Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3045 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3045 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato Ad Andria il 10 agosto 1952
avverso la sentenza resa il 3 novembre 2023 dalla Corte di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; sentite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME difensore della parte civile NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso e depositato nota spese; sentite le conclusioni degli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME GLYPH che hanno insistito per l’accoglimento del motivo di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bari, parzialmente riformando la sentenza resa il 28 Febbraio 2022 dal Tribunale di Trani, che aveva affermato la responsabilità di NOME COGNOME in ordine al delitto di truffa aggravata, ha dichiarato non doversi procedere in ordine a detto reato perché estinto per prescrizione e ha confermato la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile NOME
COGNOME, da liquidarsi in separato giudizio, e al pagamento di una provvisionale pari a 50.000 C.
Si addebitava all’imputato di avere, abusando delle proprie relazioni di ufficio in quanto impiegato della filiale di Andria del Banco di Napoli, sottratto al correntista NOME COGNOME la somma di 130.000 euro, con artifizi consistiti nel proporgli l’acquisto di certificati di deposito e consegnargli un certificato falso.
2.Avverso detta sentenza propone ricorso NOME COGNOME deducendo, con atto sottoscritto dai difensori di fiducia:
2.1 Vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto contestato e in ordine alla legittimazione della persona offesa a proporre istanza di punizione e a costituirsi parte civile nel presente procedimento.
La condotta attribuita al ricorrente avrebbe dovuto più correttamente essere qualificata come appropriazione indebita ai danni dell’istituto bancario presso cui era depositata la somma di denaro che si ritiene distratta, sicchè NOME COGNOME non sarebbe stato legittimato alla presentazione della querela e a costituirsi parte civile chiedendo il risarcimento.
Osserva il ricorrente che la condotta posta in essere dal COGNOME integra la detenzione utí domínus di un bene fungibile qual è il denaro, non già di proprietà del COGNOME ma dell’istituto di credito Banco di Napoli, in quanto il correntista nel momento in cui deposita somme di denaro in conto corrente non è più proprietario delle stesse, che entrano a far parte della massa monetaria di proprietà della banca ed, al più, diventa titolare di un diritto di credito di valore pari ai beni fungibili depositati.
La Corte di appello, a fronte di tale doglianza, ha fornito una risposta del tutto eccentrica rispetto all’oggetto, così incorrendo nel vizio di motivazione, in quanto ha omesso di confrontarsi con lo specifico motivo di appello in ordine alla titolarità del diritto proprietà della somma di denaro, ribadendo la correttezza della qualificazione giuridica del fatto. Nel caso di specie, tuttavia, i giudici di merito non danno conto di un atto d disposizione patrimoniale del COGNOME in favore del ricorrente, tale da rendere il primo titolare del diritto di proprietà delle somme altrimenti oggetto di deposito bancario. Ed infatti anche nella ricostruzione del fatto è emerso che l’imputato aveva proposto alla persona offesa di investire tali risparmi per un importo di 130.000 C, incaricandosi di provvedere personalmente alla movimentazione necessaria alla provvista e il COGNOME aveva compreso di essere stato vittima di una truffa, solo in seguito. Inoltre la Corte territoriale incorre in contraddizione laddove in un primo passaggio afferma che il delitto in contestazione è stato realizzato in forza della qualifica professionale dell’imputato e tramite distrazione diretta dal deposito bancario intestato al COGNOME e in un successivo passaggio afferma che COGNOME si è reso responsabile di un delitto che si perfeziona con un atto di disposizione patrimoniale della persona offesa, mediante induzione in errore.
In conclusione la Corte di appello ha violato il disposto degli artt. 1834 e 1782 cod.civ. incorrendo in error in giudicando fondamentale ai fini della decisione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
1.1 La Corte di appello ha reso motivazione esaustiva e corretta in ordine alla censura relativa alla qualificazione giuridica della condotta ascritta all’imputato, evidenziando, a pagina 11 della sentenza, l’elemento differenziale tra i due reati di truffa e di appropriazione indebita. Nel caso in esame dalla ricostruzione della vicenda offerta dalla persona offesa è emerso che questi aveva depositato delle somme di denaro su un conto corrente nella banca per la quale lavorava l’imputato; Cannone, approfittando del rapporto di fiducia intrattenuto, lo aveva convinto ad investire il denaro, e lui lo aveva autorizzato verbalmente al prelievo delle somme per comprare certificati di deposito, che in realtà non erano mai stati acquistati. La condotta fraudolenta dell’imputato è emersa solo quando, in occasione della richiesta di restituzione del denaro da parte della persona offesa, COGNOME aveva restituito soltanto tre assegni per l’importo complessivo di 30.000 C.
Insospettito da tale condotta, COGNOME aveva acquisito informazioni presso l’istituto bancario e accertato che nessun certificato di deposito era stato acquistato.
E’ vero che nel momento in cui un soggetto deposita in banca una somma di denaro, la banca diventa proprietaria del denaro ivi depositato, ma nel caso di specie il denaro è stato prelevato dall’imputato, previa autorizzazione verbale e accordo informale con la persona offesa, in forza di uno specifico mandato ad investirlo nell’acquisto di certificati di deposito.
Proprio attraverso questo atto dispositivo della persona offesa, tratta in inganno dalle rassicurazioni dell’imputato, COGNOME ha potuto eseguire il reato; la riprova è data dalla costatazione che, qualora si fosse appropriato della somma depositata, abusando della sua qualifica di cassiere e senza preventiva autorizzazione, COGNOME avrebbe potuto lamentarsi dell’indebito prelievo con la banca, che sarebbe stata obiettivamente l’unica danneggiata da quanto accaduto. Nel caso in esame invece è intervenuta da parte della persona offesa un’autorizzazione al prelievo delle somme e un mandato ad investirle, che costituisce l’elemento differenziale tra la truffa e l’appropriazione indebita, e cioè l’atto di disposizione patrimoniale cui la persona offesa è stata indotta con l’inganno.
La circostanza che l’autorizzazione sia stata resa verbalmente e in modo informale nulla toglie alla natura dispositiva dell’atto posto in essere dal COGNOME che ha verbalmente delegato l’imputato a prelevare le somme dal suo conto per destinarle all’acquisto dei certificati di deposito.
In questa fase si inserisce la condotta distrattiva dell’imputato che, dopo avere carpito la fiducia della persona offesa ed essendo stato autorizzato al prelievo, ha destinato le
somme, di cui poteva disporre per la autorizzazione rilasciatagli dal COGNOME, ai suoi personali interessi.
Corretta è pertanto la qualificazione giuridica della condotta come truffa aggravata e ne discende la piena legittimazione della persona offesa COGNOME a sporgere querela e a costituirsi parte civile in giudizio per ottenere il risarcimento del danno patito.
Ed infatti, in tema di truffa, la persona offesa dal reato, titolare del diritto di querel il detentore del bene giuridico leso o messo in pericolo e, dunque, colui che subisce le conseguenze patrimoniali dell’azione delittuosa correlative al conseguimento dell’ingiusto profitto da parte dell’agente. (Sez. 2 , n. 27061 del 28/04/2023, Rv. 284793 – 01)
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione che si ritiene congruo liquidare in euro tremila in relazione al grado di colpa nella proposizione dell’impugnazione e , nel rispetto del principio di soccombenza , alla rifusione in favore della parte civile costituita delle spese processuali sostenute in questo grado di giudizio che si ritiene congruo liquidare in euro 4000,00 oltre accessori di legge
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Condanna inoltre l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME Antonio che liquida in complessivi euro 4000,00 oltre accessori di legge.
Roma 11 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
NOME orsellino
La Presidente