del 17/12/2020 Ud. (dep. 08/03/2021 ) Rv. 281327 – 01). L’applicazione del sopra esposto principio al caso in esame comporta affermare che non vi Ł violazione del divieto stabilito dall’art. 597 comma 3 cod.proc.pen. nel caso in cui disposta la confisca obbligatoria in primo grado nella fase di appello, confermata la condanna dell’imputato, sia adottata la confisca per equivalente.
Peraltro, sul punto, il ricorso si prospetta non conducente non risultando in alcun modo che la confisca per equivalente sia stata disposta in relazione ai reati dichiarati prescritti in primo grado e cioŁ per i fatti avvenuti e consumati negli anni 2012 e 2013; ed infatti, in sede di giudizio di appello, Ł intervenuta la conferma dell’affermazione di responsabilità anche per episodi commessi negli anni successivi che avevano permesso l’acquisizione di profitti illeciti anche superiori all’importo del denaro sequestrato e poi confiscato e di cui al buono ordinario di 10.000 euro. Non si verte, pertanto, in un caso di applicazione dell’art. 578 bis cod.proc.pen. e ciò perchØ il giudice di appello non ha pronunziato alcuna declaratoria di prescrizione nella seconda fase del giudizio ma ha confermato la statuizione di condanna.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchØ al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 22/01/2025
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME