Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9928 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9928 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME NOME GIUGLIANO IN CAMPANIA il DATA_NASCITA
NOME COGNOME NOME a SANTA MARIA CAPUA A VETERE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/01/2023 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso di COGNOME e per il rigetto del ricorso di COGNOME;
uditi l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME, e l’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME, che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19 gennaio 2023 la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Firenze, emessa ad esito di giudizio ordinario, aveva condanNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di cinque anni di reclusione e duemila euro di multa ciascuno per concorso nel reato di rapina pluriaggravata.
Hanno proposto ricorso i due imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, chiedendo l’annullamento della sentenza.
Con un unico motivo NOME COGNOME lamenta carenza di motivazione sulle ragioni a sostegno della valorizzazione in negativo del diritto al silenzio dell’imputato, violazione del principio del ragionevole dubbio e violazione di legge (artt. 190, 192 e 533 cod. proc. pen., 24 e 27 Cost., 6 CEDU, 14 e 17 patto internazionale sui diritti civili e politici).
Il diritto al silenzio costituisce l’espressione di plurimi principi costituziona e l’imputato non ha l’onere di provare la propria innocenza bensì il diritto di difendersi provando.
La motivazione è viziata in quanto, attraverso un ragionamento circolare, è stata affermata la responsabilità di COGNOME per il reato ascrittogli “sol perché agli atti risultano poche prove indirette e indiziarie e semplici sospetti che trovano il loro collante di riscontro solo nel mancato assolvimento da parte dell’imputato di una versione alternativa e dalla mera circostanza che è stato coinvolto in altri episodi delittuosi”.
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in quattro motivi.
4.1. Motivazione mancante o apparente in ordine all’affermazione di responsabilità.
Risulta dalle deposizioni e dalle annotazioni di servizio in atti che né il maresciallo COGNOME né il brigadiere COGNOME hanno mai riconosciuto in COGNOME COGNOME dei due uomini che il giorno prima della rapina si incontrò presso un centro commerciale con NOME COGNOME, reo confesso.
Il maresciallo non ha riconosciuto COGNOME quale uno dei rapiNOMEri ma ha solo riferito che un anno prima della rapina egli era stato controllato a bordo dell’autovettura vista al centro commerciale; nell’occasione il ricorrente era in compagnia di NOME e non di NOME COGNOME.
(OR
COGNOME, poi, in sede di interrogatorio reso a distanza di due mesi dalla rapina, dopo avere riconosciuto in fotografia COGNOME e COGNOME quali i due uomini, dei quali ignorava i nomi, che il giorno prima egli aveva accompagNOME per il sopralluogo, affermò poi che non ne era “pienamente sicuro”.
È poi inutilizzabile la parte della deposizione del capitano NOME là dove riferisce di una intercettazione telefonica mai trascritta, di cui non vi è traccia agli atti. In ogni caso il controllo dell’autovettura con a bordo COGNOME e COGNOME avvenne a Firenze dopo una settimana dalla commissione del fatto.
Inoltre, NOME COGNOME, altro reo confesso, a poco più di due mesi dalla rapina, disse che i due napoletani saliti a Firenze si chiamavano NOME e NOME, ma poi riconobbe in fotografia il solo COGNOME, pur avendo avuto modo di osservare l’uomo che all’esterno della banca fungeva da “palo” (secondo l’ipotesi accusatoria si trattava di COGNOME).
Pertanto, il complesso degli indizi posti dalla Corte a fondamento del giudizio di responsabilità non rispetta i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, violando di conseguenza il criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio. Gli unici dati incontrovertibili (COGNOME fu controllato un anno prima a Villa Literno con il padre di NOME COGNOME e con quest’ultimo, a Firenze, una settimana dopo la rapina) non legittimano il risultato al quale è pervenuta la Corte di appello.
