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Truffa aggravata: il dolo per ottenere i ristori

La Corte di Cassazione conferma la condanna per truffa aggravata a un individuo che ha ricevuto fondi ‘ristori’ sul proprio conto corrente per conto di terzi. L’appello, basato sulla presunta buona fede, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha ritenuto provata l’intesa fraudolenta e quindi il dolo, elemento essenziale per configurare il reato.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa Aggravata per i Ristori: La Cassazione sul Dolo e l’Accordo Fraudolento

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso di truffa aggravata legato all’ottenimento illecito dei cosiddetti ‘ristori’, i contributi pubblici erogati per far fronte a situazioni di crisi. La pronuncia chiarisce aspetti fondamentali riguardo la prova del dolo, ovvero l’intenzione di commettere il reato, e i limiti del giudizio di legittimità. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne la portata e le implicazioni.

Il Contesto del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un soggetto per il reato previsto dall’art. 640bis del codice penale. L’imputato era accusato di aver partecipato a una frode finalizzata a ottenere i contributi pubblici, noti come ‘ristori’.

In particolare, sul suo conto corrente era confluita una somma di 2.500,00 euro, richiesta da un terzo soggetto nell’ambito di un più ampio schema fraudolento. La difesa dell’imputato sosteneva la sua buona fede: egli avrebbe creduto che quella somma fosse l’accredito di una delle legittime richieste di contributo da lui stesso presentate, e non il frutto di un’attività illecita altrui.

Sia il Tribunale che la Corte di Appello avevano però ritenuto l’imputato colpevole, riformando parzialmente la pena e concedendo il beneficio della sospensione condizionale, subordinata allo svolgimento di lavori di pubblica utilità.

La Decisione della Cassazione sulla Truffa Aggravata

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’imputato inammissibile, confermando di fatto la sua responsabilità. I giudici hanno ritenuto che le censure difensive, incentrate sulla mancanza di dolo, fossero manifestamente infondate.

L’Elemento del Dolo e l’Intesa Fraudolenta

Il punto centrale della decisione riguarda l’elemento psicologico del reato. Per configurare la truffa aggravata, è necessario dimostrare che l’agente abbia agito con dolo, cioè con la consapevolezza e la volontà di partecipare all’inganno per ottenere un ingiusto profitto.

La Corte di Appello, con un ragionamento ritenuto logico e corretto dalla Cassazione, aveva concluso che il versamento dei fondi illeciti sul conto corrente dell’imputato non poteva essere casuale. Al contrario, doveva necessariamente esistere un’intesa, un accordo preventivo tra l’imputato e il soggetto che materialmente richiedeva i ristori. Questa intesa dimostra inequivocabilmente la partecipazione cosciente dell’imputato all’attività fraudolenta, confutando la tesi difensiva della buona fede.

I Limiti del Giudizio di Legittimità

La Cassazione ha inoltre ribadito un principio fondamentale del processo penale: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. Il suo compito non è rivalutare le prove o ricostruire i fatti, ma verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio.

Nel caso specifico, la difesa, contestando la valutazione delle prove sul dolo, stava in realtà tentando di ottenere una rilettura del compendio probatorio, un’attività preclusa alla Corte di Cassazione. Poiché l’apparato motivazionale della sentenza d’appello era privo di ‘decisive frizioni logiche’, il ricorso non poteva che essere respinto.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano sulla coerenza logica della sentenza impugnata. I giudici di legittimità hanno osservato come la Corte d’Appello avesse adeguatamente risposto alle doglianze difensive, spiegando perché la tesi della buona fede fosse insostenibile. L’esistenza di un accordo per far confluire i rimborsi sul conto dell’imputato è stata considerata un fatto necessario per la realizzazione della truffa. Di fronte a tale costruzione logica, le argomentazioni del ricorrente sono state liquidate come un tentativo di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti, operazione non consentita in sede di Cassazione.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, ribadisce che nei reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, il dolo può essere desunto da elementi logici e circostanziali, come l’esistenza di un accordo per l’utilizzo di un conto corrente. In secondo luogo, essa sottolinea come la difesa basata sulla mera ‘buona fede’ o ignoranza sia difficilmente sostenibile quando le circostanze oggettive indicano una partecipazione consapevole all’illecito. Infine, la decisione conferma la linea rigorosa della giurisprudenza nel delimitare le competenze della Corte di Cassazione, che non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul fatto.

Cosa è necessario per dimostrare il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche?
Per configurare il reato, è indispensabile provare l’elemento psicologico del dolo, ossia la coscienza e volontà di partecipare all’azione fraudolenta. Come stabilito in questa ordinanza, il dolo può essere dedotto da elementi logici, come l’esistenza di un’intesa affinché i proventi illeciti confluiscano sul proprio conto corrente.

È valida la difesa basata sulla presunta buona fede nel ricevere fondi illeciti sul proprio conto?
Secondo questa decisione, tale linea difensiva è infondata se le circostanze rendono palesemente illogica l’ignoranza della provenienza del denaro. La Corte ha ritenuto che l’accredito di una somma ottenuta con la frode richiedesse necessariamente un accordo preventivo, invalidando la tesi della buona fede.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni difensive non denunciavano vizi di legittimità della sentenza impugnata, ma miravano a una nuova valutazione delle prove e dei fatti. Questa attività è preclusa in sede di Cassazione, il cui compito è solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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