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Truffa aggravata INPS: la Cassazione annulla condanna

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per truffa aggravata INPS a carico del titolare di un’azienda agricola. L’imputato era accusato di aver presentato false dichiarazioni di manodopera per far ottenere indebite indennità. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ravvisando un’errata qualificazione del reato. La sentenza impugnata non ha chiarito se l’ente previdenziale sia stato attivamente indotto in errore o si sia limitato a recepire una falsa autocertificazione, elemento che distingue la truffa aggravata dall’indebita percezione. Inoltre, l’incertezza sulla data esatta del reato ha impedito di valutare la prescrizione. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per un nuovo giudizio.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa Aggravata INPS: Cassazione Annulla per Errata Qualificazione del Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 8304/2024) ha annullato con rinvio una condanna per truffa aggravata INPS, offrendo chiarimenti cruciali sulla linea di demarcazione tra questo reato e quello, meno grave, di indebita percezione di erogazioni pubbliche. Il caso riguardava un imprenditore agricolo accusato di aver creato fittizi rapporti di lavoro per consentire a terzi di ottenere illecitamente indennità previdenziali.

I Fatti: False Dichiarazioni Agricole e Benefici Indebiti

La vicenda giudiziaria trae origine da accuse mosse al titolare di un’azienda agricola. Secondo l’imputazione, l’imprenditore avrebbe presentato all’INPS denunce aziendali e dichiarazioni di manodopera per l’anno 2015 contenenti dati non veritieri. In particolare, avrebbe dichiarato l’esistenza di svariati rapporti di lavoro in agricoltura, inducendo così in errore l’ente previdenziale. Questo meccanismo fraudolento avrebbe permesso ai lavoratori, solo formalmente assunti, di procurarsi un ingiusto profitto, consistente in indennità di disoccupazione e altre prestazioni, con un conseguente danno economico per l’INPS. Per questi fatti, l’imprenditore era stato condannato in primo grado e in appello per i reati di truffa aggravata e continuata (art. 640 c.p.) e di falso ideologico in atto pubblico per induzione (art. 48-479 c.p.).

L’Analisi dei Motivi del Ricorso

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione basato su tre motivi principali:

1. Errata datazione dei fatti: La difesa sosteneva che i fatti si riferissero a un periodo precedente e che il reato, al massimo, potesse considerarsi tentato e non consumato.
2. Errata qualificazione del falso: Si contestava la configurabilità del reato di falso ideologico per induzione, sostenendo che la mera trasmissione delle dichiarazioni trimestrali (dmag) avrebbe potuto integrare un reato diverso e meno grave (art. 483 c.p.).
3. Errata qualificazione della truffa: Motivo centrale del ricorso, la difesa chiedeva di riqualificare il reato da truffa aggravata (art. 640 c.p.) a indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.).

La Corte di Cassazione ha rigettato i primi due motivi, ritenendoli infondati. Ha invece accolto il terzo, considerandolo decisivo per l’esito del processo.

La Decisione sulla Truffa Aggravata INPS

Il punto focale della decisione riguarda la distinzione tra truffa aggravata e indebita percezione. La Corte ha ribadito un principio consolidato: si ha truffa quando la condotta del privato, attraverso “artifici e raggiri”, induce attivamente in errore l’ente pubblico, che a causa di questo inganno eroga la prestazione non dovuta. Si configura, invece, la più lieve fattispecie di indebita percezione quando il privato si limita a presentare una dichiarazione non veritiera, o a omettere informazioni dovute, e l’ente pubblico si limita a prenderne atto senza svolgere un’autonoma e specifica attività di accertamento.

Nel caso specifico, la Corte d’appello non aveva adeguatamente motivato su questo aspetto. Non era stato chiarito se l’INPS avesse svolto una qualche verifica sulle dichiarazioni presentate o se si fosse limitata a registrarle passivamente, basandosi sulla sola autocertificazione dell’imprenditore. Questa lacuna motivazionale ha reso la sentenza d’appello viziata e ne ha imposto l’annullamento.