4.2. Manifesta illogicità della motivazione.
In proposito si richiamano le censure proposte con il primo motivo, indicative di evidenti travisamenti della prova e di uno stravolgimento, non già di una interpretazione alternativa, del dato probatorio.
4.3. Erronea applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante delle più persone riunite, nonostante sia pacifico che all’interno della banca entrò una sola persona.
Al più COGNOME avrebbe offerto un contributo di tipo logistico, rimanendo all’esterno, a distanza di alcune decine di metri.
Ritenendo sussistente la circostanza, la Corte di appello ha fatto una non consentita interpretazione analogica dell’art. 628, terzo comma, n. 1, cod. pen., in contrasto con i principi affermati dalla sentenza Alberti delle Sezioni Unite e da altre recenti sentenze conformi, che ai fini dell’applicazione dell’aggravante richiedono la simultanea presenza di più persone all’atto della commissione della rapina.
4.4. Erronea applicazione della legge penale in relazione al diniego delle attenuanti generiche, fondato sul rilievo della obiettiva gravità del fatto, condizioNOME dall’erroneo riconoscimento della suddetta circostanza e per il comportamento processuale dell’imputato, espressione del suo diritto di difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile perché proposto con un motivo generico e manifestamente infondato.
Premesso che non è consentito «il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduca la violazione di norme della Costituzione o della Convenzione EDU, poiché la loro inosservanza non è prevista tra i casi di ricorso dall’art. 606 cod. proc. pen. e può soltanto costituire fondamento di una questione di legittimità costituzionale» (così, di recente Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, COGNOME, Rv 280027, non mass. sul punto; in senso conforme, v. Sez. 2, n. 12623 del 13/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279059; Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261551), la difesa ha richiamato la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale “l’uso probatorio indiretto del silenzio è ammissibile solo ed esclusivamente nel caso in cui il quadro probatorio sia solidamente orientato nel senso della colpevolezza”.
In linea con questo principio, la Corte di cassazione ha in più occasioni affermato che nell’ordinamento processuale penale non è previsto un onere probatorio a carico dell’imputato ma è pur sempre prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale egli è tenuto a fornire le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore (Sez. 6, n. 50542 del 12/11/2019, COGNOME, Rv. 277682; Sez. 6, n. 28008 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 276381; Sez. 4, n. 12099 del 12/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275284; Sez. 5, n. 32937 del 19/05/2014, COGNOME, Rv. 261657; Sez. 2, n. 20171 del 07/02/2013, Weng, Rv. 255916).
In particolare, «ove l’imputato deduca eccezioni o argomenti difensivi, spetta a lui provare o allegare, sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, le suddette eccezioni perché è l’imputato che, in considerazione del principio della c.d. “vicinanza della prova”, può acquisire o quantomeno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva» (così Sez. 2, n. 7484 del 21/01/2014, Baroni, Rv. 259245; in senso conforme v., di recente, Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 278373).
I giudici di merito, con una “doppia conforme”, si sono attenuti a questi princìpi, affermando la responsabilità di COGNOME, quale esecutore materiale della rapina, sulla base di una serie di prove non solo indirette, di tipo indiziario, ma anche dirette e dichiarative, del tutto obliterate dalla difesa, che nella
ricostruzione della due sentenze hanno consentito di dimostrare alcune circostanze decisive.
Infatti, NOME COGNOME, condanNOME per questo delitto, ha riconosciuto in fotografia i due imputati, arrivati da Napoli il giorno prima della rapina per effettuare un sopralluogo presso la banca; egli li attese presso un centro commerciale e all’incontro assistette il brigadiere COGNOME, che poi li vide allontanarsi unitamente ad altra autovettura condotta da NOME COGNOME.
Il minimo margine di dubbio sul riconoscimento palesato da COGNOME (del quale si dirà trattando del ricorso di COGNOME) è eliso dalla circostanza che i due arrivarono all’appuntamento a bordo di un’autovettura intestata a NOME COGNOME, padre di NOME, sulla quale poi salì NOME per accompagnarli presso la banca dove il giorno seguente fu commessa la rapina.
