Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14488 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14488 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di: NOMECOGNOME nato a Rieti, il 28/06/1966, avverso la sentenza del 01/10/2024 della Corte di appello di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte trasmesse dal Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni scritte trasmesse a mezzo p.e.c. dal difensore e procuratore speciale della parte civile RAGIONE_SOCIALE, avv. NOME COGNOME che ha dettagliatamente argomentato circa l’infondatezza dei motivi di ricorso, depositando conclusioni scritte e nota spese.
La Corte di appello di Bologna, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato nel merito la decisione adottata dal Tribunale del medesimo capoluogo il 7 ottobre 2022, che aveva riconosciuto la responsabilità dell’imputato per il delitto di truffa aggravata dall’elevato danno patrimoniale provocato. Con la medesima sentenza, la Corte di appello ordinava la non menzione della condanna nel certificato del casellario rilasciato a richiesta dei privati e dilatava il termine d adempimento dell’obbligazione risarcitoria, cui era subordinata la sospensione condizionale della pena.
Avverso tale sentenza ricorre, a ministero del difensore di fiducia, NOME COGNOME deducendo a motivi della impugnazione le argomentazioni in appresso enunciate, secondo le indicazioni di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:
2.1. vizio di motivazione, per mancanza o mera apparenza, in ordine alla esplicitazione degli artifizi e raggiri usati dall’imputato per consumare la truffa, trattandosi viceversa di semplice inadempimento contrattuale, che ha assunto i connotati penalistici della truffa solo per effetto della garanzia fideiussoria prestata con polizza rivelatasi materialmente contraffatta ad opera di ignoti, dal che deriva l’essenziale apporto conoscitivo del teste COGNOME che né il Tribunale né la Corte di appello hanno voluto escutere, per divisata superfluità;
2.2. violazione e falsa applicazione della legge penale, per erronea applicazione della legge penale, in difetto di artifizi e raggiri, non potendo addebitarsi al Tiengo la contraffazione della polizza fideiussoria prestata a garanzia degli ingenti acquisti di autoveicoli realizzati.
2.3. mancata assunzione di prova decisiva, avendo la Corte, così come il Tribunale (che aveva revocato l’ordinanza ammissiva del teste della difesa), ritenuto superflua l’escussione del teste di lista della difesa NOMECOGNOME che solo avrebbe potuto chiarire le vicende relative al rilascio di una polizza fideiussoria contraffatta;
2.4. violazione della legge penale in riferimento al rigore eccessivo della sanzione inflitta, al negato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla eccessiva entità della provvisionale riconosciuta ed alle ragioni della subordinazione dei benefici all’adempimento della obbligazione risarcitoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sono inammissibili, giacché manifestamente infondati, oltre che meramente riproduttivi dei motivi di gravame spesi nel merito e rigettati dalla Corte, con diffuse e puntuali argomentazioni, del tutto esaustive delle doglianze mosse nel merito della penale responsabilità e degli obblighi risarcitori.
1.1-2. Il Collegio condivide il consolidato principio di diritto secondo il quale, a fronte della duplice condanna in primo ed in secondo grado (c.d. doppia conforme), il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo, purché specificamente indicati dal ricorrente, non può essere coltivato nella sede di legittimità, se non nel caso in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336, del 9/11/2018, Rv. 272018; Sez. 5, n. 1927, del 20/12/2017; Rv. 272324; Sez. 2, n. 7986, del 18/11/2016, Rv. 269217; Sez. 4, n. 44765, del 22/10/2013, Rv. 256837; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, Rv. 258438).
D’altra parte, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttu giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595). Siffatta integrazione tra le due motivazioni si verifica non solo allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico – giuridici della decisione, ma anche, e a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Sez. 4, n. 56311-18, del 28/11/2018; Sez. 2, 55955-18, del 10/9/2018; che richiamano Sez. 3, n. 13926/2012, Rv. 252615).
