Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 15723 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 15723 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 06/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a BISCEGLIE il 24/04/1964 COGNOME nato a BISCEGLIE il 03/03/1997 avverso la sentenza del 17/05/2024 della CORTE d’APPELLO di BARI Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la memoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli artt. 610, comma 5, e 611, comma 1 bis, e segg. cod. proc. pen..
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento la Corte d’appello di Bari ha confermato la sentenza pronunciata il 22 luglio 2022 dal Tribunale di Bari, con cui NOME COGNOME e NOME COGNOME erano state condannate alla pena di giustizia perché ritenute responsabili per la truffa aggravata commessa ai danni di tal NOME COGNOME per l’acquisto di un orologio.
Presentando ricorso per Cassazione, la Difesa delle imputate ha formulato i seguenti motivi.
2.1 Viene innanzitutto eccepita la violazione di legge (art. 606 lett. b, cod. proc. pen.) non essendosi indicato in cosa sarebbero consistiti i raggiri caratterizzanti la truffa, posto che il pagamento con assegni ‘scoperti’ non integra altro che un inadempimento civilistico, privo di rilevanza penale.
2.2 Con il secondo motivo si deduce violazione della legge penale (art. 606, lett. b, in relazione all’art. 649 cod. proc. pen.) per violazione del divieto di bis in idem. Un’unica denuncia, da parte della persona offesa COGNOME dava luogo a due distinte iscrizioni quali notizie di reato, una delle quali è stata oggetto di richiesta di archiviazione, accolta dal giudice per le indagini preliminari, mentre l’altra è sfociata nella richiesta di rinvio a giudizio per il presente processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi addotti sono infondati (il secondo manifestamente) condannando il ricorso al rigetto.
In relazione alla (contestata) natura truffaldina della azione posta in essere dalle due imputate, sono condivisibili le premesse della prospettazione difensiva, corrispondenti, d’altra parte, ad un orientamento ermeneutico espresso da questa stessa Sezione (ex pluris, da ultimo Sez. 2, n. 23229 del 12/04/2022, COGNOME, Rv. 283410 – 01) secondo cui il pagamento con assegno che risulti (al momento dell’incasso) privo di copertura, non è di per sé fattore indicativo di truffa né costituisce, di per sé solo, un raggiro.
Sennonché, la sentenza della Corte di appello, in linea con quella di primo grado (dando vita pertanto sul punto ad una ‘doppia conforme’, per il comune ricorso ai medesimi criteri di valutazione del fatto), ha evidenziato che quel ‘di più’ richiesto in via ermeneutica sussiste, e va ravvisato nelle attività poste in essere dalle imputate, dirette a carpire la fiducia della persona offesa, accreditandosi come acquirenti affidabili ed assicurando il ‘buon-fine’ degli assegni, al fine di conseguire il definitivo vantaggio economico dell’operazione. Per giungere a tale conclusione, la Corte ha altresì chiarito (pg. 3), con corretti riferimenti giurisprudenziali, che la truffa, benché implicante una transazione commerciale, non deve intendersi esaurita in essa e non coincide, necessariamente, con la stipula dell’accordo ed il passaggio dell’oggetto compravenduto (nel caso, un orologio).
La sentenza correttamente evidenzia che la captatio fiduciae della parte offesa è avvenuta grazie alla stipulazione di un precedente / analogo, acquisto, andato a buon fine, nonché per mezzo delle rassicurazioni sulla solvibilità degli assegni emessi della figlia della contraente, destinata a ricevere, sul conto di emissione,
una somma ‘a copertura’. Le rassicurazioni fornite anche in seguito alla riscontr (da parte del creditore) impossibilità di incassare il titolo, così come i succ inadempimenti delle rate in cui il debito portato dagli assegni era s concordemente frazionato, compongono, secondo la Corte, il quadro complessivo di una condotta ab origine diretta alla commissione della truffa. Si tratta di una valutazione di fatto che non può essere in questa sede sindacata, in quanto basa su un apprezzamento adeguato delle circostanze, immune da critiche di manifesta illogicità o contraddittorietà, in verità nemmeno formulate con il primo motivo ricorso che appare, piuttosto, redatto sulla falsa riga dell’atto di appello, riporta argomenti e modalità argomentative. Ed in effetti, il vizio capi dell’impugnazione (e del primo motivo in particolare) è costituito dal fatto che e pretende di riproporre in questa sede le stesse considerazioni già formulate respinte) nel grado precedente, ed in generale nel giudizio di merito, quas pretendere un terzo grado di merito. Ma tale funzione non spetta a questa Corte che non è un giudice di merito e che può sindacare la sentenza, per così di ‘dall’esterno’, per la sua tenuta logica, per la assenza di contraddizioni ma sulla base della preponderanza o maggiore credibilità o ragionevolezza di una tes alternativa non documentata da risultanze in ipotesi non considerate.
3. Infondato è anche il secondo motivo, che tratta del tema del ne bis in idem, violazione in cui sarebbe incorsa la sentenza, per non aver considerato ostativa corrente procedimento la intervenuta archiviazione a carico delle due imputate, conclusione di un separato procedimento, originato dalla medesima comunicazione di notizia di reato.
In verità, già nella vigenza del precedente codice di rito si era rilevato nessun effetto preclusivo potesse derivare da un provvedimento come quello di archiviazione, per sua natura non definitivo ed irrevocabile e quindi non idoneo costituire uno sbarramento alla attività processuale iniziata in un altro proc (Sez. 1, n. 6588 del 31/01/1989, COGNOME, Rv. 181208 – 01; Sez. 6, n. 2323 de 25/02/1972, COGNOME, Rv. 120756 – 01). Il principio è stato successivamente ribadito, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo codice, che, all’art. 649, peraltro con formulazione analoga alla precedente (art. 90 cod. proc. pen previgente), i paletti per il perimetro di applicazione della preclusione process nell’intervenuta condanna o assoluzione con “sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili”, dovendosi dedurne che si considerino estranee all’ambito d applicazione della norma in esame i provvedimenti di archiviazione, non trattandosi di decisioni sull’azione penale, tanto meno connotate dal carattere de decisività.
In proposito va peraltro evidenziato che la giurisprudenza di legittimità, nel suo più alto consesso (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005,
PM
in proc. COGNOME Rv.
231800 – 01), ha chiarito come l’elemento razionale utile ad individuare i provvedimenti idonei a qualificare il divieto di
bis in idem risiede nell’avvenuto
esercizio della azione penale, e nell’effetto preclusivo che ciò produce rispetto ad un ulteriore, successivo esercizio dello stesso potere, oramai consumatosi.
Nel caso di avvenuta archiviazione, che non comporta alcun esercizio dell’azione penale, l’effetto preclusivo non opera (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 39498
del 07/06/2023, NOME, Rv. 285053 – 01).
Per tale ragione il motivo è manifestamente infondato.
4. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 6 marzo 2025