Inoltre, NOME COGNOME, condanNOME anch’egli per questo fatto, ha indicato in due uomini presentatisi con i nomi di NOME e NOME i due napoletani saliti a Firenze per compiere la rapina e ha riconosciuto fotograficamente in NOME COGNOME il soggetto che era entrato nell’istituto di credito.
Il brigadiere COGNOME, infine, riconobbe lo stesso COGNOME quale l’autore materiale visionando i filmati della rapina.
Si tratta di prove con le quali la difesa non si è in alcun modo confrontata, che hanno avuto rilevanza decisiva nell’accertamento della responsabilità del ricorrente, avendo poi la sentenza impugnata richiamato altre risultanze come meri dati di contorno (il rinvenimento sulla stessa autovettura con a bordo COGNOME e COGNOME, a distanza di una settimana, di cappellini quali quello indossato dal rapiNOMEre nonché altri riconoscimenti fotografici del ricorrente effettuati da dipendenti e clienti della banca ma non in termini di certezza).
A proposito delle individuazioni fotografiche effettuate dai complici COGNOME e COGNOME (da parte di quest’ultimo a seguito di contestazioni), va ricordato che il riconoscimento fotografico compiuto nel corso delle indagini preliminari è utilizzabile e idoneo a fondare l’affermazione di penale responsabilità, pure se non seguito da una formale ricognizione dibattimentale, e ciò anche nel caso in cui il testimone confermi di avere effettuato tale riconoscimento con esito positivo in precedenza, ma di non poterlo reiterare a causa del decorso di un apprezzabile lasso di tempo; ciò in quanto l’individuazione di un soggetto, personale o fotografica, costituisce manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più AVV_NOTAIO concetto di dichiarazione, la cui forza probatoria discende dal valore della dichiarazione confermativa, alla stregua della deposizione dibattimentale (Sez. 2, n. 25122 del 07/03/2023, Zuka, Rv. 284859; Sez. 2, n. 20489 del 07/05/2019, COGNOME! Sirri, Rv. 275585; Sez. F, n. 43285 del 08/08/2019, Diana, Rv. 277471).
Va poi ricordato che l’individuazione fotografica non deve essere necessariamente preceduta dalla descrizione delle fattezze fisiche della persona indagata, trattandosi di adempimento preliminare richiesto solo per la ricognizione di persona (Sez. 2, n. 9380 del 20/02/2015, COGNOME, Rv. 263302; Sez. 1, n. 47937, del 09/11/2012, COGNOME, Rv. 253885) e che detto atto non è omologabile al predetto mezzo di prova tipico (Sez. 6, n. 17747 del 15/2/2017, COGNOME, Rv. 269876; Sez. 5, n. 9505, del 24/11/2015, COGNOME, Rv. 267562).
Quanto al riconoscimento da parte del brigadiere COGNOME, viene qui ribadito che la individuazione dell’imputato nel soggetto ripreso in un filmato registrato dalle telecamere di sicurezza presenti sul luogo di consumazione del delitto, operato dal personale di polizia giudiziaria, ha valore di indizio grave e preciso a suo carico, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito; ammessa la valenza probatoria del riconoscimento su base percettiva, va esclusa la possibilità di rivisitare in sede di legittimità una valutazione che resta confinata nel perimetro del merito (Sez. 2, n. 42041 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277013; Sez. 2, n. 45655 del 16/10/2014, COGNOME, Rv. 260791; Sez. 2, n. 15308 del 07/04/2010, COGNOME, Rv. 246925).
Il ricorso di NOME COGNOME è fondato, avuto riguardo ai primi due motivi riguardanti l’affermazione di responsabilità, risultando così assorbiti gli altri due, relativi all’applicazione della circostanza aggravante e al diniego delle attenuanti generiche.
