Travisamento del Fatto: Quando un Errore del Giudice Non Salva dalla Condanna
Nel processo penale, l’accuratezza nella valutazione delle prove è un pilastro fondamentale. Ma cosa accade se un giudice, nel motivare la sua decisione, riporta un fatto in modo errato? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, offre un chiarimento cruciale sul concetto di travisamento del fatto, stabilendo che un errore materiale non è sufficiente a invalidare una condanna se esistono altre prove solide e decisive. Questo principio sottolinea la necessità che l’errore sia determinante per il verdetto finale.
I Fatti del Caso
Il caso riguarda un individuo condannato in appello per il reato di tentata estorsione. La vittima, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, era stata minacciata per essere costretta a restituire non solo un prestito, ma anche interessi di natura usuraria. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su un unico, specifico motivo: un presunto travisamento del fatto commesso dalla Corte d’Appello.
L’Oggetto del Ricorso: Una Frase Mai Pronunciata
Il ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente affermato che la persona offesa avesse dichiarato di essere stata minacciata con la frase «non vorrei chiamare gente dalla Calabria». Questa specifica espressione, secondo la difesa, non era mai stata pronunciata dalla vittima e il suo inserimento nella motivazione della sentenza avrebbe avuto un doppio effetto negativo:
1. Sulla responsabilità penale: avrebbe rafforzato l’ipotesi accusatoria, collegando la condotta dell’imputato al potere intimidatorio tipico delle organizzazioni criminali.
2. Sulle circostanze attenuanti: avrebbe contribuito al diniego delle attenuanti generiche, dipingendo l’imputato come un soggetto particolarmente pericoloso.
Le Motivazioni della Suprema Corte sul Travisamento del Fatto
La Corte di Cassazione, pur riconoscendo l’effettiva sussistenza del travisamento del fatto (la frase incriminata non risultava agli atti), ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e quindi inammissibile. Il ragionamento della Corte si è sviluppato lungo due direttrici principali.
Irrilevanza ai Fini dell’Affermazione di Responsabilità
Il primo punto affrontato dai giudici è la decisività dell’errore. La Corte ha stabilito che, anche eliminando la frase contestata, la condanna per tentata estorsione rimaneva pienamente valida. Esistevano, infatti, altre espressioni minacciose, regolarmente provate, rivolte dall’imputato alla vittima, come: «altrimenti quello che ti viene ti prendi» e «se entro la fine del mese non hai tutti i soldi vai incontro a cose brutte». Queste frasi, da sole, erano state considerate idonee e dirette a costringere la vittima alla restituzione del denaro, integrando così il delitto di tentata estorsione. L’errore, quindi, non era decisivo per l’accertamento della colpevolezza.
Ininfluenza ai Fini del Diniego delle Attenuanti Generiche
Anche per quanto riguarda il diniego delle circostanze attenuanti generiche, la Cassazione ha ritenuto l’errore irrilevante. La Corte d’Appello aveva motivato tale diniego non sulla base di presunti collegamenti con la criminalità organizzata, ma su un fatto molto più concreto e grave: l’imputato aveva posto in essere le minacce estorsive mentre era già sottoposto a una misura cautelare. Questo comportamento dimostrava, secondo i giudici, una spiccata pervicacia criminale e una totale noncuranza per i provvedimenti dell’autorità giudiziaria, giustificando ampiamente la mancata concessione del beneficio.
Le Conclusioni
L’ordinanza della Suprema Corte riafferma un principio fondamentale in materia di vizi della motivazione: non ogni errore o imprecisione in una sentenza ne determina automaticamente la nullità. Affinché un travisamento del fatto possa portare all’annullamento di una condanna, è necessario che esso sia decisivo, ovvero che, senza quell’errore, la decisione del giudice sarebbe stata diversa. Nel caso di specie, la presenza di altre prove schiaccianti e una motivazione autonoma e solida per il diniego delle attenuanti hanno reso l’errore del giudice d’appello del tutto ininfluente ai fini della decisione finale, che è stata pertanto confermata.
Un errore del giudice nel riportare una testimonianza annulla sempre la condanna?
No. Secondo la sentenza in esame, un errore materiale o un travisamento del fatto non invalida la condanna se non è considerato ‘decisivo’. Se altre prove, non toccate dall’errore, sono di per sé sufficienti a fondare l’affermazione di responsabilità, la condanna rimane valida.
Cosa si intende per ‘travisamento del fatto’ in un processo?
Si ha un travisamento del fatto quando il giudice, nella motivazione della sentenza, riporta un’informazione probatoria in modo palesemente difforme dal suo contenuto reale (ad esempio, attribuendo a un testimone una frase che non ha mai pronunciato), e fonda su tale errata percezione la sua decisione.
Perché sono state negate le attenuanti generiche all’imputato in questo caso?
Le attenuanti generiche sono state negate non per la gravità delle minacce in sé o per presunti legami con la criminalità organizzata, ma perché l’imputato ha commesso il reato mentre era già sottoposto a una misura cautelare. Questo comportamento è stato interpretato come indice di una particolare ‘pervicacia criminale’ e di scarsa considerazione per le prescrizioni della giustizia.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 133 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 133 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato a Riesi il 26/07/1944
avverso la sentenza del 21/03/2023 della Corte d’appello di Torino
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
rilevato che l’unico motivo di ricorso lamenta il «travisamento del fatto» e la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla conferma dell’affermazione di responsabilità per il reato di tentata estorsione e al diniego delle circostanze attenuanti generiche per avere la Corte d’appello di Torino affermato che la persona offesa NOME COGNOME aveva dichiarato che il COGNOME lo aveva minacciato dicendogli «non vorrei chiamare gente dalla Calabria», laddove il COGNOME non aveva mai dichiarato ciò. Il ricorrente sostiene che tale travisamento avrebbe inciso sia sull’affermazione di responsabilità – atteso che la Corte d’appello di L’Aquila aveva ritenuto la minacc:iosità della condotta dell’imputato proprio in quanto egli si sarebbe fatto forza del potere di intimidazione esercitato dalla ‘ndrangheta – sia sul diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche;
ritenuto che tale motivo è manifestamente infondato in quanto tale travisamento, ancorché sussistente, si deve tuttavia reputare: a) non decisivo ai
fini dell’affermazione di responsabilità, attesa l’esistenza di altre frasi min che furono rivolte dall’imputato alla persona offesa («altrimenti quello che ti v ti prendi»; «ancora non hai capito a cosa stai andando incontro; se entro la del mese non hai tutti i soldi vai incontro a cose brutte»), idonee e dirette in non equivoco a costringere il Mattina alla restituzione non solo del capi prestatogli ma anche degli interessi usurari e, quindi, a integrare l’attribuito di tentata estorsione; b) ininfluente ai fini del diniego della concessione circostanze attenuanti generiche, atteso che tale diniego è stato motivato d d’appello di L’Aquila in ragione non del fatto che l’imputato si era fatto forz potere intimidatorio della ‘ndrangheta ma del fatto che egli non solo non si pot ritenere avere fornito «collaborazione nel corso del processo» ma, soprattutt aveva posto in essere le minacce estorsive mentre era sottoposto a misur cautelare, il che si doveva considerare dimostrativo della sua pervicacia NOME e della sua scarsa considerazione della misura applicatagli;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso, in data 21 novembre 2023.