Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34650 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34650 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME DATA_NASCITA a ERICE
avverso l’ordinanza in data 07/02/2024 del TRIBUNALE DI PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
sentito l’AVV_NOTAIO che, nell’interesse di COGNOME NOME, ha illustrato i motivi d’impugnazione e ne ha chiesto l’accoglimento;
lette le note di trattazione fatte pervenire dalla difesa di COGNOME NOME.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, per il tramite del proprio difensore, impugna l’ordinanza in data 07/02/2024 del Tribunale di Palermo che, in parziale accoglimento dell’istanza di riesame, ha riformato l’ordinanza in data 10/01/2024 del G.i.p. del Tribunale di Trapani, sostituendo la misura cautelare del divieto di dimora (nelle more del giudizio di riesame sostituita con quella dell’obbligo di dimore nel RAGIONE_SOCIALE di residenza) con quella del divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriali o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per la durata di dieci mesi, in relazione ai reati di truffa aggravata ai sensi dell’art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen. contestata al capo 1), di illecita concessione di subappalto di cui all’art. 21 della Legge n. 646 del 1982 contestato al capo 2) e di trasferimento fraudolento
di cui all’art. 512-bis cod. pen. contestato al capo 5).
Deduce:
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per i reati contestati ai capi 1) e 2).
Il vizio di motivazione viene denunciato in ragione della mancata considerazione delle allegazioni difensive, rispetto alle quali -sostiene il ricorrenteil giudicante non ha esposto le ragioni della loro non condivisibilità, con la conseguente pretermissione dal giudizio di plurimi elementi che, ove adeguatamente valorizzati, avrebbero condotto a una decisione di diverso tenore rispetto a quella effettivamente presa.
Tanto si deduce con particolare riferimento ai contenuti delle intercettazioni, che si assumono valorizzati senza prendere in considerazione i chiarimenti offerti in sede di interrogatorio di garanzia dall’indagata e dal compagno e co-indagato COGNOME NOME.
1.1. La ricorrente sostiene, poi, l’insussistenza dell’elemento soggettivo in relazione ai reati contestati ai capi 1 e 2. A tal fine, fa presente che il RAGIONE_SOCIALE di Favignana era solito interloquire direttamente con la società RAGIONE_SOCIALE per l’assegnazione di taluni lavori da eseguire sull’isola, con la conseguente assoluta buona fede di COGNOME e di COGNOME in relazione all’esecuzione dei lavori per cui si ha procedimento.
Evidenzia che quanto prospettato emerge dalla nota del 18/08/2023, allegata all’istanza di riesame, dalla quale sarebbe evincibile che COGNOME e COGNOME non avevano consapevolezza del divieto su di loro gravante di svolgere commesse pubbliche.
1.2. Con specifico riferimento alla truffa, si denuncia l’assenza degli elementi costitutivi richiesti per la sua configurazione.
A tale proposito si osserva che gli indagati avevano integralmente fatturato alla ditta aggiudicataria gli importi incassati per l’esecuzione dei lavori, così mancando ogni possibilità di ritenere sussistente il requisito degli artifici o dei raggiri e così dimostrandosi la perfetta buona fede degli indagati e l’assenza di alcuna condotta intesa a indurre in errore l’amministrazione comunale di Favignana.
Si aggiunge, inoltre, che il fatto in esame è privo del requisito dell’altrui danno, in quanto nei provvedimenti impugnati manca la concreta indicazione di tale elemento strutturale del reato di truffa, così come contestato al capo 1 della rubrica.
A tale riguardo si evidenzia che la commessa era stata eseguita a regola d’arte in favore del RAGIONE_SOCIALE che, a sua volta, non aveva dovuto sborsare somme ulteriori o superiori rispetto a quelle pattuite con l’appalto aggiudicato dall’impresa RAGIONE_SOCIALE.
Sulla base di ciò si deduce la mancanza di un effettivo depauperamento
economico del soggetto passivo del reato e, con esso, dell’elemento costitutivo in questione che, a differenza dell’ingiusto profitto, deve avere natura squisitamente patrimoniale.
Precisa che la “divisione” interna degli utili tra appaltatore ed eventuale subappaltatore rimane una questione del tutto estranea al “costo di aggiudicazione”, non comportando alcun superiore esborso da parte dell’appaltante né, tantomeno, l’esecuzione dei lavori ad un costo inferiore rispetto a quello di aggiudicazione».
