Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24500 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24500 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il 22/09/1968 NOME nato a PALERMO il 13/04/1979 NOME nato a PALERMO il 16/07/1971 NOME nato a PALERMO il 30/05/1964
avverso la sentenza del 16/02/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità di tutti i ricorsi;
uditi i difensori:
avv. COGNOME NOMECOGNOME che conclude, per le parti civili, chiedendo il rigetto dei ricorsi depositando conclusioni e nota spese;
avv. NOME COGNOME che conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso;
avv. COGNOME Antonino Giuseppe COGNOME conclude riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento;
avv. COGNOME NOME che conclude riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone
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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 21 novembre 2022, il G.U.P. del Tribunale di Palermo dichiarava NOME COGNOME responsabile del reato di concorso esterno in associazione mafiosa ex artt. 110 e 416-bis, commi 1, 3, 4, 6, 61 n. 11, cod. pen. (capo 1), perché, dalle conversazioni intercettate, nonché dalle dichiarazioni ammissive rese dello stesso imputato, era emerso il contributo che questi aveva apportato all’associazione mafiosa “Cosa Nostra”, pur non facendone parte, fungendo, quale avvocato difensore di NOME COGNOME da portavoce e intermediario nei rapporti tra il predetto e i terzi, consentendo al suo assistito, da dicembre 2013 in espiazione carceraria per aver costituito e diretto un’associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, di perpetrare condotte estorsive e di gestire i propri investimenti occulti.
DEL GIUDICE veniva, altresì, dichiarato responsabile dei reati di usura aggravata in concorso, di cui ai capi 5), 6), 7), 8), 22), 23) e 25), nonché del reato di violenza privata aggravata di cui al capo 9) e del reato di accesso abusivo a un sistema informatico aggravato di cui al capo 28).
L’imputato, previo riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati, della circostanza attenuante speciale di cui al terzo comma dell’art. 416-bis.1. cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi 1) e 9), e delle circostanze attenuant generiche relativamente ai capi 5), 6), 7), 8), 22), 23), 25) e 28), ritenute prevalenti rispetto alle aggravanti contestate, veniva condannato alla pena di 5 anni e 2 mesi di reclusione.
Il G.U.P. di Palermo dichiarava NOME COGNOME responsabile dei reati di usura aggravata di cui ai capi 7), 8), 14), 22) e 25), commessi da solo o in concorso con il DEL GIUDICE, nonché dei reati di estorsione, tentata o consumata, di cui ai capi 13), 16), 17), 26) e 33) e lo condannava, previo riconoscimento del vincolo della continuazione e delle attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle aggravanti, alla pena di 5 anni e 8 mesi di reclusione e 3.800,00 euro di multa.
NOME COGNOME veniva dichiarato responsabile dei reati di usura aggravata di cui ai capi 6), 7), 8) e 12) e condannato alla pena di 3 anni e 4 mesi di reclusione e 6.400,00 euro di multa.
NOME COGNOME veniva, infine, dichiarato responsabile del reato di usura di cui al capo 18) e del reato di calunnia di cui al capo 19) e, previo riconoscimento della continuazione, ritenuta la recidiva, veniva condannato alla pena di 2 anni e 8 mesi di reclusione e 9.000,00 euro di multa.
Con sentenza del 16 febbraio 2024, in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Palermo, la Corte di appello di Palermo:
dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di cui al capo 9) in assenza di querela della persona offesa; assolveva l’imputato dal reato di cui al capo 7) perché il fatto non sussiste e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche in relazione al reato di cui al capo 1), rideterminava la pena in 4 anni, 2 mesi e 20 giorni di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado;
assolveva NOME COGNOME dal reato di cui al capo 7) perché il fatto non sussiste; dichiarava non doversi procedere relativamente al reato di cui al capo 33) in assenza di querela della persona offesa e rideterminava la pena in 5 anni e 2 mesi di reclusione e 3.400,00 euro di multa, confermando nel resto la sentenza di primo grado;
assolveva NOME COGNOME dal reato di cui al capo 7) perché il fatto non sussiste, e rideterminava la pena in 3 anni, 1 mese e 20 giorni di reclusione e 6.000,00 euro di multa, confermando nel resto la sentenza appellata;
infine, la Corte territoriale confermava integralmente l’impugnata sentenza nei confronti di NOME COGNOME
Avverso la suddetta sentenza i quattro imputati hanno proposto ricorso per cassazione, per il tramite dei rispettivi difensori.
3. Ricorso di NOME COGNOME.
È affidato a due motivi.