Dagli atti allegati al ricorso risultano dimostrati i travisamenti di prova e le omissioni denunciati dal ricorrente, che in parte emergono anche dal confronto fra la prima parte espositiva della sentenza, nella quale sono riassunte le risultanze probatorie, e la seconda parte, nella quale le prove vengono valutate.
In primo luogo, dal verbale di interrogatorio di NOME COGNOME del 31 marzo 2005 risulta che lo stesso indicò COGNOME e COGNOME quali i due uomini con i quali effettuò il sopralluogo il giorno prima della rapina, precisando però: “Non sono pienamente sicuro, ma mi sembra che siano effettivamente i due che mi accompagnarono a Tavernuzze”.
La sentenza impugnata non ha dato conto di questa precisazione che, con riferimento alla posizione di COGNOME, non può dirsi irrilevante.
La Corte di appello ha poi travisato la prova là dove (pagg. 8-9) ha evocato il riconoscimento di COGNOME da parte del maresciallo COGNOME, che non risulta dalla deposizione resa in dibattimento, nella quale egli, invece, ha dichiarato come ricordato anche nella sentenza impugnata – che un anno prima della
rapina, a Villa Literno, COGNOME era stato controllato a bordo dell’autovettura vista al centro commerciale il giorno del sopralluogo, in compagnia di NOME COGNOME, proprietario del veicolo e padre di NOME.
La sentenza, dunque, ha ricordato il controllo effettuato un anno prima, del quale ha riferito il maresciallo, ma ha poi concluso che questi aveva riconosciuto in COGNOME uno dei rapiNOMEri (secondo l’ipotesi accusatoria come colui che aveva coadiuvato COGNOME svolgendo il ruolo di “palo”) con un evidente salto logico o comunque senza indicare sulla base di quali altri risultati probatori.
La Corte territoriale ha pure ricordato che NOME COGNOME, presente nel bar vicino alla banca durante la rapina, ha riconosciuto NOME COGNOME quale l’autore materiale del reato ma ha omesso di confrontarsi con il dato – che la difesa aveva rimarcato nell’atto di appello – costituito dall’assenza di un riconoscimento di COGNOME come il “palo”, come il “ragazzo” che aspettava COGNOME in auto, con il quale fuggì dopo la rapina. Su questo punto risulta poi un travisamento della prova da parte del primo giudice là dove si afferma (pag. 8) che COGNOME riconobbe COGNOME alla guida dell’auto che si allontanò dopo la rapina, in contrasto con quanto risulta dalla sua deposizione del 28 marzo 2018 e comunque in assenza della precisa indicazione della fonte di questo dato probatorio.
Gli unici risultati di prova che residuano con certezza a carico di COGNOME, valutati dalla Corte di appello, sono costituiti dal suddetto controllo effettuato dalla polizia giudiziaria un anno prima della rapina a bordo dell’autovettura di NOME COGNOME, in compagnia dello stesso, nonché da un altro controllo dello stesso veicolo, sul quale, a distanza di una settimana dalla rapina, a Firenze, viaggiavano COGNOME e NOME COGNOME, esecutore materiale del delitto (è del tutto irrilevante che il controllo sarebbe stato origiNOME da una intercettazione asseritamente inutilizzabile, risultando sul punto infondata la deduzione difensiva).
Il quadro probatorio, depurato degli indicati travisamenti e omissioni, si presenta evidentemente diverso da quello valorizzato nella sentenza impugnata, che deve essere di conseguenza annullata con rinvio ad altra sezione della stessa Corte di appello.
Il giudice del rinvio, colmando lacune motivazionali e salti logici, dovrà correttamente e fedelmente ricostruire le risultanze probatorie emerse dalla istruzione dibattimentale di primo grado, prima di procedere a una rinnovata valutazione sulla sufficienza o meno delle stesse a fondare un giudizio di colpevolezza di NOME COGNOME per il reato ascrittogli.
All’inammissibilità dell’impugnazione proposta da NOME COGNOME segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 15/02/2024.