Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 45588 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 45588 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nata a Bisceglie il 26/03/1973 SALERNO NOME nato a Policoro il 20/06/1977
avverso la sentenza del 16/11/2023 della Corte d’appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procura Generale NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che i ricorsi siano rigettati;
letta la memoria e conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME difensore della parte civile Generali Italia s.p.a., il quale ha chiesto che i ricorsi siano inammissibili e che i ricorrenti siano condannati al pagamento delle sp processuali in favore della suddetta parte civile, come da nota depositata; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16/11/2023, la Corte d’appello di Milano confermava l sentenza del 24/05/2022 del Tribunale di Varese, emessa in esito a giudi abbreviato, con la quale NOME COGNOME e suo marito NOME COGNOME erano stati condannati alla pena di otto mesi di reclusione ed C 300,00 di m per il reato di truffa in concorso, aggravata dall’avere cagionato alla persona un danno patrimoniale di rilevante gravità (artt. 110, 640 e 61, n. 7, cod.
Secondo il capo d’imputazione (capo “A”), tale reato era stato contestato ai due imputati «perché, in concorso tra loro, mediante artifizi e raggiri, inducevano in errore Generali Assicurazioni s.p.a., che versava sul conto cointestato a COGNOME NOME e NOME NOME NOME la somma di euro 500.000,00 a titolo di risarcimento danni in favore di tutti i coeredi di COGNOME NOME, deceduto a causa delle lesioni riportate in un sinistro stradale del 30.5.2017, così ottenendo un ingiusto profitto, pari ad euro 375.000 (differenza tra la somma liquidata e quanto effettivamente spettante a COGNOME NOME), recando altresì danno agli altri coeredi (che avrebbero potuto contrattare un indennizzo diverso e maggiore) e a Generali, che si rendeva inadempiente nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; artifizi e raggiri consistiti, nella specie, nella contraffazione delle firme nell’atto di quietanza di pagamento indirizzata a Generali Assicurazioni s.p.a., al fine di ottenere il risarcimento dei danni per la morte del padre COGNOME NOME. Con l’aggravante di aver recato un danno di rilevante gravità. In Marchirolo il 5.2.2018».
Avverso la menzionata sentenza del 16/11/2023 della Corte d’appello di Milano, hanno proposto ricorsi per cassazione, con un unico atto a firma dell’avv. NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano l’erronea applicazione dell’art. 76 cod. proc. pen., con riguardo alla «carenza di legittimazione a proporre querela di Generali Italia s.p.a. – Difetto della condizione di procedibilità».
Dopo avere precisato che «l processo, al netto dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 c.p. , procede per la sola volontà di un unico soggetto, Generali Italia s.p.a.», i ricorrenti rappresentano che: «è certo che gli artifici e raggiri n sono certamente stati messi in atto nei confronti della assicurazione che ha regolato la transazione con il legale»; «’importo erogato è stato l’unica somma pagata dalla stessa. Non sono mai giunte contestazioni dagli altri aventi diritto, mai richieste di adeguamento delle somme erogate»; «l parametro usato dalla Corte per cui il pericolo di attentare al patrimonio della Compagnia da parte degli imputati poteva essere valutabile ex ante non è sostenibile proprio in quanto il negoziato volto alla determinazione del danno non è stato condotto in prima persona dagli imputati ma dal legale a cui si erano affidati, l’avv. NOME COGNOME che non era certo intenzionato a formare un sodalizio criminale con i propri assistiti»; il Tribunale di Varese, pronunciandosi sulla richiesta di riesame della misura cautelare reale che era stata disposta sui beni dei due imputati, aveva affermato che, «uanto alla società assicurativa RAGIONE_SOCIALE – che dal tenore della imputazione del capo A) risulta essere persona offesa dal reato di truffa -, dal compendio probatorio acquisito non si comprende quale sia il danno cagionato alla stessa, avendo già provveduto (essendo la Compagnia assicuratrice
dell’investitore di COGNOME Pasquale) al ristoro di sua spettanza nei confronti degli eredi del de cuius».
Ciò rappresentato, i ricorrenti deducono che RAGIONE_SOCIALE «non è in alcun modo qualificabile come persona offesa dal reato restando al più danneggiata dal reato stesso» e che, poiché il danneggiato, in quanto tale, non ha il potere di proporre querela, andrebbe «ritenuto il difetto di querela con pronuncia di non doversi procedere nei confronti degli imputati stante la mancanza della condizione di procedibilità».
