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Truffa aggravata medico: il silenzio è raggiro

La Corte di Cassazione conferma la condanna per truffa aggravata a un medico che, pur avendo un rapporto di lavoro esclusivo con un’azienda sanitaria, svolgeva attività privata senza comunicarlo. Secondo la Corte, il silenzio del professionista non è stata una mera omissione, ma un “silenzio espressivo” che ha integrato il raggiro, inducendo in errore l’ente pubblico e portandolo a erogare indebitamente l’indennità di esclusività. Il ricorso del medico è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa Aggravata Medico: Quando il Silenzio Diventa Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in materia di truffa aggravata medico: il silenzio, in determinate circostanze, cessa di essere una semplice omissione e si trasforma in un comportamento penalmente rilevante. Il caso riguarda un dirigente medico con rapporto di lavoro esclusivo che ha omesso di comunicare all’azienda sanitaria lo svolgimento di un’attività professionale privata, continuando così a percepire indebitamente l’indennità di esclusività. Analizziamo la decisione e le sue importanti implicazioni.

I Fatti: Il Doppio Lavoro del Dirigente Medico

Il protagonista della vicenda è un medico dipendente di un’azienda sanitaria pubblica, legato all’ente da un rapporto di lavoro che prevedeva un vincolo di esclusività (cosiddetto regime intra moenia). Questo vincolo gli garantiva, in busta paga, una specifica indennità economica. Nonostante tale accordo, il professionista esercitava la libera professione anche in forma privata presso un proprio ambulatorio (extra moenia).

L’aspetto cruciale è che il medico ha omesso di comunicare all’amministrazione sanitaria questa seconda attività. Di conseguenza, l’ente, non essendo a conoscenza della violazione del patto di esclusività, ha continuato a corrispondergli l’indennità non dovuta. La questione è giunta in tribunale, dove il medico è stato condannato in primo e secondo grado per truffa aggravata ai danni dell’ente pubblico.

La Decisione della Corte di Cassazione

Il medico ha presentato ricorso in Cassazione, contestando principalmente due punti: l’utilizzabilità di alcune prove testimoniali e, soprattutto, la configurabilità del raggiro. A suo avviso, il semplice silenzio non poteva essere considerato un atto idoneo a indurre in errore l’azienda sanitaria.

La Suprema Corte ha respinto completamente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile e confermando la condanna. I giudici hanno stabilito che il ricorso si limitava a riproporre questioni già correttamente risolte dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi con le solide motivazioni della sentenza impugnata. La condanna del medico al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria è diventata così definitiva.

Le Motivazioni

Il cuore della sentenza risiede nella qualificazione giuridica del comportamento del medico. La Cassazione chiarisce che, nel contesto di un rapporto contrattuale basato sulla fiducia e su obblighi specifici, il silenzio può assumere un valore ingannatorio. Non si tratta di un ‘silenzio-inerzia’, ma di un ‘silenzio espressivo’.

In questo caso, il medico, omettendo di comunicare una circostanza che aveva il dovere giuridico di rendere nota, ha implicitamente e fraudolentemente attestato la persistenza dei presupposti per l’erogazione dell’indennità di esclusività. Questo comportamento omissivo si è concretizzato in un atto conclusivo idoneo a ingannare l’amministrazione, inducendola a credere che il rapporto si stesse svolgendo regolarmente. Il silenzio ha integrato l’elemento del raggiro richiesto dall’art. 640 del codice penale, perché ha avuto l’effetto di influenzare la volontà dell’ente pubblico, portandolo a un’erogazione patrimoniale indebita.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale molto chiaro: nell’ambito dei rapporti di lavoro con la Pubblica Amministrazione, specialmente quelli che prevedono specifici obblighi di comunicazione, l’omissione di informazioni rilevanti può configurare il reato di truffa. Per i professionisti sanitari con vincolo di esclusività, questa pronuncia rappresenta un monito severo. La trasparenza nei confronti dell’ente di appartenenza non è solo un dovere deontologico e contrattuale, ma un obbligo la cui violazione può avere gravi conseguenze penali. Il silenzio, quando serve a mascherare una violazione contrattuale per ottenere un vantaggio economico, non è neutro, ma si qualifica come una condotta fraudolenta a tutti gli effetti.

Un medico con rapporto di esclusività può essere accusato di truffa se non comunica all’ospedale di svolgere attività privata?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, omettere di comunicare lo svolgimento di attività privata, violando il patto di esclusività e continuando a percepire la relativa indennità, integra il reato di truffa aggravata perché tale silenzio induce in errore l’ente pubblico.

In che modo il silenzio può costituire il reato di truffa?
Il silenzio costituisce truffa quando non è una semplice inerzia, ma si qualifica come “silenzio espressivo”. Ciò avviene quando, in un contesto contrattuale specifico, l’omessa comunicazione di un’informazione rilevante equivale a una dichiarazione fraudolenta, ingannando la controparte e inducendola a compiere un atto di disposizione patrimoniale dannoso.

Perché il ricorso del medico è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché è stato ritenuto privo della specificità richiesta dalla legge e perché riproponeva acriticamente questioni già correttamente decise dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi con le motivazioni della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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