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di cui all’art. 512bis cod. pen. contestato al capo 5.
Il secondo motivo muove anch’esso dalla denuncia del vizio di omessa motivazione per la mancata considerazione dei rilievi e delle allegazioni difensive.
Osserva, dunque, che il G.i.p. aveva ritenuto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza descrivendo COGNOME quale soggetto vicino a personaggi di spessore criminale, tanto da essere coinvolto in un procedimento penale che lo vedeva accusato di partecipazione ad associazione mafiosa.
Precisa che davanti al tribunale aveva evidenziato che COGNOME era stato assolto dal reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., con sentenza divenuta irrevocabile stante la mancata impugnazione da parte del pubblico ministero. Aggiunge che aveva altresì rimarcato l’irrilevanza dei modestissimi precedenti penali a carico dello stesso COGNOME, così che poteva escludere che l’intestazione dei beni alla COGNOME fosse intesa a evitare misure di prevenzione.
Evidenzia, dunque, che il tribunale affermava che l’assoluzione per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. non escludeva la possibilità che a COGNOME venisse applicata una misura di prevenzione, in ciò trascurando di considerare che lo stesso Tribunale di Trapani, con decreto in data 18/09/2023 -prodotto in sede di riesameaveva escluso che COGNOME potesse considerarsi soggetto pericoloso e, dunque, aveva escluso che quello fosse assoggettabile a misura di prevenzione.
La ricorrente evidenzia, dunque, il contenuto del decreto menzionato, con particolare riguardo alla parte in cui il Tribunale di Trapani – Sezione Misure di Prevenzione- ha escluso ogni possibilità di ritenere che COGNOME avesse partecipato alla consorteria mafiosa ovvero che si fosse messo a sua disposizione, in tal senso richiamando quanto ritenuto nella sentenza che lo aveva assolto dal reato di associazione mafiosa.
Lamenta, ancora, la mancata valutazione di un’ulteriore circostanza di fatto, pure dedotta in sede di riesame, ossia che la società RAGIONE_SOCIALE era stata costituita nel 2014 quando non si poteva immaginare che COGNOME sarebbe stato sottoposto a processo per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. ovvero sarebbe stato proposto per una misura di prevenzione. Si lamenta, altresì, della mancata
considerazione dei chiarimenti offerti da COGNOME e da COGNOME in sede d’interrogatorio di garanzia.
Si denuncia la mancanza di elementi utili a far ritenere che i beni che si assumono fittiziamente intestati siano stati acquistati con le provviste procurate dalle attività delittuose.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle ritenute esigenze cautelari.
In questo caso si evidenzia che le esigenze cautelari sono state ritenute facendo esclusivo riferimento alla condotta realizzata da COGNOME, senza alcun richiamo a elementi dotati della concretezza e attualità a carico della COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, per le ragioni che si vanno a esporre.
Va premesso che le doglianze non riguardano la ricostruzione del fatto, che può così riassumersi: la ditta RAGIONE_SOCIALE partecipa e si aggiudica la gara di appalto per i lavori di manutenzione del verde e scerbatura indetta dal RAGIONE_SOCIALE di Favignana per l’anno 2021. La stessa ditta COGNOME NOME subappalta tali lavori alla RAGIONE_SOCIALE e alla “RAGIONE_SOCIALE“, entrambe riconducibili a COGNOME NOME e al suo compagno COGNOME NOME.
Tale subappalto, però, sarebbe avvenuto senza alcuna autorizzazione da parte “dell’Autorità competente” e in violazione delle norme regolatrici degli appalti pubblici, in quanto la RAGIONE_SOCIALE e la “RAGIONE_SOCIALE“, erano «priva dei requisiti richiesti per l’iscrizione nell’elenco prefettizio delle ditte cd white list» (così nel capo 1 dell’imputazione).
Da qui la contestazione del reato di truffa aggravata ai sensi dell’art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen., (così riqualificata l’originaria contestazione ai sensi dell’art. 640-bis cod. pen.) perché perpetrata in danno del RAGIONE_SOCIALE di Favignana, e di illecita concessione di subappalto di cui all’art. 21 della Legge n. 646 del 1982 contestato al capo 2).
