Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26259 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26259 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MESSINA il 12/01/1989
avverso la sentenza del 14/02/2025 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo erronea applicazione della legge penale in relazione ai criteri di valutazione della prova previsti dall’art. 192 cod. proc. pen. e manifesta illogicità della motivazione con travisamento della prova e del fatto.
Lamenta, in particolare, che siano state disattese le censure difensive afferenti all’atipica individuazione del ricorrente attraverso l’individuazione fotografica e un malgoverno dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in punto di gravità indiziaria.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
In premessa, va peraltro rilevato, quanto alla denunzia di violazione dell’art 192 cod. proc. pen. che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, la mancata osservanza di una norma processuale ha rilevanza solo in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità.
Le Sezioni Unite hanno recentemente chiarito che in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 04 che a pag. 29 richiama Sez. 1, n. 1088 del 26/11/1998, dep. 1999, Condello, Rv. 212248; Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012, COGNOME, Rv. 254274; Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 277518; vedasi anche Sez. 6, n. 4119 del 30/05/2019, dep. 2020, RAGIONE_SOCIALE Rv. 278196; Sez. 4, n. 51525 del 4/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. 1, n. 42207 del
20/10/2016, dep. 2017, COGNOME e altro, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567; Sez. 6, n. 7336 del 8/1/2004, Meta ed altro, Rv. 229159-01; Sez. 1, n. 9392 del 21/05/1993, COGNOME, Rv. 195306).
Condivisibilmente, per Sez. U, n. 29541 del 16/7/2020, NOME Rv. 280027 (pag. 29) « la specificità del motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), dettato in tema di ricorso per cassazione al fine di definirne l’ammissibilità per ragioni connesse alla motivazione, esclude che l’ambito della predetta disposizione possa essere dilatato per effetto delle citate regole processuali concernenti la motivazione, utilizzando la “violazione di legge” di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), e ciò sia perché la deducibilità per cassazione è ammissibile solo per la violazione di norme processuali “stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza”, sia perché la puntuale indicazione di cui alla lettera e) ricollega a tale limite ogni vizio motivazionale. D’altro canto, la riconduzione dei vizi di motivazione alla categoria di cui alla lettera c) stravolgerebbe l’assetto normativo delle modalità di deduzione dei predetti vizi, che limita la deduzione ai vizi risultanti “dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” , laddove, ove se fossero deducibili quali vizi processuali ai sensi della lettera c), in relazione ad essi questa Corte di legittimità sarebbe gravata da un onere non selettivo di accesso agli atti. Queste Sezioni Unite (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092) hanno, infatti, da tempo chiarito che, nei casi in cui sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., un error in procedendo, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può procedere all’esame diretto degli atti processuali, che resta, al contrario, precluso dal riferimento al testo del provvedimento impugnato contenuto nella lett. e) del citato articolo (oltre che dal normativamente sopravvenuto riferimento ad altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame), quando risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto ai dedotti travisamenti, del fatto e della prova, è necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall’art. 606, co. 1, lettera e), cod. proc. pen., come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che la predetta novella non ha comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l’ade guatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare
il suo convincimento. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. «travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte di legittimità, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato. Permane, al contrario, la non deducibilità, nel giudizio di legittimità, del travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. ex multis Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Rv. n. 253099).
Vanno, pertanto, immediatamente dichiarate inammissibili, perché non consentite, le doglianze del ricorrente riguardanti presunti “travisamenti del fatto”.
Non va trascurato poi, quanto al dedotto travisamento della prova, che, questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr. Sez. 4, n. 19710/2009, Rv. 243636 secondo cui , sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), introdotta dalla I. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi ci! gra ame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice; conf. Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013 dep. 2014, COGNOME, Rv. 258432; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, COGNOME ed altro, Rv. 258438; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 deo. 2017, COGNOME ed altro, Rv. 269217).
Nel caso dì specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell’imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze già incensurabilmente disattese nel precedente grado e riproporre la propria diversa lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti degli elementi probatori valorizzati.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, ed in particolare che, a seguito dell’espletata istruttoria è emerso che i coniugi COGNOME–COGNOME, recatisi presso l’istituto bancario postc a poca distanza dalla propria abitazione (circa 500- 600 metri) per prelevare le proprie rispettive pensioni in contanti, al ritorno, parcheggiata la vettura nel garage di proprietà, venivano avvicinati all’interno del medesimo da un soggetto, che strappava da sotto il braccio del INDIRIZZO il borsello ove era custodito il denaro e repentinamente fuggiva via.
