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Truffa aggravata: no badge e autocertificazione ore

Una dirigente condannata per truffa aggravata per aver sistematicamente omesso di usare il badge, autocertificando le ore di lavoro. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. La sentenza chiarisce che la sistematicità della condotta esclude la non punibilità per particolare tenuità del fatto e che la presunta buona fede non è sufficiente a escludere il dolo. Vengono inoltre respinti i motivi procedurali sollevati dalla difesa.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa aggravata per autocertificazione ore: la Cassazione fa il punto

Il mancato uso del badge e la successiva autocertificazione delle ore di lavoro possono integrare il reato di truffa aggravata. Questo è il principio ribadito dalla Corte di Cassazione in una recente sentenza che ha dichiarato inammissibile il ricorso di una dirigente condannata per tale condotta. La decisione offre spunti cruciali sulla valutazione del dolo, sui limiti della non punibilità per tenuità del fatto e sulla corretta gestione delle eccezioni procedurali.

I fatti del processo

Il caso riguarda una dirigente di un ente pubblico che, per un lungo periodo, aveva omesso di utilizzare il badge aziendale per la registrazione delle presenze. Invece di timbrare, la lavoratrice autocertificava il proprio orario di lavoro. Tale comportamento, secondo l’accusa, le aveva permesso di percepire una retribuzione non dovuta, configurando così una truffa ai danni dell’ente datore di lavoro. La Corte di Appello, pur dichiarando prescritti i fatti più risalenti, aveva confermato la responsabilità penale per le condotte successive, riducendo la pena.

Il ricorso in Cassazione e la valutazione della truffa aggravata

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi, sia di natura procedurale che di merito.

In primo luogo, sono state sollevate questioni procedurali relative alla tardiva notifica delle conclusioni del Procuratore Generale nel giudizio d’appello (svoltosi con rito cartolare) e a presunte irregolarità nella notifica della sentenza.

Nel merito, i punti principali erano:
1. Vizio di motivazione sul dolo: La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse confermato la colpevolezza basandosi solo sulla materialità del fatto (mancato uso del badge), senza valutare adeguatamente l’intenzione. La ricorrente affermava di aver agito in buona fede, ritenendo che la sua qualifica dirigenziale le consentisse una gestione autonoma dell’orario, pratica nota a colleghi e superiori.
2. Mancata applicazione della tenuità del fatto: Si contestava l’esclusione della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p., sostenendo che il danno economico fosse minimo e che la ricorrente si fosse adoperata per risarcire l’ente.
3. Diniego delle attenuanti: Infine, si lamentava il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e di quella del danno di speciale tenuità.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, fornendo importanti chiarimenti su ogni punto sollevato.

Sulla configurabilità della truffa aggravata

La Corte ha ritenuto che il tentativo della difesa di rimettere in discussione la valutazione dei fatti fosse inammissibile in sede di legittimità. I giudici hanno confermato che la motivazione della Corte d’Appello era logica e sufficiente nel ritenere provata la responsabilità. La condotta, consistita nel non usare il badge e nell’autocertificare le ore, integrava pienamente gli artifici e raggiri tipici della truffa, inducendo in errore l’amministrazione e procurando un ingiusto profitto. La presunta buona fede o la notorietà della prassi non sono state ritenute sufficienti a scardinare l’impianto accusatorio.

Sulla tenuità del fatto e le attenuanti

La Cassazione ha condiviso la decisione dei giudici di merito di escludere la non punibilità per particolare tenuità del fatto. La sistematicità e la protrazione temporale della condotta, unite a una spiccata intensità del dolo, sono state considerate ostative all’applicazione dell’art. 131-bis c.p. Questo principio conferma che la valutazione sulla tenuità non si basa solo sull’entità del singolo danno, ma su un’analisi complessa dell’intera fattispecie.
Anche il motivo relativo alle attenuanti è stato respinto. Il diniego delle attenuanti generiche è stato ritenuto ben motivato dall’assenza di segnali di resipiscenza. L’attenuante del danno di speciale tenuità (art. 62 n. 4 c.p.) è stata esclusa implicitamente, poiché il pregiudizio non era solo economico ma comprendeva anche il disservizio causato all’ente, rendendo il danno complessivo non “lievissimo” o “irrilevante”.

Sulle questioni procedurali

Infine, la Corte ha respinto i motivi procedurali, ribadendo un principio fondamentale: per far valere una nullità a regime intermedio (come la tardiva comunicazione di un atto), non basta segnalare l’irregolarità. La parte che la eccepisce deve dimostrare di avere un interesse concreto, specifico e attuale, spiegando quale pregiudizio effettivo sia derivato al proprio diritto di difesa. Una mera doglianza formale, priva di questa allegazione, è destinata a essere respinta.

Le conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la falsa attestazione della presenza in servizio, anche attraverso l’omissione del badge e l’autocertificazione, costituisce truffa aggravata. La decisione sottolinea che la qualifica del dipendente o una presunta prassi tollerata non sono di per sé sufficienti a escludere il dolo. Inoltre, la pronuncia è un monito importante sull’onere della prova in capo alla difesa quando si eccepiscono vizi procedurali: non basta lamentare un errore, bisogna dimostrare il danno concreto subito. Infine, viene confermato che condotte fraudolente sistematiche e protratte nel tempo difficilmente potranno beneficiare della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Non usare il badge e autocertificare le ore di lavoro può costituire truffa aggravata?
Sì. Secondo la sentenza, questa condotta integra gli artifici e raggiri necessari per il reato di truffa, in quanto induce in errore il datore di lavoro sul numero di ore effettivamente lavorate, procurando al dipendente un ingiusto profitto (la retribuzione per ore non prestate) con conseguente danno per l’ente.

Una condotta illecita ripetuta nel tempo può essere considerata di ‘particolare tenuità del fatto’?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la sistematicità e la protrazione temporale della condotta, insieme a una significativa intensità del dolo, sono elementi che escludono l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), anche se il singolo danno economico di ogni episodio fosse modesto.

Un vizio procedurale, come la tardiva comunicazione di un atto, comporta sempre l’annullamento della sentenza?
No. La Corte ha ribadito che per ottenere la declaratoria di una nullità a regime intermedio, la difesa non può limitarsi a segnalare l’irregolarità. È necessario allegare e dimostrare un interesse specifico, concreto e attuale, spiegando quale preciso pregiudizio al diritto di difesa sia derivato da tale vizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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