Va precisato che le opere appaltate sono state interamente e correttamente eseguite e che il sub-appalto è stato concordato dalla ditta RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE con l’accordo di una ripartizione del prezzo dell’appalto, senza alcun aggravio per il RAGIONE_SOCIALE.
Il reato di trasferimento di valori, di cui all’art. 512-bis cod. pen. viene contestato al capo 5) sul presupposto che COGNOME NOME attribuiva fittiziamente a COGNOME NOME alcuni beni descritti nel capo d’imputazione, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione.
Dalla considerazione del fatto così come ricostruito dallo stesso tribunale emergono, in effetti, le criticità evidenziate dal ricorrente, con particolare riguardo alla omessa motivazione circa gli elementi costitutivi della truffa.
Vale la pena ricordare che l’elemento peculiare della truffa è la cooperazione artificiosa della vittima, da cui discende la lesione dell’interesse alla libera formazione del consenso. Il truffatore, infatti, aggredisce il patrimonio altrui attraverso un inganno che induce la vittima ad autodanneggiarsi con il compimento di un atto di disposizione patrimoniale. L’azione offensiva non si esaurisce in un’aggressione unilaterale del reo, ma richiede un completamento ad opera del soggetto passivo che coopera, appunto, alla produzione del danno.
Il nucleo centrale della condotta incrimiNOME risiede in un’attività diretta a persuadere con l’inganno (“induzione mediante artifizi o raggiri”); questa fraudolenta attività induttiva deve a sua volta determinare – in termini di causalità psicologica – l’errore del soggetto passivo, cui consegue, in ultima analisi, il danno patrimoniale.
Dalla lettera dell’art. 640 cod. pen. si ricava una vera e propria sequenza di elementi che presiede alla configurabilità del reato di truffa: artifici o raggiri; induzione in errore; atto dispositivo; danno patrimoniale e profitto ingiusto.
Quando la truffa è aggravata ai sensi dell’art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen. tale sequenza va riferita all’ente pubblico indicato quale soggetto passivo della condotta delittuosa.
2.1. In effetti la motivazione del provvedimento impugnato risulta silente sostanzialmente- sull’intera sequenza, con conseguente fondatezza della denuncia di omessa motivazione circa l’individuazione degli artifici e raggiri realizzati da COGNOME e COGNOME in danno del RAGIONE_SOCIALE e circa l’indicazione del danno patrimoniale da questi subito.
La motivazione del tribunale circa i gravi indizi di colpevolezza sulla truffa è contenuta alla pagina 10 del provvedimento impugnato, dove i giudici rimarcano “l’ingerenza” di COGNOME nell’esecuzione dei lavori appaltati ad altre ditte.
In sostanza, il tribunale identifica l’attività fraudolenta nel fatto che l’appaltatore aggiudicatario dei lavori (in particolare COGNOME), da una parte, e COGNOME (e COGNOME), dall’altra parte, si accordavano nel senso che questi ultimi avrebbero provveduto all’esecuzione dei lavori, dietro un compenso corrisposto dal primo, pattuito in una parte del prezzo di appalto.
Alla luce di tale ricostruzione, va rilevato come l’Ente territoriale risulti affatto estraneo a un sinallagma negoziale, che vede coinvolti esclusivamente gli appaltatori aggiudicatari e gli indagati COGNOME e COGNOME, senza che in alcuna maniera siano compromessi o anche solo lambiti gli interessi o il patrimonio del RAGIONE_SOCIALE di Favignana e senza che sia in alcuna maniera coinvolta una sua manifestazione di volontà.
I giudici del riesame, infatti, non spiegano in quale maniera si sarebbero realizzati gli artifici o i raggiri, in cosa siano consistiti e da chi siano stati realizz
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così che -conseguentemente- non viene espresso un momento essenziale ai fini della configurazione della truffa, che è quello delle modalità di alterazione della volontà contrattuale del RAGIONE_SOCIALE, mediante l’inganno.
In conseguenza di ciò, il tribunale, inoltre, non offre nessuna indicazione circa l’atto di disposizione patrimoniale posto in essere dal RAGIONE_SOCIALE in conseguenza dell’inganno. Atto di disposizione che, per avere rilievo ai fini che qui interessano, deve essere produttivo, al contempo, di un ingiusto profitto e di un altrui danno.
Anche in relazione a tali ulteriori requisiti, però, la motivazione risulta mancante, non rinvenendosi alcuna precisazione sull’ingiusto profitto e sul danno provocati dalla condotta contestata agli indagati.