L’Incertezza sul Tempus Commissi Delicti e le Conseguenze sulla Prescrizione

Oltre alla questione principale, la Cassazione ha rilevato un ulteriore, insuperabile difetto nella sentenza impugnata: l’incertezza sul tempus commissi delicti, ovvero sul momento esatto in cui i reati sarebbero stati commessi. Le imputazioni e le motivazioni precedenti erano vaghe, facendo riferimento all'”anno agricolo 2015 e fino ai primi mesi del 2016″ o “fino al 31/12/2016”.

Questa imprecisione ha impedito alla Suprema Corte di effettuare una valutazione fondamentale: il calcolo dei termini di prescrizione del reato. Senza una data certa, è impossibile stabilire se i reati contestati siano già estinti per il decorso del tempo. Anche questo aspetto ha contribuito alla decisione di annullare completamente la sentenza.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte Suprema si fondano su due pilastri. Il primo è il vizio di motivazione riguardo alla qualificazione giuridica del fatto. La sentenza di secondo grado non ha fornito una “congrua risposta” al motivo d’appello che invocava la riqualificazione del reato da truffa a indebita percezione. Mancava una disamina del comportamento concreto dell’ente erogatore, elemento indispensabile per capire se vi fosse stata un’effettiva induzione in errore o una mera presa d’atto di una dichiarazione mendace. Questa distinzione non è puramente formale, ma sostanziale, data la differente gravità delle due fattispecie criminose.

Il secondo pilastro è l’incertezza assoluta sul tempo del commesso reato. Questa indeterminatezza, definita “insuperabile”, preclude qualsiasi valutazione sulla prescrizione, un istituto di diritto sostanziale che deve essere verificato in ogni stato e grado del processo. Di fronte a tale incertezza, la Corte non ha potuto fare altro che annullare l’intera sentenza, rimettendo al giudice del rinvio il compito di fare chiarezza.

Le Conclusioni

La sentenza della Cassazione impone un ritorno del processo alla Corte di Appello di Messina, che dovrà celebrare un nuovo giudizio. I nuovi giudici avranno il compito di:

1. Accertare con precisione il tempus commissi delicti per ogni condotta contestata.
2. Verificare se, alla luce delle date accertate, i reati siano prescritti.
3. Soprattutto, stabilire se la condotta dell’imputato integri una truffa aggravata INPS o il meno grave reato di indebita percezione, analizzando nel dettaglio l’iter amministrativo seguito dall’ente previdenziale e se vi sia stata o meno un’autonoma attività di accertamento.

Questo provvedimento ribadisce l’importanza di una rigorosa formulazione delle accuse e di una motivazione completa da parte dei giudici di merito, specialmente quando si tratta di distinguere tra fattispecie di reato simili ma con conseguenze sanzionatorie molto diverse.

Qual è la differenza tra truffa aggravata (art. 640 c.p.) e indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.)?
La truffa aggravata richiede che il soggetto, tramite inganni (‘artifici e raggiri’), induca attivamente in errore l’ente pubblico, portandolo a erogare un beneficio non dovuto. L’indebita percezione, invece, si configura quando il soggetto presenta semplicemente dichiarazioni false od omette informazioni, e l’ente eroga il beneficio limitandosi a prendere atto dell’autocertificazione, senza svolgere un’autonoma attività di controllo.

Perché l’incertezza sulla data del reato (tempus commissi delicti) è stata così importante per la decisione della Cassazione?
L’incertezza sulla data ha impedito alla Corte di Cassazione di calcolare il tempo trascorso dal fatto e, di conseguenza, di verificare se il reato fosse estinto per prescrizione. La prescrizione è una causa di estinzione del reato che deve essere valutata in ogni fase del processo, e la sua mancata valutazione a causa dell’incertezza sulla data costituisce un grave vizio.

Presentare una falsa autocertificazione a un ente pubblico costituisce sempre una truffa per induzione in errore?
No, non sempre. Secondo la sentenza, se l’ente pubblico si limita a recepire la dichiarazione senza svolgere alcuna autonoma attività di accertamento e verifica, la condotta non integra la truffa aggravata ma il reato meno grave di indebita percezione di erogazioni pubbliche. Per la truffa è necessario che la falsa dichiarazione sia parte di un più complesso meccanismo di inganno che induce attivamente in errore il funzionario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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