2.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano l’erronea applicazione di legge «in ordine alla conservazione della aggravante di cui all’art. 61 n. 7 sia per violazione di legge intertemporale sia per configurazione propria. Difetto di motivazione».
I ricorrenti illustrano anzitutto la lamentata «violazione di legge intertemporale».
Dopo avere richiamato la disciplina transitoria in materia di modifica del regime di procedibilità dettata dall’art. 85 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cosiddetta “Riforma Cartabia”), e dopo avere dedotto che la stessa disciplina transitoria presupporrebbe un diritto vivente nel senso che le modifiche del regime di procedibilità sono riconducibili a una successione di leggi penali ex art. 2 cod. pen., i ricorrenti argomentano che, di conseguenza, «tale regime sarebbe applicabile anche alla procedibilità della querela di Generali Italia s.p.aRAGIONE_SOCIALE». La COGNOME e il Salerno lamentano che, nel richiamare la massima di Sez. 3, n. 27147 del 09/05/2023, S., Rv. 284844-01, la Corte d’appello di Milano avrebbe omesso di «formulare un esplicito richiamo, ad esempio, alle conclusioni rassegnate dalla parte civile costituita unico momento in cui un mero comportamento correlato ad una permanenza financo passiva della costituzione di parte civile si traduce in una dichiarazione esplicativa della volontà di perseguire il colpevole». La «conseguenza, certa», che ne discenderebbe sarebbe «che in difetto della sopravvivenza della aggravante la querela risulterebbe tardiva e la posizione degli imputati diverrebbe non procedibile a mente dell’art. 129 c.p.p.».
I ricorrenti illustrano poi la questione della «configurabilità dell’aggravante in sé», la quale, a loro avviso, avrebbe dovuto essere esclusa.
Nel ribadire che RAGIONE_SOCIALE non sarebbe persona offesa dal reato ma, al più, soggetto danneggiato dallo stesso, i ricorrenti deducono che, pertanto, RAGIONE_SOCIALE avrebbe «l’onere di dare prova della lesione patrimoniale subita non ex ante (come asserito dalla Corte di Appello) ma ex post su basi concrete che hanno determinato una deminutio patrimoni!». Il che non sarebbe avvenuto, dovendosi altresì in ogni caso considerare che «una Impresa Assicuratrice internazionale di primissimo livello ha sborsato una somma da lei
stessa ritenuta congrua a definizione di un danno trattato con il legale senza che siano mai pervenute ulteriori richieste dagli aventi diritto che la esponessero al rischio cui allude la Corte. Il danno non c’è e la Corte prescinde totalmente nella motivazione dall’operare una verifica in concreto della sussistenza e della congruità cui era tenuta. Tantopiù in relazione alla sussistenza della aggravante». I ricorrenti argomentano ancora che il danno patrimoniale andrebbe «rapportato proporzionalmente alla capienza economica o finanziaria di chi lo subisce» e, in tale prospettiva, si chiedono se possa «essere l’importo di C 375.000,00 ritenuto abnorme per una società che ha di solo capitale sociale C 1.618.628,00». Il criterio della capacità patrimoniale della persona offesa dal reato, ancorché sia ritenuto sussidiario dalla Corte di cassazione, dovrebbe «essere adottato nel caso di specie posto che, come detto, non sussiste il danno e quindi una sua valutazione oggettiva da postulare».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato.
1.1. L’art. 2, comma 1, lett. o), del d.lgs. n. 150 del 2022, col sopprimere, nel terzo comma dell’art. 640 cod. pen., le parole «o la circostanza aggravante prevista dall’art. 61, primo comma, numero 7», ha reso il reato di truffa aggravato da tale circostanza, in precedenza procedibile d’ufficio, punibile, invece, a querela della persona offesa.
Ai sensi del quarto comma dell’art. 2 cod. pen., tale disposizione, in quanto incide, in senso favorevole all’imputato, sull’an e sul quomodo dell’applicazione del precetto penale, si applica retroattivamente.
1.2. Ciò posto, contrariamente a quanto è sostenuto dai ricorrenti, i giudici di merito hanno esattamente ritenuto che RAGIONE_SOCIALE fosse persona offesa dalla commessa truffa e fosse, perciò, legittimata a sporgere querela.