3.1. Con il primo motivo, si deducono la violazione dell’art. 530 cod. proc. pen. per mancata assoluzione dell’imputato, il vizio di motivazione e la violazione dell’art. “625, n. 7, codice penale”, con riferimento al concorso esterno in associazione mafiosa.
Le dichiarazioni autoaccusatorie sulle quali la Corte di merito aveva fondato la condanna, ad avviso del difensore del ricorrente, sarebbero state, al più, idonee a sostenere una responsabilità per il reato di cui all’art. 378 cod. pen.
I giudici del gravame, infatti, avrebbero omesso di considerare che l’imputato non era a conoscenza dell’appartenenza del FORMOSO a ‘Cosa Nostra’, né del fatto che, con la propria condotta, egli avrebbe contribuito al rafforzamento e al mantenimento della stessa, pur nella consapevolezza di aver travalicato i limiti dell’assistenza legale.
Inoltre, sarebbe mancata la prova della sussistenza di rapporti tra il DEL GIUDICE e ulteriori membri del sodalizio.
3.2. Con il secondo motivo, integrato dai motivi aggiunti, si contesta l’eccessività del trattamento sanzionatorio e ci si duole, in particolare, della mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 416-bis.1., comma terzo, cod. pen. nella sua interezza.
4. Ricorso di NOME COGNOME.
Si fonda su un unico motivo, con cui si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, n. 1) (più persone riunite), contestata al capo 13), osservandosi che, nella specie, la presenza di una seconda persona che affianca l’imputato si trarrebbe soltanto da una conversazione intercettata. Tuttavia, non risulterebbe dimostrato che l’ignoto avesse posto in essere una condotta minacciosa o violenta e, d’altro canto, la stessa sentenza dava atto che la frase dal medesimo pronunciata era incomprensibile.
Inoltre, contrariamente a quanto affermato in sentenza, il colloquio in cui era presente una terza persona non sarebbe avvenuto nello studio dell’avv. COGNOME, ma in una pubblica piazza di Villabate.
5. Ricorso di NOME COGNOME.
È basato su un unico motivo, con cui si eccepisce vizio di motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen.
Con riferimento al capo 6) (usura ai danni di COGNOME), lamenta che la conversazione intercettata nello studio dell’avv. COGNOME sarebbe stata interpretata erroneamente. In essa si parlava sì, di un titolo rilasciato da COGNOME, ma esso non si trovava in possesso del ricorrente e il rapporto commerciale era tra quest’ultimo e il COGNOME. Non era ravvisabile nessuna usura da parte di COGNOME; piuttosto, in forza dell’amicizia tra i due, COGNOME aveva “rapporti economici di cortesia” con il ricorrente che voleva azzerare. Infine, mancava l’acquisizione dei titoli a dimostrazione dell’insussistenza del reato.
Analogamente, con riferimento al capo 8) (usura ai danni di COGNOME), si duole il difensore del ricorrente dell’assenza di prove, atteso che COGNOME aveva agito all’oscuro di trame interne tra COGNOME e i suoi creditori.
Infine, quanto al capo 12), si lamenta il cattivo governo dei criteri d valutazione della prova, non reputandosi sufficienti le dichiarazioni di COGNOME e le conversazioni apprezzate, in assenza di prove documentali; anzi, da una intercettazione, emergerebbe l’intento fraudolento di COGNOME ai danni di COGNOME.
6. Ricorso di NOME COGNOME
È affidato a tre motivi.
6.1. Con il primo motivo, si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermata sussistenza del reato di cui all’art. 644 cod. pen.
Nella sua posizione di esattore, intervenuto successivamente al prestito e in una vicenda in cui il credito usurario non era stato mai effettivamente riscosso, COGNOME non poteva figurare quale concorrente nel delitto di usura, che si consuma nel momento della pattuizione.
La Corte di appello non avrebbe tenuto conto delle dichiarazioni rese da COGNOME, alla luce delle quali sarebbe stato dimostrato che, inizialmente, il ricorrente non era a conoscenza del prestito di RIELA, con interessi usurari e che, successivamente, non aveva agito nei confronti di COGNOME per il pagamento.
Aveva, invece, riscosso una cifra inferiore al prestito erogato e DEL GIUDICE aveva riferito di non aver pagato il resto.
6.2. Con il secondo motivo, si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, contestandosi alla Corte di merito di avere erroneamente assimilato la posizione del TROIA a quella del RIELA, senza fornire congrua motivazione circa la mancata esclusione della recidiva.
