Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29961 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29961 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nata in Colombia il 20/03/1980
avverso la sentenza del 08/10/2024 della Corte di appello di Perugia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria depositata dall’avv. NOME COGNOME del foro di Terni, per la parte civile NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità di ricorso;
letta la memoria depositata dall’avv. NOME COGNOME del foro di Terni, nell’interesse della ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 8 ottobre 2024 la Corte di appello di Perugia, decidendo sulla impugnazione proposta del Procuratore generale, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Terni in data 18 febbraio 2022, prescritte le condotte consumate fino a dicembre 2015, ha ritenuto, quanto alle successive, NOME responsabile del reato di cui agli artt. 61, n. 11, 81 e 624 cod. pen., condannandola alla pena di mesi 7 di reclusione ed euro 200 di multa, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, in regime di equivalenza con la contestata aggravante.
Seguiva la condanna generica al risarcimento del danno in favore della parte civile, nonché il governo delle spese secondo soccombenza.
1.1. Secondo la ricostruzione della Corte territoriale. NOME COGNOME, dipendente di un centro estetico di cui era titolare NOME COGNOME, si era ripetutament impossessata di prodotti per la cura delle unghie, per un importo complessivo di circa 10.000 euro.
La prova della condotta è stata tratta innanzitutto dalle dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME la quale non solo si è resa conto dell’ammanco, ma ha avuto modo di riconoscere i prodotti che il marito dell’imputata, NOME COGNOME aveva fotografato nella abitazione coniugale, e che solo un titolare di partita iva avrebbe potuto acquistare.
Abitazione nella quale era stata rinvenuta anche una agenda, in cui erano annotati appuntamenti con delle persone che risultavano essere già clienti del centro estetico.
Infine, i testi COGNOME, COGNOME e COGNOME hanno avuto modo di vedere, in più occasioni, la Lee che occultava i prodotti cosmetici in delle buste, così portandoli all’esterno del centro estetico.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando, in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con un unico motivo deduce violazione della legge penale sostanziale, in relazione agli artt. 61, 81 e 624 cod. pen. (p. 10 ricorso), e vizio dell motivazione, in relazione agli art. 192 e 546 cod. proc. pen.
La motivazione, lamenta la ricorrente, è contraddittoria e manifestamente illogica, oltre che frutto di travisamento per omissione di alcune prove ritenute decisive (dichiarazioni di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME; prova documentale), dalle quali è emerso non solo il condizionamento della parte civ su alcuni testimoni, ma anche la conflittualità esistente tra il teste d’accusa NOME COGNOME e l’imputata, documentata dalla pendenza di diversi procedimenti penali.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Allo scrutinio dei motivi di ricorso è utile premettere che la Corte di appello ha tratto la prova della condotta furtiva innanzitutto dalle dichiarazioni del marito dell’imputata, NOME COGNOME – ritenuto inattendibile dal Tribunale in ragione dei procedimenti penali avviati dalla imputata nei suoi riguardi – il quale ha riferit che la donna, dalla quale era ormai separato, svolgeva in nero l’attività di estetista nella loro casa coniugale (come confermato dal rinvenimento di una agenda in cui erano riportati gli appuntamenti), ricevendo i clienti del centro estetico da cui dipendeva.
Inoltre, ha aggiunto di aver visto l’imputata prelevare dei prodotti per la cura delle unghie, per portarli all’esterno del centro estetico in buste dell’immondizia, circostanza confermata anche dalle dipendenti COGNOME e COGNOME nonché /e di aver notato la presenza di tali prodotti nella propria abitazione, provvedendo a fotografarli ed a mostrarli alla persona offesa, che li riconosceva come propri.
A sua volta la persona offesa NOME COGNOME ha riferito di essersi accorta nel tempo degli ammanchi, grazie alla segnalazione del suo commercialista sull’aumento, apparentemente ingiustificato, della spesa per i prodotti di consumo; ha inoltre aggiunto che quei prodotti non avrebbero mai potuto essere acquistati dall’imputata, poiché non in possesso di partita Iva.
La Corte ha ritenuto attendibili le dichiarazioni di tali testimoni, segnalandone la convergenza e l’assenza della prova di un comune intento calunnioso.
2.1. Venendo ai motivi di doglianza, la ricorrente deduce innanzitutto vizio della motivazione, in relazione agli art. 192 e 546 cod. proc. pen.
Le Sezioni Unite, osserva il Collegio, hanno chiarito che è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice (p. 10 ricorso), per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse all motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del
16/07/2020, COGNOME Rv. 280027 – 04; Sez. 4, n. 31190 del 04/07/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 30812 del 28/05/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 277518 – 01; Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012, COGNOME, Rv. 254274 – 01; Sez. 1, n. 1088 del 26/11/1998, dep. 1999, Condello, Rv. 212248 – 01).
La mancata osservanza di una norma processuale ha rilevanza, infatti, solo in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibil diversamente da quanto accade per l’art. 192 cod. proc. pen.
2.2. Difettando di specifica allegazione, il motivo è parimenti inammissibile nella parte in cui denuncia il travisamento, anche per omissione, delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME e della prova documentale.
Il Collegio intende qui ribadire gli oneri in tali casi gravanti sul ricorren (nella specie inevasi), ovvero: a) identificare l’atto processuale omesso o travisato; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 – 01; Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274816 – 07; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, COGNOME, Rv. 249035 – 01).
In altre parole, intanto il vizio del travisamento delle prove può essere dedotto in quanto il ricorrente non le abbia solo parzialmente considerate a sostegno delle sue ragioni e non ne abbia adottato una lettura atomistica, scevra da un inquadramento di insieme (Sez. 5, n. 8043 del 04/02/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 7, ord. n. 31077 del 08/07/2024, Abbruzzese, non mass.; Sez. 5, n. 12722 del 11/01/2024, COGNOME, non mass.).
