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Trattamento sanzionatorio: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato contro la rideterminazione della pena per reati legati agli stupefacenti. La decisione si fonda sul principio che il trattamento sanzionatorio stabilito dal giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità se supportato da una motivazione logica e priva di vizi giuridici, come nel caso di specie, dove si è tenuto conto di età, condotta e modalità del fatto. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trattamento Sanzionatorio: Quando la Decisione del Giudice è Insindacabile

L’applicazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice è chiamato a bilanciare la gravità del reato con le circostanze personali dell’imputato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti entro cui è possibile contestare il trattamento sanzionatorio in sede di legittimità. L’esito del caso in esame, con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, offre importanti spunti sul valore della motivazione della sentenza.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte di Appello di Bari. Quest’ultima, a seguito di un precedente annullamento con rinvio da parte della stessa Cassazione limitatamente alla determinazione della pena, aveva inflitto all’imputato una condanna a due anni e sei mesi di reclusione e 6.000 euro di multa per reati connessi al traffico di stupefacenti di lieve entità (art. 73, comma 5, d.p.r. 309/1990).

L’imputato, attraverso un unico motivo di ricorso, lamentava un vizio di motivazione e una violazione di legge proprio in relazione all’aumento di pena applicato per la continuazione tra i reati.

L’Analisi della Corte sul trattamento sanzionatorio

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile, ribadendo un principio consolidato: le decisioni del giudice di merito riguardo al trattamento sanzionatorio non sono riesaminabili in Cassazione se sono supportate da una motivazione adeguata e priva di vizi logico-giuridici.

Nel caso specifico, la Suprema Corte ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione completa e coerente. I giudici di secondo grado avevano infatti considerato una serie di elementi per modulare la pena:

* La giovane età dell’imputato.
* La sua apprezzabile condotta durante l’esecuzione di una misura cautelare.
* Le modalità di realizzazione del fatto illecito.
* Il dato ponderale dello stupefacente, che indicava una certa gravità della condotta.

Sulla base di questi elementi, la Corte territoriale aveva individuato una pena base, l’aveva ridotta per la concessione delle attenuanti generiche e, infine, aveva applicato un aumento per la continuazione, giungendo alla pena finale. Questo percorso argomentativo è stato giudicato dalla Cassazione del tutto esente da censure.

La Decisione di Inammissibilità e le sue Conseguenze

Stante la palese infondatezza del ricorso, la Corte lo ha dichiarato inammissibile. Tale decisione comporta, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, due importanti conseguenze per il ricorrente:

1. La condanna al pagamento delle spese processuali.
2. La condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.

La Corte ha inoltre precisato che non sussistevano elementi per ritenere che il ricorrente avesse proposto il ricorso senza colpa, richiamando la sentenza n. 186/2000 della Corte Costituzionale, che lega l’imposizione di tale sanzione alla colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione centrale dell’ordinanza risiede nel riaffermare i confini del sindacato di legittimità sul trattamento sanzionatorio. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito, ma un organo di controllo sulla corretta applicazione della legge. La quantificazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale ha l’obbligo di esternare il proprio percorso logico-decisionale attraverso una motivazione congrua. Se tale motivazione esiste, è logica e non viola alcuna norma di diritto, la decisione diventa insindacabile, anche se l’imputato la percepisce come eccessivamente severa.

Conclusioni

Questa pronuncia offre una lezione pratica fondamentale: un ricorso in Cassazione non può basarsi su una generica doglianza circa l’entità della pena. Per avere una possibilità di successo, è necessario individuare e dimostrare un vizio specifico nel ragionamento del giudice, come una palese illogicità, una contraddizione o l’errata applicazione delle norme che regolano la commisurazione della pena. In assenza di tali vizi, il tentativo di ottenere uno ‘sconto’ di pena in Cassazione si rivela non solo infruttuoso, ma anche economicamente svantaggioso per il ricorrente.

È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa da un giudice?
No, non è possibile contestare la mera quantità della pena se la decisione del giudice è supportata da una motivazione logica, coerente e priva di errori di diritto. La Corte di Cassazione non riesamina il merito della decisione, ma controlla solo la correttezza del ragionamento giuridico.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria (in questo caso pari a 3.000 euro) a favore della Cassa delle ammende, a meno che non si dimostri che l’impugnazione è stata proposta senza colpa.

Quali elementi ha considerato la Corte d’Appello per determinare il trattamento sanzionatorio in questo caso?
La Corte d’Appello ha basato la sua decisione su diversi fattori: la giovane età dell’imputato, la sua condotta positiva durante l’applicazione di una misura cautelare, le specifiche modalità di commissione del reato e la quantità non trascurabile della sostanza stupefacente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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