Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 45599 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 45599 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME nato ad AUGUSTA il 28/08/1970 COGNOME nata a PORDENONE il 30/12/1972
avverso la sentenza del 24/01/2024 della CORTE DI APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le richieste del PG NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili;
sentite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME per la parte civile Comune di San Lazzaro in Savena, che ha chiesto, richiamando le conclusioni scritte e la n spese già depositate, la declaratoria di inammissibilità ovvero il rigetto dei con la condanna degli imputati alla rifusione delle spese legali anche per il pr grado di giudizio;
sentite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per il ricorrente COGNOME che ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata;
sentite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME per la ricorrente COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 7 marzo 2016 dal Tribunale di Bologna, ha dichiarato, per quanto qui rileva, non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione alla truffa di cui al capo B), estinta per prescrizione, confermando le statuizioni civili.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i suddetti imputati, formulando i motivi di censura di seguito sinteticamente esposti, nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il ricorso di NOME COGNOME articola un unico motivo, con cui si censurano l’erronea applicazione dell’art. 640, secondo comma, cod. pen. e la carenza di motivazione in ordine all’individuazione dell’atto di disposizione patrimoniale.
La Corte territoriale non avrebbe offerto risposta ai motivi di gravame che evidenziavano la mancanza di tale elemento costitutivo, parte indefettibile del complesso evento previsto dalla fattispecie incriminatrice. Richiamando analogicamente la giurisprudenza in tema di cosiddetta “truffa processuale”, la ricorrente rileva come l’unico atto del Comune consisterebbe nell’attestazione circa la sussistenza dei requisiti (atto dovuto e necessitato, di natura eminentemente pubblicistica, al pari, peraltro del provvedimento di separazione), mentre il trasferimento di proprietà è stato poi effettuato dalla società concessionaria, a ciò obbligata in forza dell’attestazione dell’ente pubblico e comunque nell’ambito di una trattativa privata.
2.2. NOME COGNOME, con l’unico motivo di ricorso, deduce violazione di legge in relazione all’art. 640, secondo comma, cod. pen., in relazione alla mancata assoluzione per insussistenza del fatto, nonché carenza di motivazione in merito alle deduzioni articolate nell’atto di appello.
Da un lato, la Corte di appello, appiattendosi sul superficiale criterio dell’evidenza ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. (e così obliterando l’insegnamento, anche recente, delle Sezioni Unite), avrebbe disatteso le deduzioni difensive, dirette a valorizzare, anche alla luce delle dichiarazioni dei testi a discarico, l’effettività della separazione, confermando tralaticiamente il giudizio di stratagemma truffaldino espresso in primo grado.
Dall’altro, la difesa sottolinea la mancanza degli elementi costitutivi del reato, non riscontrandosi né artifici o raggiri (posto, tra l’altro, che la giurisprudenz civile esclude la possibilità di impugnare per simulazione l’accordo di separazione
omologato), né un danno di stretta valenza patrimoniale per l’ente locale (che non ha patito esborsi, né ha visto diminuire la funzionalità del proprio patrimonio), né, in ogni caso, l’elemento soggettivo (data l’inconsapevolezza delle persone offese di cagionare un pregiudizio patrimoniale alla persona offesa).
2.3. La difesa di NOME COGNOME ha depositato memoria, a sostegno dei motivi tempestivamente depositati.
All’odierna udienza pubblica, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene il Collegio che il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME non sia fondato e che quello proposto nell’interesse di COGNOME sia inammissibile.
Secondo il massimo consesso nomofilattico, all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244273-01); in particolare, nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito (Sez. U, Sentenza n. 36208 del 28/03/2024, Calpitano, Rv. 286880-01).
Nel caso di specie, esattamente in termini con le fattispecie che precedono e al contrario delle prospettazioni difensive, la Corte distrettuale, in coerenza con tale insegnamento, ha in concreto verificato ampiamente la concludenza del compendio istruttorio ai fini di un’eventuale assoluzione nel merito, in ottemperanza al canone del ragionevole dubbio. Nondimeno, all’esito di tale doveroso scrutinio, il reato è stato ritenuto configurabile e i giudici di appell hanno, quindi, correttamente proceduto alla declaratoria di estinzione del reato.
Le censure espresse sul punto nel ricorso di COGNOME sono, dunque, manifestamente infondate.
La sentenza impugnata chiarisce, innanzitutto, la sussistenza di artifici e raggiri, costituiti dall’articolata sequenza negoziale che faceva perno sulla maliziosa pratica di separazione legale, strumentalmente avviata al solo fine di conseguire i requisiti necessari per accedere alla stipula del contratto, senza che
mai si fossero veramente interrotte la convivenza e la relazione affettiva. Questa ricostruzione della vicenda storica non può essere posta in discussione in questa sede di legittimità, a fronte di un percorso giustificativo coerente con le risultanze istruttorie (nello specifico e tra l’altro, con gli esiti dell’attività di intercett e tutt’altro che illogico. Non incide su tale conclusione l’ipotetica intangibili formale dell’accordo tra i coniugi, cristallizzato nel decreto di omologa: in ossequio al principio di autosufficienza della giurisdizione penale sancito dall’art. 2, comma 1, cod. proc. pen., è rimessa al giudice che procede la risoluzione di ogni questione da cui dipenda la sua decisione (posto, altresì, che costituisce una mera facoltà previo apprezzamento della serietà della questione, qui invece emergendone la palese infondatezza per tabulas la sospensione ex art. 3 cod. proc. pen.).