Come osservato anche dal Sostituto Procuratore generale (pp. 3 e 4 requisitoria), tale decisività non è stata esaminata dalla ricorrente, che si è limitata a censurare l’omessa valutazione di taluni elementi di prova, senza prospettarne l’idoneità a disarticolare l’impianto logico della sentenza impugnata.
Specifica deduzione che nella specie era ancor più necessaria ove si consideri che la motivazione si fonda intanto su un giudizio di piena attendibilità della COGNOME (confermato anche da elementi oggettivi, come il rinvenimento presso l’abitazione dei prodotti e dell’agenda), e sulla assenza di elementi concreti da cui ritenere una comunanza di intenti calunniosi tra i testi COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME.
La ricorrente, inoltre, non assolve all’onere di allegazione, che su di lei incombe.
Difatti, spetta al deducente il travisamento non limitarsi a evidenziare la difformità, dovendo invece, in relazione ai contenuti diversi da quelli emergenti dalle sentenze di merito, procedere alla loro allegazione.
Quanto ai modi in cui la specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento ai quali, l’art. 606, connma 1, lett. e), cod. proc. pen., configura vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta, è sufficiente l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione copia, o l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito, purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, connma 1, lett. d), e 591 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 3937 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280384 – 01; conf., per la sanzione della inammissibilità del motivo proposto, Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071 – 01; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, Rv. 265053 – 01; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, COGNOME, Rv. 260994 – 01; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale, Rv. 256723 – 01).
Né appare possibile allegare solo stralci delle deposizioni (e quindi, a fortiori, la loro sintesi, come fa il ricorrente riepilogando la vicenda processuale: pp. 3 e ss. ricorso), che evidentemente rendono non consentita la verifica di quanto denunciato: qualora, infatti, la prova omessa o tr visata abbia natura dichiarativa, il ricorrente ha l’onere di riportarne integralmente il contenuto, non limitandosi ad estrapolarne alcuni brani ovvero a sintetizzarne il contenuto, giacché così facendo viene impedito al giudice di legittimità di apprezzare connpiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni e, quindi, di valutare l’effettiva portata del vi dedotto (Sez. 5, n. 130 del 26/11/2024, dep. 2025, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 19957 del 21/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269801 – 01; Sez. 4 n. 37982 del 26/06/2008, COGNOME, Rv. 241023 – 01).
2.3. Quanto al vizio di motivazione – che la ricorrente ritiene affetta da illogicità e contraddittorietà intratestuale (pp. 10, 12 e 13) ma con argomentazioni versate in fatto – va ribadito che ‘al giudice di legittimità è preclusa la rilett degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione–Thutononna adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quel adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.
Del resto, il vizio in questione, rilevante in sede di legittimità, implica carenza di motivazione o la sua manifesta illogicità; sotto questo secondo profilo
la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocufi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. 2, n. 16354 del 19/03/2024, COGNOME, non mass.).
Nella specie, invece, il vizio è fatto discendere dalla ritenuta valorizzazione di “prove inattendibili” e dalla “assenza di un quadro indiziario convergente idoneo a ritenere provata la penale responsabilità” (p. 12 ricorso): la censura, quindi, è rivolta non nei confronti della motivazione, quanto piuttosto nei confronti della sottesa valutazione delle prove, ovvero verso un profilo riservato al giudice di merito, la cui cognizione è estranea al controllo di legittimità.
Invero, costituisce ius receptum il principio per cui il controllo di legittimità concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione e, quindi, il ricorso per cassazione che devolve il vizio di motivazione, per essere ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione e non deve riguardare la valutazione sottesa che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di cassazione (Sez. 1, n. 15943 del 16/01/2025, Senese, non mass.; Sez. 5, n. 47295 del 26/09/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 10337 del 04/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass. Sez. 5, n. 22066 del 06/07/2020, COGNOME, non mass. sul punto).
Si suole anche affermare, al riguardo, che la Corte di cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione (Sez. 5, COGNOME, cit.).
Per tale ragione il sindacato di questa Corte rimane circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare; da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato, la correttezza allo stato degli atti della qualificazione giuridica attribuita ai fatti e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. U, n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv 215828 – 01; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, Cusmano, Rv. 269885 – 01).
2.4. Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui si lamenta la violazione degli artt. 61, 81 e 624 cod. pen. (p. 10 ricorso), avuto riguardo al carattere intrinsecamente aspecifico del riferimento, in alcun modo sviluppato.
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3. Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del
7 giugno 2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima
equo quantificare in euro tremila.
3.1. Osserva al riguardo il Collegio che l’inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità
a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione (cfr. Sez. U, n.
33542 del 27/06/2001, COGNOME Rv. 219531 – 01; Sez. U, n. 23428 del
22/03/2005, COGNOME Rv. 231164 – 01; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep.
2016, COGNOME, Rv. 266818 – 01).
3.2. Alla declaratoria di inammissibilità segue, infine, la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate come da
dispositivo.
La parte civile, infatti, non si è limitata a richiedere la dichiarazio d’inammissibilità dei ricorsi, ovvero il rigetto, ma anzi ha contrastato specificamente i motivi di impugnazione, così fornendo un contributo alla dialettica processuale (Sez. U, n. 877 del 14/7/2022, dep. 2023, COGNOME, in motivazione; Sez. U, n. 34559 del 26/6/2002, COGNOME, Rv. 222264 – 01; Sez. 4, n. 43376 del 29/10/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 1856 del 16/11/2023, COGNOME non mass.).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile COGNOME NOME nel presente grado di legittimità, che si liquidano in euro tremila oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2025
Il C siglier estensore
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