6.3. Con il terzo e ultimo motivo si eccepiscono vizio di motivazione e violazione si legge in ordine alle statuizioni civili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È fondato solo il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME mentre i ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME vanno dichiarati inammissibili per le ragioni che verranno esposte nel prosieguo.
Il ricorso di NOME COGNOME è imperniato, come detto, su un unico motivo, con cui si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, n. 1) (più persone riunite), contestata al capo 13) della rubrica (estorsione in danno di NOME COGNOME).
Le cure formulate dal ricorrente colgono nel segno.
Occorre ricordare che, nel reato di estorsione, la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e al momento di realizzazione della violenza o della minaccia (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, COGNOME e altro, Rv. 252518 – 01; Sez. 6, n. 50064 del 16/09/2015, Barba e altri, Rv. 265657 – 01).
Alle pagine 21-22 della sentenza impugnata, la Corte di merito respinge il motivo di gravame sul punto, osservando, a proposito della presenza di un terzo desumibile dalla intercettazione n. 473 prog. del 29 maggio 2018, che « non risulta comprensibile – ed infatti viene lasciato nell’inesplicato – la ragione della
lui misteriosa compagnia in occasione di un accesso serale allo studio del DEL GIUDICE per parlargli di debiti ancora insoluti e di modalità di pagamento e, ancor più, la ragione della personale partecipazione alla conversazione di un tale occultato terzo, persino con irritazione e allusione ad una ‘fine’ che avrebbe fatto l’interlocutore, rimasta incomprensibile dall’audio (“non mi fare buttare voci davanti a tutti altrimenti ti finisce…”: da prog. 473 del 29.5.2018, in sentenza a pag. 350)».
Dalla ricostruzione della Corte di merito, dunque, sembra evincersi che il terzo sconosciuto avrebbe accompagnato NOME COGNOME presso lo studio di COGNOME per supportarlo nella pressione minacciosa volta ad ottenere dal soggetto passivo il pagamento del debito; nell’occorso, il terzo avrebbe proferito la frase prima riportata, di cui la stessa Corte di appello riconosce di non aver compreso la parte finale che avrebbe dovuto disvelare l’oggetto della minaccia.
Il difensore del ricorrente ha denunciato il travisamento della prova in cui i giudici territoriali sarebbero incorsi, allegando al ricorso uno stralcio (pag. 249 della comunicazione di notizia di reato redatta dai Carabinieri di Bagheria e dalla Guardia di Finanza, avente ad oggetto proprio la conversazione ambientale n. 473 del 29 maggio 2018, dalla quale risulta che i conversanti non si trovavano affatto presso lo studio di COGNOME, ma all’esterno del veicolo monitorato, parcheggiato in INDIRIZZO Figurella del Comune di Villabate.
Si legge, precisamente: « alle ore 19:44:20 (minuto 00:44:20) il veicolo è ancora parcheggiato in INDIRIZZO del Comune di Villabate ed in lontananza si sente DEL GIUDICE NOME conversare animatamente con COGNOME NOME, quindi si trascrive quanto segue».
Neanche dalla sentenza di primo grado, per la verità, poteva inferirsi che il colloquio fra COGNOME e COGNOME fosse avvenuto presso lo studio di quest’ultimo, atteso che, a pag. 349, prima della trascrizione della conversazione, si parla semplicemente di un “incontro”, senza precisare dove stia avvedendo.
Si legge, infatti: «Effettivamente, alle ore 19:43, DEL GIUDICE incontrava COGNOME NOME ed un altro soggetto allo stato non identificato, proponendogli di consegnare quotidianamente l’importo di C 100,00, somma che però COGNOME riteneva esigua, ragione per cui il terzo minacciava il legale, proferendo la seguente frase “non mi fare buttare voci davanti a tutti altrimenti ti finisce (mc)”».
Dalla lettura dello stralcio della comunicazione di notizia di reato prima menzionata risulta con solare evidenza il travisamento del contesto di luogo in cui è stata captata la conversazione n. 473, travisamento che assume una sua valenza decisiva proprio ai fini interpretativi del dialogo.
Collocando, infatti, la frase pronunciata dal terzo non identificato nel contesto di una pubblica piazza, tenuto conto che gli operanti disponevano solo di una
traccia audio e non assistettero alla scena, i giudici di merito avrebbero dovuto domandarsi se e perché quelle parole dovessero necessariamente essere collegate al dialogo NOMECOGNOME e non, ad esempio, poter essere casualmente captate da un terzo presente nella piazza che, in quegli stessi frangenti, si stava rivolgendo ad altri, e in presenza di un nutrito numero di persone, come sembrerebbe, tra l’altro, rivelare l’uso del pronome indefinito plurale “tutti” (“non mi fare buttare voci davanti a tutti”), che di norma evoca, come prima accennato, la presenza di un numero di persone ragionevolmente superiore a due.