L’azione delittuosa – ricorda la sentenza impugnata- si sarebbe tutta esaurita nell’arco di tempo di chiusura della saracinesca del garage; quando il malfattore si avvicinava alla persona offesa il meccanismo in questione era già in funzione e l’agente riusciva a sottrarre il borsello alla vittima ed allontanarsi prima che la saracinesca si serrasse del tutto davanti a lui.
Si tratta per la Corte territoriale di un particolare di non secondario rilievo. Ciò perché, al netto delle doglianze difensive in merito al grado di certezza del riconoscimento, invero, dato l’arco di tempo estremamente ridotto nel corso del quale si è esaurita la condotta dell’autore del furto, è ragionevole che le persone offese – realisticamente rimaste sorprese ed impaurite dall’improvviso sopraggiungere di un estraneo nel proprio garage – non siano riusciti a ben fissare i tratti del volto, che non può che ritenersi abbiano intravisto solo per qualche secondo, ma che invece siano riuscite a fissare meglio l’attenzione sul vestiario del medesimo, avendone scorso anche la fuga.
Dunque, secondo la logica ricostruzione dei giudici del gravame del merito, non stupisce la circostanza che i coniugi COGNOME–COGNOME non abbiano saputo fornire una descrizione minuziosa e precisa dei tratti del viso, ivi compreso se l’autore del furto portasse o meno la barba o potesse esser meglio descritto fisio-
gnomicamente dalle due p.o., ma che il Di COGNOME ricordasse che costui fosse vestito di nero con scarpe bianche; d’altra parte la stessa difesa non mette in discussione alcuna la descrizione dell’abbigliamento dell’aggressore fornita dalle vittime.
Tale rappresentazione -viene evidenziato- corrisponde all’abbigliamento indossato dall’imputato al momento dei fatti, posto che questi, proprio il giorno in questione, entrava presso l’istituto bancario dopo le persone offese così vestito; ivi permaneva intrattenendosi per breve tempo con un altro soggetto per poi allorquando i coniugi si recavano allo sportello – andare a sedersi più vicino alla loro posizione, allontanandosi verso l’uscita quando gli stessi stavano per terminare l’operazione e non prima di essersi voltato nella loro direzione – verosimilmente per valutare il tempo di ultimazione delle operazioni che stavano ponendo in essere.
La Corte territoriale ricorda che è stato sentito in udienza il teste COGNOME COGNOME il soggetto con cui l’imputato si intratteneva all’interno dei locali della banca e che era stato suo datore di lavoro in passato per lavori occasionali; costui ha riferito di un incontro assolutamente fortuito e di una conoscenza talmente superficiale da non essere stato in grado, alla richiesta degli investigatori, di indicare neppure il nome del soggetto con cui aveva interloquito. Dunque, il COGNOME non si era certo ivi recato al fine di incontrare proprio in banca il Litrico, né è dato comprendere o è stato anche solo allegata dalla difesa la ragione per la quale si trovasse in banca al momento in cui le vittime effettuavano l’operazione di prelievo.
Se ne deduce, secondo la logica conclusione della Corte messinese, manifestamente che: 1) l’imputato non solo era presente al momento in cui le persone offese prelevavano il denaro, ma si era anche spostato in modo da trovarsi a breve distanza dallo sportello dove le stesse si trovavano a compiere tale operazione; 2) non sono emerse, né prospettate, ragioni credibili per cui, la mattina in questione, l’uomo si sia indotto a recarsi proprio presso quell’istituto bancario senza mettere in atto operazione alcuna agli sportelli ivi situati; 3) il COGNOME nelle immagini del sistema di videosorveglianza dell’istituto cli credito, in atti, presentava un abbigliamento del tutto corrispondente a quello descritto dalla persona offesa.
Non solo ma la vettura in uso all’imputato, secondo le ricerche fatte dagli investigatori, transitava in orari compatibili con la commissione del furto in una zona vicina all’abitazione dei INDIRIZZO; auto che, peraltro, appena il giorno dopo veniva restituita all’agenzia cli noleggio presso cui l’imputato la aveva presa; e dato l’arco temporale quanto mai ristretto in cui si è consumata l’azione delittuosa, non è certo qui dirimente sapere se si trattasse di un viaggio di andata o di ritorno.
Si tratta di elementi che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa anche in questa sede, nel loro complesso sono stati ritenuti integrare appieno, con una
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R.G.
conclusione che opera un corretto governo della giurisprudenza di legittimità in materia, quei requisiti di chiarezza, precisione e concordanza a fini di prova della
colpevolezza dell’imputato, per come richiesti dal secondo comma dell’art. 192
cod. proc. pen.
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissi-
bilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della
sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle am-
mende.
Così deciso il 08/07/2025