Inoltre, il danno per l’ente locale, derivante dalla condotta truffaldina è stato individuato, in conformità a quanto contestato nella rubrica imputativa, nel mancato percepimento degli oneri di costruzione che avrebbero dovuto essere versati in caso di ordinaria compravendita di immobile ad uso abitativo, ma erano invece esclusi in regime di edilizia convenzionata. La Corte felsinea perviene a tale logica conclusione, individuando un nocumento di sicura valenza patrimoniale per lucro cessante, all’esito di un’accurata disamina del quadro normativo e del concreto contesto amministrativo.
La malizia di una simile laboriosa precostituzione della falsa base documentale mediante la quale accedere alla proprietà dell’immobile a prezzo assai vantaggioso sostiene, altresì, anche la valutazione di sussistenza del dolo generico, diretto o indiretto; tale elemento soggettivo ben può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, risalendo, attraverso esse, alla sfera intellettiva e volitiva dell’agente, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato (Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, COGNOME, Rv. 279908-01; Sez. 2, n. 24645 del 21/03/2012, COGNOME, Rv. 252824-01).
Anche le ulteriori censure articolare nel ricorso di COGNOME sono, quindi, non consentite e manifestamente infondate.
4. La difesa di COGNOME eccepisce il difetto di motivazione in ordine alle deduzioni dell’imputata in relazione alla asserita carenza di un atto di disposizione da parte della persona offesa, che non potrebbe individuarsi né nell’attestazione rilasciata dal Comune, né tantomeno nel contratto immobiliare, stipulato da un terzo soggetto.
Queste censure non sono fondate.
La persona offesa dal reato, in senso stretto, è indubitabilmente il detentore del bene giuridico leso o messo in pericolo e, dunque, colui che subisce le conseguenze patrimoniali dell’azione delittuosa, correlative al conseguimento
dell’ingiusto profitto da parte dell’agente. Ciò premesso, il Collegio intende dare seguito all’indirizzo maggioritario secondo cui, ai fini della configurabilità del delit di truffa, non è necessaria l’identità fra la persona indotta in errore e la persona che ha subito il danno patrimoniale, purché, anche in assenza di contatti diretti fra il truffatore e il truffato, sussista un nesso di causalità tra l’induzione in errore profitto ed il danno (Sez. 2, n. 43119 del 21/10/2021, COGNOME, Rv. 282304-01; Sez. 2, n. 43143 del 17/07/2013, COGNOME, Rv. 257495-01; Sez. 2, n. 10085 del 21/02/2008, COGNOME, Rv. 239508-01). Da tale orientamento scaturisce la diretta conseguenza che l’atto di disposizione patrimoniale da cui deriva il pregiudizio economico per il soggetto passivo può essere posto in essere dal deceptus e non solo dal danneggiato. (Peraltro, anche i precedenti che postulano, viceversa, la necessaria identità soggettiva tra chi, ingannato in errore dall’autore del reato, compie l’atto di disposizione patrimoniale e il soggetto passivo del danno, ammettono la possibilità di distinzione tra le due figure, qualora il terzo abbia come nel caso di specie – la possibilità di compiere atti aventi diretta efficacia nella sfera patrimoniale aggredita. Cfr. Sez. 5, n. 18968 del 18/01/2017, Fidanzia, Rv. 271060-01).
Nella vicenda che qui occupa, come ricostruita dai giudici di merito, la condotta fraudolenta è stata indirizzata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, soggetto evidentemente diverso dall’ente pubblico titolare dell’interesse patrimoniale leso. La società commerciale, indotta in errore dalle mendaci attestazioni relative all’insussistenza in capo a RAGIONE_SOCIALE di diritti reali immobili ad uso abitativo nella provincia di Bologna, ha proceduto all’assegnazione dell’unità, in realtà non spettantele secondo la normativa convenzionale e al successivo trasferimento della proprietà. Tale contratto di compravendita costituisce, dunque, l’atto di disposizione eziologicamente connesso all’articolata attività decettiva, produttivo del profitto ingiusto, con correlativo danno per la persona offesa e ingiusto profitto per gli imputati.
Il ricorso di COGNOME deve, pertanto, essere rigettato e la ricorrente condannata, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
Il ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
Consegue, altresì, la condanna di entrambi gli imputati alla rifusione delle spese di assistenza e rappresentanza sostenute dalla parte civile Comune di San
Lazzaro di Savena, costituita nel presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, in relazione all’attività svolta.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di NOME Liuba che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Comune di San Lazzaro di Savena, che liquida in complessivi euro 5.000, oltre accessori di legge.
Così deciso il 30 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
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La Presidente