In proposito, si deve anzitutto rammentare che, come è ormai da lungo tempo costantemente affermato dalla Corte di cassazione, la truffa è un reato istantaneo e di danno che si perfeziona nel momento e nel luogo in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore fa seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo (Sez. U, n. 1, del 16/12/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212079-01; Sez. 2, n. 17322 del 18/01/2019, COGNOME, Rv. 27642001).
Ciò rammentato, nel caso in esame le conformi sentenze dei giudici di merito hanno correttamente reputato che la Brindicci e il Salerno avessero realizzato la condotta tipica della truffa e che a tale condotta fosse conseguita una deminutio patrimonii in capo a Generali Italia s.p.a.
I giudici di merito hanno in particolare accertato che i due imputati: a) avevano falsamente dichiarato (materialmente, la COGNOME) a Generali Italia s.p.a. di agire anche in nome e per conto degli altri coeredi di NOME COGNOME, avevano chiesto alla stessa Generali Italia s.p.a. di accreditare sul conto corrente loro intestato l’intero importo del risarcimento, ivi compresa, quindi, la quota che spettava ai predetti coeredi (facendo intendere che essi erano concordi) e avevano altresì contraffatto le firme degli stessi coeredi sulla quietanza di pagamento che avevano prodotto alla società di assicurazioni, così ponendo in essere artifici e raggiri; b) mediante tali artifici e raggiri, avevano indotto Generali Italia s.p.a. credere erroneamente che essi (in particolare, la COGNOME) erano legittimati ad agire anche in nome e per conto degli altri coeredi di NOME COGNOME e a ricevere sul proprio conto corrente l’intero importo del risarcimento, compresa la quota che spettava agli altri coeredi, così inducendo in errore Generali Italia s.p.aRAGIONE_SOCIALE; c) per effetto di tale induzione in errore, Generali Italia s.p.aRAGIONE_SOCIALE aveva corrisposto a dei soggetti (i due imputati) non legittimati – e che non ne avevano, perciò, alcun diritto – la quota di spettanza dei coeredi dell’imputata, quota che era pari a € 375.000,000, così compiendo la stessa Generali Italia s.p.a. un atto di disposizione patrimoniale dannoso per il proprio patrimonio, con corrispondente profitto per i due imputati.
Tali essendo i fatti accertati, e considerata la rammentata natura di reato istantaneo e di danno della truffa, si deve reputare che del tutto correttamente come si è anticipato – i giudici del merito abbiano ritenuto che RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE in quanto soggetto sia raggirato sia che aveva patito l’indicato danno patrimoniale, si dovesse considerare soggetto passivo del reato e, perciò, legittimata a sporgere querela.
La circostanza che, come è stato riconosciuto anche dal Tribunale di Varese, «i coeredi, presumibilmente, non avanzeranno richieste risarcitorie» (pag. 4 della sentenza di primo grado), potrà eventualmente incidere sulla quantificazione del danno – la quale, proprio per tale motivo, è stata demandata al giudice civile ma, contrariamente a quanto mostrano di ritenere i ricorrenti, non esclude affatto che, per le ragioni che si sono dette, RAGIONE_SOCIALE fosse persona offesa dalla truffa e fosse, perciò, legittimata a proporre querela.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
2.1. In ordine logico, si deve anzitutto ritenere che correttamente i giudici del merito abbiano reputato che l’attribuita truffa avesse cagionato a Generali Italia s.p.a. un danno patrimoniale di rilevante gravità, con la conseguente sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 7), cod. pen.
In proposito, si deve anzitutto rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, agli effetti di tale circostanza aggravante, l’entità del
danno patrimoniale deve essere valutata con riferimento al momento in cui il reato è stato commesso, con la conseguenza che la diminuzione della stessa entità, conseguente a fatti successivi, risulta irrilevante (Sez. 2, n. 36311 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 277032-01; Sez. 2, n. 3369 del 18/12/2012, COGNOME, Rv. 25478001, relativa a un caso di restituzione delle somme che erano state percepite truffaldinamente).
Pertanto, al fine di valutare la sussistenza nella specie della circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 7), cod. pen., occorre fare riferimento al momento della consumazione della truffa, mentre, diversamente da quanto mostrano di ritenere i ricorrenti – e come è stato invece correttamente ritenuto dalla Corte d’appello di Milano – è irrilevante il fatto che, successivamente alla stessa consumazione, a Generali Italia s.p.aRAGIONE_SOCIALE «non siano mai pervenute ulteriori richieste dagli aventi diritto» (cioè dai coeredi dell’imputata).
