Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 32069 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 32069 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
FU COGNOME, nato in Cina (Repubblica Popolare) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/03/2024 della Corte di Appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore NOME COGNOME Lignola, COGNOME che COGNOME ha COGNOME concluso chiedendo COGNOME dichiararsi COGNOME la inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Firenze ha confermato la pronunzia del Tribunale di Pisa del 24.05.2019 che condannava COGNOME Fu alla pena ritenuta di giustizia per il reato di introduzione nello stato e commercio di prodotti con segni falsi, in relazione a 1.674 calzature con impresso il marchio contraffatto di “adidas” e “saucony”, detenute per la vendita.
Contro l’anzidetta sentenza, l’imputato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia AVV_NOTAIO, affidato a 2 motivi.
2.1 II primo motivo di ricorso lamenta violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. per manifesta illogicità e/o erroneità della sentenza impugnata in relazione alla affermazione di penale responsabilità deducendo travisamento della prova e delle risultanze processuali.
2.2 Il secondo motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., vizio di motivazione per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Il primo motivo di ricorso, che deduce la violazione dell’art.606 lett. e) cod. proc. pen. per manifesta illogicità e/o erroneità della sentenza impugnata in relazione all’affermazione di penale responsabilità per il reato contestato e travisamento dei fatti e delle risultanze processuali, è infondato.
Riguardo all’approccio nella valutazione del ricorso, il Collegio accede all’esegesi secondo cui il giudizio di legittimità è circoscritto alla verifica sul completezza e sulla correttezza della motivazione di una sentenza e non può esondare dai limiti cognitivi sanciti dagli artt. 606 e 609 cod. proc. pen., mediante una rinnovata valutazione o rivalutazione degli elementi probatori acquisiti al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260).
Le valutazioni espresse dalla sentenza impugnata, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del libero convincimento del giudice non ha subìto il condizionamento di una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un’imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767). Il controllo di legittimità concerne infatti il
rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione.
Si è condivisibilmente sostenuto che sono precluse al Giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 Ud., dep. 2021, F.; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; pronunzie che trovano precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, COGNOME, Rv. 233780; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
In questa ottica si collocano anche le pronunzie secondo le quali, pur a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME e altri, Rv. 238215).
Neanche ha rilievo, per forzare i tradizionali limiti del giudizio di legittimità, la regola dell’oltre ogni ragiontvole dubbio. Si è, infatti, sostenuto che detto principio, introdotto nell’art. 533 cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello; la Corte, infatti, è chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, COGNOME e altro, Rv. 270519; in termini Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, COGNOME, Rv. 261600; Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579).
Quanto al travisamento della prova, in particolare, giova ricordare che esso consiste nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della
valutazione di una prova, quando il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nella motivazione; si ricorda altresì che tale vizio, intanto può essere dedotto, in quanto siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate e sempre che il ricorrente non le abbia solo parzialmente considerate a sostegno delle sue ragioni, sicché, devono ritenersi inammissibili i motivi – come quello sub iudice – contenenti trascrizioni parziali di singoli brani di prove dichiarative, brani adoperati, nella loro visione atomistica scevra dal necessario inquadramento di insieme, per sostenere le proposte censure motivazionali (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, Rv. 265053; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, COGNOME e altri, Rv. 256723; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, COGNOME, Rv. 246552).
Il vizio di “travisamento della prova” (detto anche di “contraddittorietà processuale”) non ricomprende il travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. Il “travisamento della prova” vede circoscritta la cognizione della Corte di cassazione alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, fermo il divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merit dell’elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, COGNOME, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, COGNOME, Rv, 234605; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370). Segnatamente, nel caso di prova dichiarativa, il dedotto travisamento deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 dep. 2018, Grancini, Rv. 272406). Inoltre in tanto il travisamento del “significante” può integrare il vizio d motivazione, in quanto il dato travisato assuma rilievo decisivo nel compendio probatorio valorizzato nella sentenza di merito e nell’apparato argomentativo sviluppato sulla base di esso, sicché il riscontro del travisamento sia in grado di inficiare la tenuta complessiva del ragionamento sul quale si fonda la decisione, mettendo in luce una frattura nel nucleo essenziale della ratio decidendi della sentenza di merito. Infine, grava sul ricorrente l’onere di inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione degli atti processuali che intende far valere, nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
quali l’integrale esposizione e riproduzione nel ricorso, l’allegazione in copia, la precisa indicazione della collocazione dell’atto nel fascicolo del giudice, purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti.
Disattendendo i principi esposti, il ricorrente nel caso in esame propone una non consentita rivalutazione delle prove raccolte; non illustra la decisività del dedotto travisamento; non adempie all’onere c.d. di autosufficienza.
Peraltro, la valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dalla Corte di merito è immune da censure di illogicità e vizio. La pronunzia impugnata ha invero ritenuto provata la esposizione per la vendita delle scarpe con marchio contraffatto, in quanto la merce era esposta per la vendita all’interno del negozio, ritenendo priva di rilievo la circostanza che, mentre era presente nei locali la Guardia di finanza, l’imputato non ha venduto niente; la contraffazione era particolarmente ingegnosa, poiché apparentemente le calzature erano prodotti anonimi, ma era sufficiente rimuovere parti in tessuto o placche in plastica per scoprire i marchi falsificati Adidas e Saucony.
Il secondo motivo di ricorso, che deduce il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è manifestamente infondato ed attiene a valutazioni discrezionali della Corte, congruamente motivate in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod. pen. e, dunque, non sindacabili (sulle attenuanti generiche, Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269 – 01; sulla pena, Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932 01).
In particolare, la rilevante quantità di calzature contraffatte e l’assenza di elementi favorevoli, sono tutti elementi che giustificano ampiamente il trattamento sanzionatorio applicato ed il diniego del riconoscimento del chiesto beneficio.
Rileva difatti evidenziare che il giudice d’appello non è tenuto a motivare in merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche sia quando nei motivi di impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elementi già sottoposti all’attenzione del giudice di primo grado e da quest’ultimo disattesi, sia quando si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione (ex plurimis: Sez. 4, n. 15492 del 22/03/2022, COGNOME, in motivazione; Sez. 1, n. 33951 del 19/05/2021, COGNOME, Rv. 281999-02; Sez. 4, n. 5875 del 30/01/2015, COGNOME, Rv. 262249-01; Sez. 4, n. 86 del 27/09/1989, dep. 1990, COGNOME, Rv. 182959-01; circa il difetto di specificità dei motivi d’appello quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione
impugnata, si veda, per tutte, Sez. U, n. 8825, del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822-01).
Sotto tale aspetto, quindi, la censura si mostra inammissibile, per difetto di specificità, laddove, peraltro in ipotesi di c.d. «doppia conforme», neanche prospetta che i motivi d’appello non abbiano riproposto, ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, gli stessi elementi già sottoposti all’attenzione del giudice di primo grado e da quest’ultimo disattesi. Lo.stesso ricorso conferma peraltro che in sede d’appello l’imputato ha insistito per quel riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione laddove chiarisce che l’appellante ha invocato una mera «rivisitazione della risposta del primo giudice» (Sez. 4, Sentenza n. 27595 del 11/05/2022).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 20/06/2024.