Precisazione, questa, tanto più necessaria, visto che i giudici non dubitano della corretta esecuzione dei lavori appaltati, né evidenziano costi ulteriori che il RAGIONE_SOCIALE abbia eventualmente dovuto sopportare rispetto al prezzo di aggiudicazione e visto che le somme di denaro ricevute da COGNOME e COGNOME dagli aggiudicatari costituiscono la controprestazione pattuita con COGNOME per l’esecuzione dei lavori.
Soldi che, perciò, vengono sborsati da COGNOME, che rinuncia a una parte del prezzo di appalto in favore di COGNOME e COGNOME, senza alcun costo ulteriore per l’ente territoriale.
Tali rilievi fanno emergere la fondatezza delle deduzioni difensive, là dove la ricorrente lamenta come la motivazione risulti del tutto silente rispetto alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di truffa, con particolare riferimento agli artifici e raggiri e al danno economico subito dal RAGIONE_SOCIALE, ma -va rilevatoanche in relazione alla individuazione della lesione subita alla libera formazione del consenso nell’ambito del procedimento amministrativo di formazione della volontà dell’Ente; all’atto di disposizione patrimoniale compiuto dal RAGIONE_SOCIALE in ragione dell’inganno; all’ingiusto profitto e al danno provocati da tale atto di disposizione.
Da ciò discende l’annullamento con rinvio al tribunale per nuovo giudizio sulla base dei rilievi fin qui esposti.
A eguale conclusione di annullamento con rinvio si perviene anche in relazione al reato di cui all’art. 512-bis cod. pen., così come contestato al capo 5) della rubrica.
La motivazione sui gravi indizi di colpevolezza in relazione a tale ipotesi di reato è esposta alla pagina 12 del provvedimento impugnato.
A tale riguardo il tribunale valorizza una conversazione intercorsa tra COGNOME e una sua amica, dal cui contenuto emergerebbe che i beni intestati a COGNOME appartengono, in realtà, a COGNOME.
Anche in questo caso, la ricorrente non si duole della lettura di tale conversazione e -per il vero- neanche dell’appartenenza dei beni. Lamenta, però,
la mancanza di motivazione circa gli elementi costitutivi del reato contestato, con particolare riferimento all’elemento soggettivo a tal fine richiesto.
In tal senso la ricorrente osserva che non è sufficiente osservare che l’assoluzione dall’associazione mafiosa non rileva ai fini dell’applicazione di una misura di prevenzione.
A tale riguardo e per quello che qui interessa, va premesso che il delitto in esame richiede il dolo specifico di elusione delle disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali, anche a prescindere dalla concreta possibilità dell’adozione di misure di prevenzione patrimoniali all’esito del relativo procedimento, essendo integrato anche soltanto se l’autore ne possa temere l’instaurazione (Sez. 2, Sentenza n. 22954 del 28/03/2017, COGNOMEAgostino, Rv. 270480 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 2483 del 21/10/2014 Cc., dep. il 2015, Lapelosa, Rv. 261980 – 01).
E’ stato ulteriormente precisato che il delitto di trasferimento fraudolento di valori può essere commesso anche da chi non sia ancora sottoposto a misure di prevenzione patrimoniali e ancora prima che il relativo procedimento sia iniziato, occorrendo solo, ai fini della configurabilità del dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, che l’interessato possa fondatamente presumere l’avvio di detto procedimento (cfr., tra le altre, Sez. 5 – , n. 1886 del 07/12/2021 – dep. 17/01/2022-, COGNOME, Rv. 282645 – 01; Sez. 6, n. 24379 del 04/02/2015, COGNOME, Rv. 264178 – 01; Sez. 2, n. 29224 del 14/07/2010, COGNOME, Rv. 248189 – 01; Sez. 1, n. 19537 del 02/03/2004, COGNOME, Rv. 227969 — 01).
Tanto conduce a rimarcare l’irrilevanza nell’odierno giudizio dei provvedimenti valorizzati dalla difesa e costituiti dall’assoluzione del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. e dal rigetto della proposta di sottoposizione alla misura di prevenzione personale.
