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Trattamento sanzionatorio: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro la condanna per tentato furto aggravato. L’imputato lamentava un errato trattamento sanzionatorio, ma la Corte ha ritenuto il motivo generico e assertivo, sottolineando come la pena inflitta fosse già molto mite, considerate le aggravanti e i numerosi precedenti penali del soggetto.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trattamento Sanzionatorio: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

La determinazione della pena, nota come trattamento sanzionatorio, è uno dei momenti più delicati del processo penale. Tuttavia, non ogni doglianza sulla quantificazione della pena può trovare accoglimento in Cassazione. Una recente ordinanza della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio dei requisiti di specificità necessari affinché un ricorso su questo punto possa superare il vaglio di ammissibilità, evidenziando come la genericità delle censure conduca inevitabilmente a una pronuncia sfavorevole.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una condanna per tentato furto aggravato. L’imputato, dopo la conferma della sentenza di primo grado da parte della Corte d’Appello, decideva di presentare ricorso per cassazione. L’unico motivo di ricorso era focalizzato esclusivamente sul trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo dalla difesa. In particolare, si contestava la motivazione addotta dai giudici di merito per giustificare la pena di otto mesi di reclusione e 700 euro di multa.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Secondo gli Ermellini, il motivo presentato era manifestamente infondato, del tutto assertivo e privo della specificità richiesta. Invece di confrontarsi criticamente con le argomentazioni della sentenza d’appello, la difesa si era limitata a riproporre le stesse censure già esaminate e respinte nei gradi di merito, senza aggiungere elementi di critica pertinenti al percorso logico-giuridico seguito dalla Corte territoriale.

Le Motivazioni: Specificità del Ricorso e Congruità del Trattamento Sanzionatorio

La Corte ha smontato punto per punto la tesi difensiva, fornendo una lezione sui limiti del sindacato di legittimità in materia di quantificazione della pena.

In primo luogo, i giudici hanno sottolineato come la pena inflitta fosse non solo adeguata, ma addirittura “particolarmente mite” e “erroneamente ridotta per eccesso”. Questa valutazione si basava su diversi elementi oggettivi:

1. Numerosi precedenti specifici: L’imputato era gravato da un curriculum criminale significativo, che da solo avrebbe giustificato una pena ben più severa.
2. Condotta aggressiva: Subito dopo il fatto, l’imputato aveva tenuto un comportamento aggressivo, tanto da richiedere l’intervento delle forze dell’ordine per essere contenuto.
3. Pena base quasi al minimo: Il giudice di primo grado aveva fissato una pena base di poco superiore al minimo edittale, aumentandola di un solo mese per la continuazione, un aumento inferiore persino al minimo di un terzo previsto dalla legge. Questo errore, non essendo stato impugnato dal Pubblico Ministero, non poteva essere corretto in Cassazione a sfavore dell’imputato, per il divieto di reformatio in peius.

La Corte ha inoltre ribadito un principio consolidato: l’obbligo di una motivazione dettagliata sulla pena scatta solo quando questa si attesta su valori prossimi al massimo edittale o comunque superiori alla media. Quando, come nel caso di specie, la pena è vicina al minimo, il giudice può motivare la sua scelta anche implicitamente, facendo riferimento ai criteri dell’art. 133 c.p., senza necessità di un’analisi analitica per ogni singolo parametro.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa

Questa ordinanza conferma che per contestare efficacemente il trattamento sanzionatorio in Cassazione non è sufficiente lamentare genericamente l’eccessività della pena. È indispensabile che il ricorso individui uno specifico vizio logico nella motivazione del giudice di merito, dimostrando come quest’ultimo si sia discostato in modo irragionevole o immotivato dai criteri legali. Reiterare argomenti già respinti o avanzare critiche assertive senza un confronto puntuale con la sentenza impugnata si traduce, come in questo caso, in una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Quando un motivo di ricorso sul trattamento sanzionatorio rischia di essere dichiarato inammissibile?
Un motivo di ricorso sul trattamento sanzionatorio è inammissibile quando è generico, assertivo e non si confronta criticamente con le argomentazioni della sentenza impugnata, limitandosi a reiterare censure già esaminate e respinte nei precedenti gradi di giudizio.

Il giudice deve sempre motivare in modo dettagliato la pena inflitta?
No. Secondo la giurisprudenza costante, una motivazione specifica e dettagliata è richiesta solo quando la pena si discosta significativamente dal minimo edittale, avvicinandosi al massimo o superando la media. Per pene vicine al minimo, la motivazione può essere più sintetica e anche implicita.

Cosa significa che una pena è “erroneamente ridotta per eccesso” e cosa comporta il divieto di reformatio in peius?
Significa che il giudice, nel calcolare la pena finale (ad esempio, gli aumenti per le aggravanti o la continuazione), ha applicato una riduzione o un aumento più favorevole all’imputato di quanto la legge consentirebbe. Se solo l’imputato impugna la sentenza, questo errore non può essere corretto a suo svantaggio, in applicazione del principio del divieto di reformatio in peius (divieto di peggioramento della sua posizione).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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