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Truffa aggravata: la differenza con l’appropriazione

Un impiegato di banca, abusando del rapporto di fiducia, convince un correntista a investire una somma di denaro in certificati di deposito inesistenti, facendosi autorizzare verbalmente al prelievo e consegnando un certificato falso. La Corte di Cassazione qualifica il fatto come truffa aggravata e non appropriazione indebita. L’elemento decisivo è l’atto di disposizione patrimoniale compiuto dalla vittima, indotta in errore dalle false rassicurazioni dell’impiegato. Sebbene il reato sia stato dichiarato prescritto, è stata confermata la condanna al risarcimento del danno a favore del correntista.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa Aggravata o Appropriazione Indebita? Il Caso dell’Investimento Falso

Quando un dipendente di un istituto di credito sottrae denaro a un cliente con la scusa di un investimento, si tratta di truffa aggravata o di appropriazione indebita? Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce la distinzione, individuando nell’atto di disposizione patrimoniale della vittima l’elemento chiave per la corretta qualificazione del reato. Analizziamo insieme questa importante decisione e le sue implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Un dipendente di un istituto bancario, sfruttando il rapporto di fiducia consolidato con un cliente, gli proponeva di investire una cospicua somma, pari a 130.000 euro, in certificati di deposito. Il cliente, fidandosi del consulente, lo autorizzava verbalmente a prelevare i fondi necessari dal proprio conto corrente per finalizzare l’operazione.

Successivamente, l’impiegato consegnava al cliente un certificato di deposito che si rivelava essere falso. L’inganno veniva scoperto solo tempo dopo, quando il correntista, richiedendo la restituzione del capitale, riceveva solo una piccola parte della somma. Insospettito, si rivolgeva alla banca, scoprendo che nessun certificato di deposito era mai stato acquistato a suo nome.

Nei primi gradi di giudizio, l’impiegato veniva condannato per truffa aggravata. La difesa, tuttavia, proponeva ricorso in Cassazione sostenendo che il reato dovesse essere riqualificato come appropriazione indebita ai danni dell’istituto di credito, e non del cliente, argomentando che il denaro depositato in banca diventa di proprietà della banca stessa.

La qualificazione giuridica della truffa aggravata

La difesa del ricorrente sosteneva che, una volta depositato, il denaro non fosse più di proprietà del correntista, ma della banca. Di conseguenza, l’impiegato si sarebbe appropriato di fondi dell’istituto di credito. Secondo questa tesi, il correntista non avrebbe avuto la legittimazione a sporgere querela né a costituirsi parte civile per il risarcimento.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la qualificazione del reato come truffa aggravata. I giudici hanno sottolineato l’elemento differenziale fondamentale tra i due reati: l’atto di disposizione patrimoniale indotto dall’inganno.

Nel caso di specie, il denaro è stato prelevato dal conto non all’insaputa del cliente, ma a seguito di una sua precisa autorizzazione, sebbene informale e verbale. Il correntista, tratto in inganno dalle rassicurazioni e dalla falsa proposta di investimento, ha compiuto un atto dispositivo: ha dato il consenso al prelievo delle somme per uno scopo specifico (l’acquisto dei certificati).

È proprio questo passaggio a configurare la truffa. La condotta fraudolenta dell’impiegato si è inserita nel momento in cui, dopo aver carpito la fiducia e ottenuto l’autorizzazione al prelievo, ha distratto le somme per i propri interessi personali invece di destinarle all’investimento promesso.

La Corte ha chiarito che se l’impiegato si fosse appropriato del denaro depositato abusando della sua qualifica e senza alcuna autorizzazione, il cliente avrebbe potuto rivalersi sulla banca per il prelievo indebito. In tal caso, la persona danneggiata sarebbe stata l’istituto di credito e il reato sarebbe stato, eventualmente, quello di appropriazione indebita. Ma poiché è intervenuto un mandato, seppur verbale, da parte del cliente, è quest’ultimo la vittima diretta dell’inganno e del conseguente danno patrimoniale.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cruciale: nella truffa, la vittima coopera, seppur inconsapevolmente, alla produzione del danno, compiendo un atto di disposizione patrimoniale a causa dell’inganno subito. L’appropriazione indebita, invece, presuppone che l’agente si appropri di un bene di cui ha già il possesso per un titolo legittimo, ma senza un atto dispositivo indotto con la frode.

Questa decisione conferma che, in casi di truffa aggravata come questo, la persona offesa è il titolare del patrimonio leso dall’azione delittuosa, ovvero il correntista. Di conseguenza, quest’ultimo è pienamente legittimato a sporgere querela e a chiedere il risarcimento del danno in sede civile, come correttamente stabilito nei gradi di merito.

Perché il reato è stato qualificato come truffa aggravata e non appropriazione indebita?
Perché l’impiegato ha ottenuto la disponibilità del denaro attraverso un atto di disposizione patrimoniale della vittima (l’autorizzazione verbale al prelievo), indotto con l’inganno di un falso investimento. Nell’appropriazione indebita, invece, manca questo elemento di induzione in errore che causa la cooperazione della vittima.

Chi è la persona offesa dal reato in questo caso, il cliente o la banca?
La persona offesa è il cliente. Sebbene il denaro depositato su un conto diventi formalmente di proprietà della banca, il danno patrimoniale è subito direttamente dal correntista, che ha autorizzato il prelievo e ha perso i suoi risparmi a causa dell’inganno. È lui, quindi, il titolare del diritto di querela e del diritto al risarcimento.

Qual è l’elemento decisivo che distingue la truffa dall’appropriazione indebita secondo la Corte?
L’elemento decisivo è l’atto di disposizione patrimoniale compiuto dalla persona offesa, indotto dall’inganno dell’agente. In questo caso, l’autorizzazione verbale del cliente a prelevare le somme per l’investimento costituisce tale atto, che è il presupposto fondamentale per configurare il reato di truffa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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