Tanto chiarito quanto all’ambito del sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza d’appello nel caso di duplice conformità verticale delle pronunce di’
colpevolezza, va rilevato come le deduzioni difensive svolte in tema di accertamento della responsabilità per il fatto contestato (primo e secondo dei motivi di ricorso) siano volte a sollecitare una diversa valutazione delle emergenze processuali (in particolare, del peso degli argomenti offerti con le prove dichiarative e documentali esaminate nel corso del giudizio di primo grado), operazione che, a fronte del preciso ancoraggio alle emergenze processuali e del rigore logico giuridico che connota le scansioni dell’iter argomentativo delle decisioni impugnate, non può trovare spazio in sede di legittimità. In particolare, la Corte di appello ha diffusamente argomentato in ordine alla prova degli artifici (consegna di polizza fideiussoria materialmente contraffatta) adoperati dall’agente per indurre il disponente a consegnare le numerose vetture acquistate dall’imputato, che non ebbe mai a corrispondere il prezzo di acquisto. Il soggetto interessato alla consegna della polizza contraffatta era infatti il COGNOME lui stesso ebbe a consegnarla all’alienante, lui stesso, con il comportamento tenuto al momento della scoperta del raggiro si rese irreperibile, con ciò rendendo palese la sua mala fede, così argomenta la Corte alle pagine 8 e 9 della sentenza impugnata.
3. Quanto al terzo motivo, è incontroverso che in primo grado, alla presenza del difensore di fiducia dell’imputato, assente il teste della cui citazione era onerato il difensore, il Tribunale ne revocò l’ammissione, argomentano anche circa la superfluità sopravvenuta della sua escussione. La statuizione adottata, così come quelle di rigetto da parte del Tribunale e della Corte di appello di ogni ulteriore istanza sul punto – anche ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen. – non sono viziate giuridicamente, in quanto i giudici di merito hanno motivatamente ritenuto superfluo l’esame del teste difensivo COGNOME con congrue argomentazioni in fatto, non censurabili in questa sede.
Deve, ancora, aggiungersi, che la soluzione adottata nel merito in ordine alla revoca del teste a difesa, appare corretta anche accedendo alla tesi giurisprudenziale più favorevole alle ragioni dell’imputato, secondo la quale, la mancata citazione del teste per l’udienza non comporta l’automatica decadenza della parte richiedente dalla prova, ma consente al giudice di valutare se, per la superfluità della testimonianza o per il ritardo che comporterebbe per la decisione, debba dichiararsi la decadenza della parte dalla prova, ovvero differire l’audizione del teste già ammesso ad un’udienza successiva (Sez. 6, n. 33163 del 03/11/2020, C., Rv. 279922-01). Altro, più rigoroso principio, pure affermato in sede di legittimità, porterebbe, a maggior ragione, alla medesima soluzione (in tema di prova testimoniale, la mancata citazione dei testimoni già ammessi dal giudice comporta la decadenza della parte dalla prova, poiché il termine per la citazione dei testimoni è inserito in una sequenza procedimentale che non ammette ritardi
o rinvii dovuti alla mera negligenza delle parti ed ha, pertanto, natura perentoria (Sez. 4, n. 31541 del 13/10/2020, COGNOME, Rv. 279758).
La Corte di merito ha, comunque, diffusamente argomentato sulla superfluità della prova, atteso che l’interesse alla produzione della polizza contraffatta ricadeva solo sull’imputato, che peraltro nessuna iniziativa aveva preso a sua tutela nei riguardi di ipotizzati suoi truffatori o autori mediati.
Tanto supera ed assorbe ogni altra considerazione.
Il quarto motivo è inammissibile, in quanto neppure si confronta con le diffuse argomentazioni dei giudici di merito in ordine al negato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in ragione della entità del danno provocato e della assenza di resipiscenza, ed alla misura sanzionatoria calcolata. Inammissibilità altrettale rivela il motivo che reitera generiche argomentazioni già spese con i motivi di gravame nel merito in ordine alla entità della provvisionale calcolata dal giudice di primo grado. La motivata quantificazione della provvisionale si sottrae infatti ad ogni forma di censura nella sede di legittimità (Sez. 4, n. 20318, del 10/1/2017, Rv. 269882; Sez. 5, n. 12762, del 14/10/2016, Rv. 269704), trattandosi in ogni caso di provvedimento che non definisce il processo sulla domanda risarcitoria. I doppi benefici riconosciuti sono rimasti subordinati all’adempimento dell’obbligazione risarcitoria, come specificamente previsto dalla legge (art. 165, primo comma, cod. peri.) e puntualmente giustificato dai giudici di merito.
Il ricorso proposto va pertanto dichiarato inammissibile.
5.1. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. peri., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro tremila.
Il ricorrente deve essere altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile, RAGIONE_SOCIALE che si liquidano come da dispositivo, secondo le indicazioni offerte dalle vigenti disposizioni tabellari ed in considerazione del numero di parti civili costituite.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE,
che liquida in complessivi euro 4.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 marzo 2025.