L’esito di tali giudizi, invero, può incidere e influenzare la valutazione del requisito della pericolosità sociale richiesto a carico del prevenuto nell’ambito del procedimento di prevenzione patrimoniale eventualmente avviato a suo carico. L’indagine del dolo specifico, però, si colloca in un ambito diverso rispetto all’effettiva applicabilità della misura di prevenzione patrimoniale, richiedendo un’indagine che prescinde da tale evenienza e che deve essere intesa a valutare se l’intestazione che si assume fittizia fosse dettata dal timore dell’agente di essere sottoposto a misura patrimoniale e al fine di evitarne le conseguenze.
Fermo restando che a tal fine possono essere valorizzati -in senso favorevole o sfavorevole- tutti gli elementi sintomatici di tale atteggiamento psicologico e, tra questi, anche quelli contenuti in provvedimenti giudiziali.
Va ulteriormente precisato che -diversamente da quanto dedotto dalla
ricorrente- ai fini dell’accertamento del reato, non occorre un’indagine finalizzata ad accertare la provenienza illecita delle risorse utilizzate nella costituzione e l’avvio della società ovvero per l’acquisto dei beni fittiziamente intestati a terzi, posto che il delitto in questione deve ritenersi integrato anche in presenza di condotte aventi a oggetto beni non provenienti da delitto, in accordo con la ratio dell’incriminazione che persegue unicamente l’obiettivo di evitare manovre dei soggetti potenzialmente assoggettabili a misure di prevenzione, dirette a non far figurare la loro disponibilità di beni o altre utilità, a prescindere dalla provenienza di questi (così, Sez. 2 – , Sentenza n. 28300 del 16/04/2019, COGNOME).
Al netto dell’infondatezza di tali argomentazioni difensive, la ricorrente ha tuttavia fondatamente eccepito come la motivazione del provvedimento impugnato risulti carente proprio sul requisito del dolo specifico, in quanto la sua sussistenza è stata ritenuta in maniera sostanzialmente apodittica.
L’analisi dei giudici, invero, doveva soffermarsi sull’esistenza di elementi dotati di oggettiva concretezza, sintomatici della sussistenza del descritto dolo specifico all’epoca in cui veniva costituita la società RAGIONE_SOCIALE (cui risultano intestati parte dei beni di cui all’imputazione) e realizzati gli acquisti dei beni che si assumono fittiziamente intestati a COGNOME al fine di eludere la normativa delle misure di prevenzione.
Invero, a tal fine, non può considerarsi sufficiente il generico riferimento a “tutti i beni”, in presenza di atti di disposizione patrimoniale cronologicamente assai differenziati nella loro datazione e che, per tale ragione, pretendono la precisazione dell’epoca di presumibile insorgenza del dolo specifico richiesto per la configurazione del delitto in questione, al fine di verificare se e in quali casi l’intestazione a terzi sia avvenuta in ragione di esso.
Da qui l’annullamento con rinvio al tribunale per nuovo giudizio.
Le deduzioni relative alle esigenze cautelari restano assorbite.
5. Va da ultimo rilevato che, con memorie difensive sopravvenute al ricorso e con esposizione orale all’udienza di trattazione davanti a questa Corte, la difesa ha segnalato il contenuto dell’art. 105, comma 3, lett. c), decreto legislativo n. 50 del 18 aprile 2016, facendo presente che da tale norma (nella formulazione vigente all’epoca dei fatti) si evince che non si configurano come attività date in subappalto “l’affidamento di servizi per importo inferiore a 20.000,00 euro annui a imprenditori agricoli nei comuni classificati totalmente montani di cui all’elenco dei comuni italiani predisposto dall’RAGIONE_SOCIALE, ovvero ricompresi nella circolare del Ministero delle finanze n. 9 del 14 giugno 1993, pubblicata nel supplemento ordinario n. 53 alla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 141 del 18 giugno 1993, nonché nei comuni delle isole minori di cui all’allegato A annesso alla legge 28 dicembre 2001, n. 448″.
Da ciò deduce il venir meno di un elemento di accusa, là dove si contesta che il sub appalto avveniva senza autorizzazione. Autorizzazione che -si assume-, alla luce della norma indicata, non era necessaria in relazione ai fatti in contestazione.
Tale deduzione, però, non può essere presa in considerazione, perché non dedotta con il ricorso principale ed essendo perciò tardiva e perché -comunquesuppone una ricostruzione in fatto inammissibile in sede di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugNOME e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Palermo competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p..
Così deciso il 27 giugno 2024
Il Consigliere estensore
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La Presidente