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Truffa aggravata per contributi: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un soggetto condannato per truffa aggravata per contributi. La condanna era basata sull’ottenimento di fondi agricoli europei mediante la presentazione di falsi contratti di affitto. La Corte ha ribadito che l’uso di documenti falsi integra gli “artifici e raggiri” tipici del reato più grave (art. 640 bis c.p.), escludendo la qualificazione nel meno grave reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316 ter c.p.).

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa aggravata per contributi: quando la bugia allo Stato costa caro

La richiesta di fondi pubblici è una procedura basata sulla fiducia e sulla correttezza delle dichiarazioni. Ma cosa succede quando questa fiducia viene tradita con documenti falsi? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito la linea sottile che separa l’indebita percezione di erogazioni dalla più grave truffa aggravata per contributi. Il caso riguarda un soggetto che aveva ottenuto finanziamenti agricoli europei presentando contratti di affitto di terreni falsificati, all’insaputa dei reali proprietari. La Suprema Corte, confermando la condanna, ha stabilito principi importanti sulla natura dell’inganno verso la Pubblica Amministrazione.

I fatti di causa

Un soggetto veniva condannato in primo grado e in appello per i reati di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640 bis c.p.) e falso ideologico (art. 479 c.p.). L’accusa era di aver ottenuto, per diversi anni, contributi comunitari per l’agricoltura presentando alla Pubblica Amministrazione domande corredate da falsi contratti di affitto di fondi agricoli. I reali proprietari dei terreni, infatti, erano del tutto ignari di tali contratti e non li avevano mai sottoscritti. La Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la prima sentenza, riducendo la pena a due anni di reclusione.

I motivi del ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi, tra cui:

1. Errata qualificazione giuridica: Si sosteneva che i fatti dovessero essere inquadrati nel reato meno grave di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316 ter c.p.), e non in quello di truffa aggravata. Secondo la difesa, mancava l’elemento dell’induzione in errore della P.A., la quale si sarebbe limitata a prendere atto di requisiti autocertificati senza essere attivamente raggirata.
2. Violazione di legge: Venivano contestati il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, l’errata applicazione dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità (calcolato sul totale e non sulle singole operazioni) e la maturazione della prescrizione per alcuni dei fatti contestati.
3. Divieto di reformatio in pejus: Si lamentava che la Corte d’Appello avesse disposto una confisca per equivalente in modo peggiorativo rispetto alla decisione di primo grado, violando il divieto di peggiorare la posizione dell’imputato in assenza di un ricorso del pubblico ministero.

La decisione della Corte sulla truffa aggravata per contributi

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni difensive. Il punto centrale della decisione riguarda la distinzione tra l’art. 640 bis e l’art. 316 ter del codice penale.

La Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato: l’indebita percezione (art. 316 ter c.p.) è una norma residuale. Si applica solo quando la condotta non integra la più grave fattispecie di truffa. La differenza fondamentale risiede nella presenza o assenza di “artifici e raggiri” che inducano in errore l’ente erogatore. Nel caso di specie, la presentazione di contratti di affitto materialmente falsi, con firme apocrife e all’insaputa dei proprietari, non è una mera dichiarazione mendace, ma una vera e propria macchinazione fraudolenta. Questa condotta è intrinsecamente idonea a ingannare la Pubblica Amministrazione sulla reale sussistenza dei presupposti per ottenere i contributi. Di conseguenza, la qualificazione del fatto come truffa aggravata per contributi è stata ritenuta pienamente corretta.

Gli altri profili di inammissibilità

Anche gli altri motivi di ricorso sono stati giudicati infondati o inammissibili. In particolare:

* Aggravante del danno: La Corte ha confermato che, in caso di reato continuato, il danno va valutato nel suo ammontare complessivo. Un danno di oltre 152.000 euro è stato considerato, senza alcun dubbio, di rilevante entità.
Confisca: Non vi è stata alcuna violazione del divieto di reformatio in pejus*, in quanto il giudice d’appello ha il potere di riqualificare la misura ablatoria e, nel caso specifico, la confisca era stata applicata sui profitti derivanti dai reati per i quali la condanna era stata confermata.

Le motivazioni

La motivazione della sentenza ruota attorno al concetto di “induzione in errore”. La Corte chiarisce che il reato di cui all’art. 316 ter c.p. copre situazioni marginali, come il mero silenzio o una condotta che non inganna attivamente il funzionario pubblico. Al contrario, quando l’agente pone in essere una condotta fraudolenta, come la produzione di documentazione falsa, che ha la capacità di trarre in inganno l’autorità, si rientra a pieno titolo nella fattispecie della truffa aggravata (art. 640 bis c.p.). La falsa attestazione, supportata da documenti falsificati, non è una semplice menzogna, ma un’attività ingannatoria complessa, che integra pienamente gli “artifici e raggiri” richiesti dalla norma sulla truffa.

Le conclusioni

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso nei confronti di chi tenta di ottenere illecitamente fondi pubblici. Le conclusioni che possiamo trarre sono chiare: la semplice presentazione di una domanda contenente dati non veritieri può, in alcuni casi, essere qualificata come indebita percezione. Tuttavia, se tale domanda è supportata da documenti falsi creati ad arte, la condotta si trasforma in truffa aggravata, con conseguenze penali ben più severe. La decisione della Cassazione serve da monito: l’ordinamento giuridico non tollera macchinazioni volte a frodare lo Stato e la Comunità, e distingue nettamente tra una semplice omissione dichiarativa e una complessa attività fraudolenta.

Qual è la differenza tra truffa aggravata per contributi (art. 640 bis c.p.) e indebita percezione (art. 316 ter c.p.)?
La differenza risiede nell’elemento dell’inganno. L’indebita percezione è un reato residuale che si applica quando non vi è una vera e propria induzione in errore dell’ente pubblico. La truffa aggravata, invece, si configura quando il soggetto utilizza “artifici e raggiri” (come documenti falsi) per ingannare attivamente la Pubblica Amministrazione e farle credere erroneamente di possedere i requisiti per ottenere i fondi.

La presentazione di contratti falsi per ottenere fondi pubblici è considerata truffa?
Sì. Secondo la sentenza, la presentazione di contratti di affitto falsificati, con firme apocrife e all’insaputa dei reali proprietari, costituisce un’attività fraudolenta idonea a integrare gli “artifici e raggiri” richiesti per il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, e non la meno grave fattispecie di indebita percezione.

Come viene calcolato il danno rilevante in caso di più truffe commesse nel tempo?
In caso di reato continuato, cioè più violazioni commesse con un medesimo disegno criminoso, la valutazione della sussistenza dell’aggravante del danno di rilevante gravità (art. 61 n. 7 c.p.) viene effettuata sull’ammontare complessivo del danno causato dalla somma di tutte le violazioni, e non sul danno di ogni singola operazione illecita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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