Va, inoltre, osservato che la stessa Corte di merito ha ammesso che, per l’incomprensibilità delle ultime parole proferite dal terzo sconosciuto, la frase captata non è stata trascritta in modo completo, il che inserisce, in un contesto di luogo già travisato, un ulteriore elemento di incertezza di cui, tuttavia, i giudici d gravame non si sono fatti carico.
In conclusione, deve ritenersi che la mancata risoluzione del dubbio interpretativo innescato dal travisamento rilevato infici irrimediabilmente l’iter argomentativo che ha portato la Corte distrettuale a considerare sussistente, con riferimento al delitto di estorsione di cui al capo 13), la circostanza aggravante di cui all’art. 628, comma terzo, n. 1), cod. pen., richiamata dall’art. 629, comma secondo, cod. pen., sicché, in accoglimento del ricorso di COGNOME, incentrato, come già accennato, solo sulla citata aggravante, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Palermo, che procederà a nuova valutazione della prova intercettativa costituita dalla conversazione n. 473 del 29 maggio 2018 depurata dal travisamento censurato.
2. Il ricorso proposto da NOME COGNOME va dichiarato inammissibile.
2.1. Occorre premettere che, in tema di ricorso per cassazione, la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen. – secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di uff in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello – trova la sua “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame (fra molte, Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 256631 – 01).
Non sono, quindi, deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in
sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura “a priori” un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316 – 01).
Per tali ragioni non può essere preso in considerazione il primo motivo di ricorso proposto da COGNOME, afferente alla contestazione del reato di cui al capo 1), in quanto non dedotto in appello.
2.2. Generico è il secondo motivo sul trattamento sanzionatorio, con il quale il ricorrente lamenta, senza argomentare, che la pena inflitta sia “eccessiva” e “sproporzionata”.
Genericità assertiva che inficia anche il motivo aggiunto, con cui ci si duole della mancata applicazione nella massima ampiezza della circostanza attenuante di cui all’art. 416-bis.1., comma terzo, cod. pen., rispetto alla quale la Corte di merito ha fornito adeguata giustificazione richiamando la valenza negativa della concorrente aggravate prevista dal comma sesto dell’art. 416-bis cod. pen., nemmeno oggetto di impugnazione (v. pagg. 16-17 della sentenza impugnata).
Il ricorso di NOME COGNOME va, perciò, dichiarato inammissibile.
3. Parimenti inammissibile è il ricorso di NOME COGNOME.
3.1. Giova, anzitutto, rammentare l’insegnamento delle Sezioni Unite, secondo cui, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione de giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01).
3.2. A tale insegnamento si è puntualmente conformata la Corte di appello nell’interpretazione delle conversazioni addotte a sostegno dell’affermazione di responsabilità del ricorrente per i reati di cui ai capi 6) (concorso con NOME COGNOME nell’usura commessa in danno di NOME COGNOME), 8) (concorso con NOME COGNOME, COGNOME NOME e NOME COGNOME nell’usura commessa in danno di NOME COGNOME) e 12) (usura commessa in danno di NOME COGNOME), atteso che il significato attribuito dalla Corte di merito ai dialoghi captati risulta essere sempr stato contenuto nei limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rezzuto, Rv. 285504 – 01).
3.3. Di contro, il difensore del ricorrente, in relazione a tutti e tre i reati, opposto una propria rilettura delle conversazioni senza minimamente confrontarsi con le argomentazioni sviluppate dalla Corte territoriale, nell’analisi dei dialoghi, a supporto della propria interpretazione.
Quanto al capo 12), ad esempio, il ricorrente non si confronta per nulla con il “monologo” della parte offesa DEL GIUDICE, riportato a pag. 25 della sentenza impugnata, in cui si sottolinea, non illogicamente, la chiarezza del discorso sull’esistenza di un prestito di 3.900,00 euro, lievitato in un anno a 9.500,00 euro.
Si legge, infatti, nella pagina citata: « chiaro è invece il discorso (g riportato dal giudice alle pagg. 335-337) sull’esistenza di un prestito di C 3.900,00 avvenuto “un anno di questi tempi”, rispetto al quale “per questa cortesia” entro il successivo mese di febbraio avrebbe dovuto pagargli “2000 in più…perché il giusto ci do…” e che invece “non ce l’ho fatta più…”, motivo per cui ebbe a fare altri assegni post datati, rispetto ai quali “non mi ha dato la liquidità…lui se li è scontati…si è preso i soldi…”, con la conseguenza che “l’operazione di NOME mi è costata 9.500 totale…”».