Ne discende che, sempre ai fini della valutazione della sussistenza della circostanza aggravante in questione, occorre in particolare considerare il danno patrimoniale di C 375.000,00, corrispondenti all’indicata deminutio patrimonii che Generali Italia s.p.a. ha subito al momento della consumazione della truffa.
Sempre in proposito, si deve ancora ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, nel valutare l’applicabilità della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, si può fare riferimento alle condizioni economico-finanziarie della persona offesa solo qualora il danno sofferto, pur non essendo di entità oggettiva notevole, può essere qualificato tale in relazione alle particolari condizioni della vittima, che sono invece irrilevanti quando l’entità oggettiva del danno è tale da integrare di per sé un danno patrimoniale di rilevante gravità (Sez. 2, n. 48734 del 06/10/2016, COGNOME, Rv. 268446-01, relativa a una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente l’aggravante con riferimento a un danno indicato nel capo d’imputazione per il reato di truffa nell’importo di C 71.000,00, a prescindere dalle condizioni economiche della parte offesa; Sez. 2, n. 33432 del 14/07/2015, COGNOME, Rv. 264543-01, relativa a una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente l’aggravante con riferimento a un danno compreso tra C 20.000,00 ed C 50.000,00, a prescindere dalla capacità economica delle vittime del reato).
Alla luce di tali principi, non possono sussistere dubbi in ordine al fatto che il danno patrimoniale di C 375.000,00, necessariamente riferito al momento consumativo del delitto, sia stato correttamente ritenuto dai giudici di merito come di rilevante gravità.
2.2. Tirando le fila del discorso, da esso discende che, nel caso in esame, il reato di truffa, che è stato commesso nel febbraio del 2018, essendo aggravato ai
sensi dell’art. 61, n. 7), cod. pen., era in precedenza procedibile d’ufficio ed è divenuto perseguibile a querela di parte solo per effetto del d.lgs. n. 150 del 2022.
Orbene, per le truffe commesse prima dell’entrata in vigore di tale decreto (30/12/2022), questo ha previsto, all’art. 85, una disciplina transitoria secondo la quale, per le stesse truffe, il termine per la presentazione della querela decorre dalla menzionata data di entrata in vigore del decreto legislativo, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato.
Ne discende che, sulla base di detta disposizione transitoria, in tale ipotesi che ricorre anche nel caso in esame – è con riferimento al momento dell’entrata in vigore della nuova legislazione che vanno svolte le valutazioni in ordine alla sussistenza e alla ritualità della condizione di procedibilità della querela, senza che possano rilevare eventuali “deficit” legati a momenti processuali in cui la stessa condizione non era richiesta.
Pertanto, avendo riguardo al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, è sufficiente rilevare come la persona offesa Generali Italia s.p.aRAGIONE_SOCIALE avesse già espresso la propria volontà punitiva, sia presentando una querela – non rileva se tempestiva o, come è sostenuto dai ricorrenti, tardiva (Sez. 2, n. 50672 del 10/11/2023, Ongaro, Rv. 285691-01) – sia, comunque, costituendosi parte civile (costituzione mai revocata), tenuto conto, quanto a quest’ultima considerazione, che la volontà punitiva della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere legittimamente desunta anche da atti che non contengano la sua esplicita manifestazione (in quest’ultimo senso: Sez. 1, n. 26575 del 14/05/2024, COGNOME, Rv. 286741-01, e Sez. 3, n. 27147 del 09/05/2023, S., Rv. 284844-01 – quest’ultima esattamente invocata anche dalla Corte d’appello di Milano – le quali, sulla base della ratio sopra indicata, hanno affermato il pienamente condivisibile principio secondo cui la costituzione di parte civile non revocata equivale a querela ai fini della procedibilità di reati originariamente perseguibili d’ufficio e divenuti perseguibili a querela a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022).
In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, attesa la manifesta infondatezza dei loro motivi, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Dall’inammissibilità dei ricorsi consegue altresì la condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE s.p.a., le quali si liquidano i complessivi C 3.167,00, oltre accessori di legge.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Generali Italia s.p.a. che liquida in complessivi euro 3.167,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 17/10/2024.