Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3096 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3096 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Lamezia Terme il 20/3/1998
avverso l’ordinanza del 6/7/2023 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 luglio 2023 il Tribunale di Catanzaro, a seguito di annullamento con rinvio, disposto dalla Seconda Sezione di questa Corte, ha confermato il provvedimento emesso il 7 ottobre 2022 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lamezia Terme, con cui era stata applicata ad NOME COGNOME la misura cautelare degli arresti domiciliari, nelle more revocata.
Si è ritenuto che l’indagato avesse perpetrato una truffa ai danni di NOME COGNOME tramite l’inserimento sul sito subito.it di un avviso di vendita di ponteggi per l’edilizia, inducendolo in errore sulla serietà della trattativa e così facendosi corrispondere la somma complessiva di euro 14.393,60 mediante due bonifici bancari, senza consegnare i beni.
Il Tribunale ha rappresentato che il ricorrente aveva dichiarato di avere interesse al ricorso al fine di valutare la sussistenza dei presupposti per ottenere la riparazione per ingiusta detenzione.
Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, che ha dedotto l’erronea applicazione degli artt. 627 cod. proc. pen., 640 e 61 n. 7 cod. pen. Il Tribunale, nel ritenere sussistente l’aggravante della minorata difesa, avrebbe trascurato che, in concreto, nel caso in esame, non vi sarebbe stata una sperequazione tra le parti contrattuali, in quanto le trattative sarebbero state svolte anche con lo scambio di messaggi. Sarebbe errata anche l’applicazione dell’art. 61 n. 7 cod. pen., in assenza della doverosa dimostrazione del danno di rilevante gravità subito dal soggetto truffato, che non è un lavoratore dipendente ma il legale rappresentante e amministratore di una società a responsabilità limitata, di cui non si conoscono i redditi. Escludendo le due aggravanti, si sarebbe trattato di una truffa semplice e, quindi, non sarebbe stata consentita l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
Riguardo alla censura relativa alla circostanza aggravante della minorata difesa va ricordato che con sentenza n. 27132 del 9 maggio 2023 la Seconda Sezione di questa Corte aveva annullato con rinvio l’ordinanza emessa dal Tribunale di Catanzaro, che aveva confermato il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari di Lametia Terme aveva applicato ad NOME COGNOME la misura cautelare degli arresti domiciliari per il reato di truffa aggravato.
La menzionata Sezione, avendo ritenuto che il Tribunale di Catanzaro non avesse fornito adeguata e approfondita motivazione circa la sussistenza concreta dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen., aveva onerato il Tribunale del rinvio di valutare, fuori dal ricorso a meccanismi presuntivi di semplificazione dimostrativa, se le concrete condizioni di contesto, nelle quali le trattative si erano
dipanate, avessero favorito una sperequazione tra le parti, rivelatasi essenziale, della quale l’alienante avesse consapevolmente tratto profitto.
In sede di rinvio, il Tribunale, dopo avere indicato come si erano svolti gli eventi, ha rilevato che la condotta del ricorrente aveva posto la persona offesa in condizione di non potere in alcun modo avere un contatto che le consentisse di identificare l’interlocutore e, men che meno, di incontrarlo e visionare la merce. Anche i contatti telefonici forniti non erano riconducibili all’autore della truffa, tanto che solo sofisticate e complesse indagini, descritte nell’ordinanza, avevano consentito di ricostruire come erano andate le cose e chi era stato il vero protagonista della trattativa e destinatario del denaro.
Così argomentando, il Tribunale di Catanzaro ha adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per cui doveva considerarsi integrata l’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen. Difatti, come ricordato anche nella sentenza rescindente, la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che sussiste l’aggravante della minorata difesa, con riferimento alle circostanze di luogo, note all’autore del reato e delle quali egli, ai sensi dell’art. 61 n. 5 cod. pen., abbia approfittato, nell’ipotesi di truffa commessa attraverso la vendita di prodotti “online”, poiché, in tal caso, la distanza tra il luogo ove si trova il deceptus, che di norma paga in anticipo il prezzo del bene venduto, e quello in cui si trova l’agente, determina una posizione contrattuale di maggior favore per quest’ultimo, consentendogli di schermare la sua identità, di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte dell’acquirente e di sottrarsi agevolmente alle conseguenze della propria condotta (Sez. 6, n. 17937 del 22/3/2017, COGNOME, Rv. 269893 – 01; Sez. 2, n. 43706 del 29/9/2016, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 268450 – 01; Sez. 2, n. 2585 del 28/10/2022, dep. 2023, n.m.).
Siffatta condivisa giurisprudenza identifica le condizioni della minorata difesa nella “costante” distanza tra alienante ed acquirente nel corso della trattativa, che si dipana interamente su piattaforma digitale. Questa modalità di contrattazione pone obiettivamente l’acquirente in una situazione di sfavore, in quanto egli è costretto ad affidarsi alle immagini, che non consentono una verifica della qualità del prodotto; a ciò si aggiunge che la trattativa telematica consente di vendere ed acquistare (anche) sotto mentite spoglie, rendendo complessa l’identificazione del contraente e ostacolando certamente il controllo sulle caratteristiche qualitative del prodotto offerto, oltre che sull’affidabilità dell’alienante.
Si è precisato, inoltre, che, al fine dell’integrazione dell’aggravante de qua, l’interprete deve rifuggire dalla prospettiva, anche implicita, della valorizzazione di presunzioni assolute e non può limitarsi a richiamare il dato astratto della commissione del reato in tempo di notte, ovvero on line, dovendo considerare lo specifico contesto spazio-temporale in cui si sono verificate le vicende fattuali
oggetto d’imputazione, sì da enucleare, in concreto, l’effettivo ostacolo alla pubblica e privata difesa che sia, in ipotesi, derivato dalla commissione del reato nella circostanza valorizzata (in questo caso, di luogo “virtuale”), nonché l’approfittamento di essa da parte del soggetto agente (v. sentenza rescindente e Sez. 2, n. 28070 dell’8/04/2021, Poropat, Rv. 281800 – 01).
Nel caso in esame, il Collegio della cautela ha esaminato le circostanze del caso concreto e ha correttamente posto in luce che la vendita si era svolta on -line con la costante distanza tra venditore e acquirente, idonea a porre quest’ultimo in una situazione di debolezza quanto alla verifica della qualità del prodotto e dell’identità del venditore.
Ne discende che la doglianza, formulata dal ricorrente in ordine all’aggravante della minorata difesa, è infondata.
Del pari infondata è la censura relativa all’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod. pen..
La somma di euro 14.393,60, consegnata dalla vittima all’indagato, è all’evidenza di entità oggettiva notevole, così che, contrariamente a quanto opinato dal ricorrente, le condizioni economiche della vittima non assumevano rilevanza.
Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di affermare che, nel valutare l’applicabilità dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, può farsi riferimento alle condizioni economico-finanziarie della persona offesa solo qualora il danno sofferto, pur non essendo di entità oggettiva notevole, può essere qualificato tale in relazione alle particolari condizioni della vittima, che sono, invece, irrilevanti quando l’entità oggettiva del danno è tale da integrare di per sé un danno patrimoniale di rilevante gravità (Sez. 2, n. 48734 del 6/10/2016, COGNOME, Rv. 268446 – 01).
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 3 dicembre 2024.