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Truffa aggravata: chi è la vittima del reato?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45588/2024, ha chiarito importanti principi in materia di truffa aggravata. Nel caso esaminato, due coniugi avevano indotto in errore una compagnia di assicurazioni, ottenendo l’intero risarcimento per la morte di un familiare, anche la quota spettante ad altri coeredi. Gli imputati sostenevano che la vittima non fosse l’assicurazione, ma i coeredi. La Corte ha respinto questa tesi, affermando che la persona offesa è chi viene ingannato e compie l’atto di disposizione patrimoniale dannoso, ovvero la compagnia assicuratrice. La sentenza ha inoltre confermato che la gravità del danno va valutata al momento del reato e che la costituzione di parte civile equivale a una valida manifestazione della volontà di punire.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Truffa Aggravata: Chi è la Vittima del Reato Quando Viene Ingannata un’Assicurazione?

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 45588/2024 offre spunti cruciali sul delitto di truffa aggravata, in particolare quando la condotta illecita è rivolta contro un’entità complessa come una compagnia di assicurazioni. Il caso analizzato permette di fare chiarezza su due aspetti fondamentali: l’identificazione della ‘persona offesa’ legittimata a sporgere querela e i criteri per valutare l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità. Attraverso questa decisione, la Suprema Corte ribadisce principi consolidati e li adatta al mutato quadro normativo introdotto dalla Riforma Cartabia.

I Fatti del Caso: Una Complessa Vicenda Ereditaria

La vicenda giudiziaria trae origine da un risarcimento danni liquidato da una nota compagnia assicuratrice a seguito della morte di un uomo in un sinistro stradale. La somma, pari a 500.000 euro, era destinata a tutti i suoi eredi. Due di questi, una figlia e il marito, mediante artifizi e raggiri, riuscirono a indurre in errore la società assicuratrice, facendosi accreditare l’intera cifra sul loro conto cointestato. La condotta fraudolenta si concretizzò nella falsificazione delle firme degli altri coeredi su una quietanza di pagamento, facendo credere alla compagnia che tutti fossero d’accordo sulla liquidazione a loro favore. In questo modo, i due si appropriarono indebitamente di 375.000 euro, somma spettante agli altri parenti.
Condannati in primo e secondo grado per truffa aggravata, i coniugi hanno proposto ricorso in Cassazione.

La Difesa degli Imputati e i Motivi del Ricorso

Il ricorso degli imputati si fondava principalmente su due argomentazioni:
1. Mancanza di legittimazione della compagnia assicuratrice a sporgere querela: Secondo la difesa, la vera persona offesa dal reato non era la società, ma gli altri coeredi, privati della loro quota di risarcimento. La compagnia, avendo semplicemente pagato quanto dovuto, sarebbe stata al più un ‘soggetto danneggiato’, ma non la vittima diretta dell’inganno e, quindi, non titolata a presentare la querela.
2. Insussistenza dell’aggravante del danno di rilevante gravità: Gli imputati contestavano la sussistenza della truffa aggravata, sostenendo che il danno dovesse essere valutato ‘ex post’ e non ‘ex ante’. Poiché gli altri eredi non avevano mai avanzato richieste risarcitorie nei confronti dell’assicurazione, il danno, di fatto, non si sarebbe concretizzato. Inoltre, ritenevano che un importo di 375.000 euro non potesse considerarsi ‘abnorme’ per una società con un capitale sociale milionario.

L’Analisi della Corte: la truffa aggravata e l’identificazione della persona offesa

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, ritenendoli manifestamente infondati. Gli Ermellini hanno smontato punto per punto le tesi difensive, riaffermando principi cardine del diritto penale.
In primo luogo, la Corte ha stabilito senza ombra di dubbio che la persona offesa nel reato di truffa è il soggetto che, a causa degli artifizi e raggiri dell’agente, viene indotto in errore e compie un atto di disposizione patrimoniale che causa un danno a sé stesso e un profitto ingiusto ad altri. Nel caso di specie, è stata la compagnia di assicurazioni a essere direttamente ingannata dalla documentazione falsa e, di conseguenza, a effettuare il bonifico. L’atto di disposizione patrimoniale dannoso è stato compiuto dalla società, che ha subito una deminutio patrimonii immediata. Pertanto, la sua qualifica di persona offesa è piena e la sua legittimazione a sporgere querela è incontestabile.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su consolidati orientamenti giurisprudenziali. Il reato di truffa è un reato istantaneo che si perfeziona nel momento in cui alla condotta fraudolenta segue la diminuzione patrimoniale del soggetto passivo. La valutazione va fatta al momento della consumazione del reato. Il fatto che, in un secondo momento, altri soggetti (i coeredi) non abbiano agito contro l’assicurazione è irrilevante per la configurazione del reato già perfezionatosi.
Per quanto riguarda l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 61, n. 7, c.p.), la Corte ha ribadito che la valutazione deve essere oggettiva e riferita al momento della consumazione del reato. Un danno di 375.000 euro è oggettivamente di rilevante gravità, a prescindere dalla capacità economica della vittima. Il criterio della condizione economica del soggetto passivo può essere considerato solo in via sussidiaria, quando il danno è di per sé modesto, per valutarne l’impatto concreto, ma non per escludere la gravità di un danno oggettivamente ingente.
Infine, la Corte ha affrontato la questione procedurale legata alla Riforma Cartabia, che ha reso la truffa aggravata dal danno rilevante un reato procedibile a querela. I giudici hanno chiarito che, per i reati commessi prima della riforma, la volontà di punire della persona offesa può essere desunta anche da atti precedenti, come la costituzione di parte civile nel processo. Tale atto, mai revocato, equivale a una querela e soddisfa pienamente la nuova condizione di procedibilità.

Le Conclusioni

La sentenza consolida l’interpretazione del reato di truffa aggravata, riaffermando che la vittima è colui che subisce l’inganno e compie l’atto dispositivo dannoso. La valutazione della gravità del danno deve essere oggettiva e ancorata al momento del fatto, rendendo irrilevanti eventi successivi. Dal punto di vista processuale, viene confermato il principio per cui la costituzione di parte civile costituisce una valida espressione della volontà punitiva, sanando eventuali questioni sulla procedibilità sorte a seguito della Riforma Cartabia. La decisione sottolinea la necessità di tutelare chi, indotto in errore, subisce una perdita patrimoniale, indipendentemente dalla sua solidità finanziaria.

Nel reato di truffa, chi è la persona offesa?
La persona offesa è il soggetto che, a causa degli artifizi e raggiri posti in essere dall’autore del reato, viene indotto in errore e compie un atto di disposizione patrimoniale che gli provoca un danno. Non è necessariamente chi subisce il danno finale, ma chi viene direttamente ingannato.

Come si valuta la gravità del danno nella truffa aggravata?
La valutazione deve essere effettuata con riferimento al momento in cui il reato è stato commesso. L’entità oggettiva del danno è il criterio principale; la diminuzione del danno per eventi successivi è irrilevante. Le condizioni economiche della vittima sono considerate solo se il danno è oggettivamente modesto, non per escludere la gravità di un danno ingente.

La costituzione di parte civile può sostituire la querela dopo la Riforma Cartabia?
Sì. Per i reati che, come la truffa aggravata dal danno rilevante, sono diventati procedibili a querela dopo la Riforma Cartabia, la Corte di Cassazione afferma che la costituzione di parte civile, se non revocata, equivale a una querela e manifesta in modo inequivocabile la volontà della persona offesa di perseguire penalmente l’autore del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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