Truffa aggravata: la Cassazione chiarisce i confini degli artifizi e raggiri
L’ordinanza in esame offre un importante spunto di riflessione sul delitto di truffa aggravata, delineando con chiarezza quali comportamenti integrano gli ‘artifizi e raggiri’ richiesti dalla norma. La Suprema Corte, con una decisione netta, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, confermando la sua condanna per aver ingannato una persona con la promessa di un posto di lavoro per la figlia. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e i principi di diritto ribaditi dai giudici.
I fatti del caso
La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un uomo per il reato di truffa. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l’imputato aveva prospettato a una donna la possibilità di far ottenere alla figlia un impiego come archivista presso un ente pubblico di grande rilievo. Per rendere credibile la sua promessa, l’uomo aveva mostrato alla vittima documenti apparentemente ufficiali, con tanto di timbro dell’ente, e aveva richiesto una somma di denaro a titolo di ‘spese propedeutiche all’assunzione’.
Una volta ricevuto il denaro, l’imputato non solo non ha mai procurato il lavoro promesso, ma non ha nemmeno restituito la somma. Anzi, a fronte della richiesta di restituzione, aveva consegnato alla vittima solo una cifra irrisoria (20 euro a fronte di 4.000 richiesti), un gesto interpretato dai giudici come un ulteriore tentativo di prendere tempo per non adempiere al suo obbligo.
L’analisi della Corte sulla truffa aggravata
Il ricorrente si era rivolto alla Corte di Cassazione contestando la sussistenza degli elementi costitutivi del reato, in particolare degli artifizi e raggiri e dell’induzione in errore. La Corte, tuttavia, ha ritenuto il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato che il tentativo di ottenere una ‘rilettura’ dei fatti è precluso in sede di legittimità. Il compito della Cassazione non è quello di giudicare nuovamente il merito della vicenda, ma di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.
Nel caso specifico, la motivazione del giudice di merito è stata considerata esente da vizi logici e giuridici. La Corte ha evidenziato come gli elementi probatori fossero chiari e sufficienti a configurare il reato di truffa.
Le Motivazioni
La Corte ha specificato punto per punto perché la condotta dell’imputato integrasse pienamente la truffa aggravata:
1. Gli artifizi e raggiri: La promessa di un interessamento presso enti pubblici, supportata dalla presentazione di documenti con il timbro dell’ente, è stata considerata una macchinazione idonea a ingannare la vittima.
2. L’ingiusto profitto con altrui danno: La somma richiesta per le presunte spese di intermediazione, mai restituita, rappresenta l’ingiusto profitto per l’imputato e il conseguente danno patrimoniale per la persona offesa.
3. Il dolo: L’intenzione di truffare è stata desunta dal comportamento complessivo dell’imputato, in particolare dal fatto di aver restituito una somma simbolica solo per guadagnare tempo e sottrarsi all’obbligo di restituzione integrale.
La Corte ha inoltre respinto la tesi difensiva secondo cui la vittima si sarebbe determinata a dare il denaro autonomamente, basandosi su presunte precedenti operazioni simili andate a buon fine. I giudici hanno chiarito che non vi era alcuna prova di tali successi e che la decisione della vittima era stata chiaramente influenzata dalle rassicurazioni e dalle false rappresentazioni del ricorrente.
Le Conclusioni
Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la valutazione degli elementi di fatto è di competenza esclusiva del giudice di merito. In sede di legittimità, non è ammessa una riconsiderazione delle prove, ma solo un controllo sulla logicità e correttezza giuridica della decisione. La condanna per truffa aggravata è stata quindi confermata, insieme all’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una somma a favore della Cassa delle ammende. La decisione sottolinea come la promessa di un lavoro, accompagnata da una messa in scena volta a ingannare la vittima, costituisca un classico esempio di artifizi e raggiri penalmente rilevanti.
Cosa si intende per ‘artifizi e raggiri’ nel reato di truffa?
Secondo la Corte, consistono in qualsiasi macchinazione o messa in scena idonea a indurre in errore la vittima. Nel caso specifico, sono stati identificati nella promessa di un posto di lavoro e nell’esibizione di documenti falsi per rendere credibile tale promessa.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove di un processo?
No, la Corte di Cassazione non riesamina i fatti o le prove. Il suo compito è verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza precedente sia logica e priva di vizi giuridici. Un ricorso che chiede una nuova valutazione dei fatti è considerato inammissibile.
Come è stato provato il dolo, cioè l’intenzione di truffare?
Il dolo è stato dedotto dal comportamento dell’imputato, in particolare dal fatto che, dopo aver promesso di restituire la somma ricevuta, ne ha restituita solo una parte irrisoria (20 euro su 4.000). Questo è stato interpretato come un tentativo di prendere tempo con l’intenzione di non restituire mai l’intera cifra.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8177 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8177 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 25/11/1954
avverso la sentenza del 12/06/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che la difesa del ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla configurabilità del contestato reato di truffa con riguardo alla sussistenza degli artifizi e raggiri ed all’induzione in errore della persona offesa ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con il quale si contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 640 cod. pen., non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici (si veda, in particolare, pag. 6), ha esplicitato le ragioni del convincimento evidenziando che: a) la prospettazione alla Accaputo di un interessamento presso alcuni enti pubblici, per far ottenere alla figlia un lavoro di archivista presso il Poligrafico, mostrando alla stessa dei documenti recanti il timbro dell’Ente, concretizza gli artifizi e raggiri che integrano il reato di truffa; b) la som richiesta per le spese propedeutiche all’assunzione, a titolo di intermediazione, non è mai stata restituita alla persona offesa; c) non risulta in alcun modo che la vittima si sia determinata a dare il denaro in assenza di rassicurazioni da parte del ricorrente sull’ottenimento del lavoro e solo sulla base del fatto che il COGNOME aveva così operato in circostanze analoghe, non risultando agli atti operazioni condotte da quest’ultimo che avessero ottenuto successo; d) il fatto che il COGNOME avesse detto alla persona offesa di voler restituire la somma di 4 mila euro e, in realtà, avesse restituito sol la somma di 20 euro, segnala come il dolo fosse quello di truffare la Accaputo prendendo tempo al fine di non restituire nulla; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
che esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944);
che alla luce degli elementi esposti in sentenza corretta appare la qualificazione giuridica del fatto per il quale è intervenuta condanna;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 4 febbraio 2025.