Così, quanto al capo 8), il ricorrente non si confronta con il chiaro significato ammissivo, correttamente attribuito dalla Corte distrettuale, delle parole, riferite dal COGNOME all’assegno di 2.900,00 euro consegnato dalla parte offesa COGNOME, “l’assegno quello che avevo io? …quello di 2900 euro” (pag. 24 della sentenza impugnata).
Parimenti, quanto al capo 6), valgono le considerazioni, del tutto plausibili, svolte in sentenza a proposito dell’incontro svoltosi presso lo studio di COGNOME il 13 luglio 2018, in cui COGNOME, con riferimento ai rimanenti assegni a firma di NOME COGNOME, comunicava ai correi che “tra lunedì e martedì” avrebbe ricevuto “da NOME 2.000 euro”, rispetto a circostanza corroborate dalle dichiarazioni rese dallo stesso COGNOME.
Anche rispetto a tali prove captative e dichiarative, il ricorrente oppone una inammissibile rilettura.
4. Inammissibile, infine, è anche il ricorso di NOME COGNOME
4.1. Va premesso che il reato di usura si configura come reato a schema duplice e, quindi, si perfeziona con la sola accettazione della promessa degli interessi o degli altri vantaggi usurari, ove alla promessa non sia seguita effettiva dazione degli stessi, ovvero, nella diversa ipotesi in cui la dazione sia stata effettuata, con l’integrale adempimento dell’obbligazione usuraria. (Sez. 2, n. 23919 del 15/07/2020, Basilicata, Rv. 279487 – 01).
In coerenza con l’enunciato principio, la Corte di appello, con riguardo al capo 18), ha correttamente ravvisato il coinvolgimento di COGNOME fin dal momento del prestito fornito dal correo COGNOME a COGNOME GIUDICE in base alle inequivocabili parole, proferite dalla persona offesa al cognato COGNOME, “Me li ha fatti fare NOME…ma c’è davanti NOME in questo discorso”, a dimostrazione del fatto, sintonico con l’ipotesi accusatoria, che COGNOME, grazie all’interessamento del proprio cugino
COGNOME ebbe a procurare a COGNOME la somma in contanti da costui richiesta, pretendendo e ottenendo quattro assegni post datati per complessivi 3.960,00 euro.
Le ulteriori conversazioni citate nel ricorso risultano, quindi, ininfluenti sul integrazione del reato de quo, proprio perché il ricorrente vi era coinvolto fin dall’inizio.
4.2. Generico è il motivo sul trattamento sanzionatorio e sulla recidiva, a fronte di una motivazione adeguata che, quanto alla pena, ha sottolineato come la sanzione base detentiva di cinque anni di reclusione risultava inferiore alla linea mediana (sei anni) e, quanto alla recidiva, che trattavasi di aggravante giustificata nei confronti di chi, ancora detenuto sino al giugno 2016 per reato di associazione mafiosa, solo due anni dopo appariva di nuovo coinvolto in attività criminose di tipo patrimoniale.
4.3. Improponibile, infine, l’ultima censura sulle statuizioni civili, avendo la Corte di merito già dichiarato inammissibile il relativo gravame, riferito all’assenza di un profitto, tenuto conto dell’esplicito riferimento giudiziale ai soli danni moral quale posta risarcitoria liquidata in sentenza a carico dell’imputato.
Dalla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME discende la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese, nonché al versamento di un’ulteriore somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in tremila euro.
NOME COGNOME va condannato, inoltre, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, che si liquidano come da dispositivo.
Vanno rigettate, infine, le richieste di condanna alla rifusione delle spese avanzate dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME avendo visto quest’ultimo accolto il proprio ricorso, e dalla parte civile Castrenze COGNOME nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME in quanto il capo 22), l’unico che vede COGNOME quale persona offesa, non ha costituito oggetto di ricorso per cassazione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente all’aggravante delle più persone riunite, contestata in relazione al delitto di cui al capo 13), con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione
della Corte di appello di Palermo.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile
RAGIONE_SOCIALE che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Rigetta la richiesta di condanna di COGNOME NOME alla rifusione delle spese della parte civile COMITATO ADDIOPIZZO.
Rigetta la richiesta di condanna alla rifusione delle spese della parte civile
NOME Castrenze.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente