LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Trattamento sanzionatorio: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata contro la condanna per lesioni aggravate. La Corte ha ritenuto manifestamente infondato il motivo relativo alla determinazione del trattamento sanzionatorio, confermando che la valutazione del giudice di merito, basata su gravità del fatto, precedenti penali e pervicacia, è insindacabile se logica e congrua. L’imputata è stata condannata al pagamento delle spese e di una sanzione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trattamento sanzionatorio: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

La determinazione del trattamento sanzionatorio rappresenta uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice esercita il proprio potere discrezionale per commisurare la pena al singolo caso concreto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti entro cui tale discrezionalità può essere contestata in sede di legittimità, ribadendo un principio fondamentale: non si può chiedere alla Suprema Corte una nuova valutazione dei fatti.

Il caso in esame riguarda un ricorso presentato contro una sentenza di condanna per il delitto continuato di lesioni aggravate, in cui l’unico motivo di doglianza era proprio la presunta erroneità nella determinazione della pena.

I Fatti del Caso

Un’imputata, dopo aver ricevuto una condanna per lesioni aggravate, confermata anche dalla Corte d’Appello, decideva di ricorrere in Cassazione. L’oggetto del contendere non era l’accertamento della sua responsabilità penale, ormai consolidato nei precedenti gradi di giudizio, ma esclusivamente l’entità della pena inflitta. Secondo la difesa, i giudici di merito avevano errato nella valutazione degli elementi che concorrono alla definizione del trattamento sanzionatorio, violando la legge penale e fornendo una motivazione viziata.

La Decisione della Corte di Cassazione sul trattamento sanzionatorio

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo “manifestamente infondato”. Questa decisione si basa su un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il sindacato della Corte di legittimità sulla determinazione della pena è estremamente limitato. Il giudice di merito gode di un ampio potere discrezionale nell’applicare i criteri indicati dall’articolo 133 del codice penale per stabilire la pena. Tale potere può essere censurato in Cassazione solo qualora la motivazione sia assente, palesemente illogica o contraddittoria, ma non quando l’appellante si limita a proporre una diversa e più favorevole lettura degli elementi di fatto.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha evidenziato come i giudici della Corte d’Appello avessero, in realtà, fornito una motivazione congrua e logica per la pena inflitta. Nella loro decisione, avevano tenuto conto di tutti gli elementi rilevanti ai sensi dell’art. 133 c.p., dando peso preponderante a:

1. La gravità del danno e le modalità della condotta.
2. I precedenti penali dell’imputata, anche specifici per reati della stessa natura.
3. La pervicacia dimostrata nella consumazione del reato continuato, indice di una particolare intensità del dolo.

La Cassazione ha chiarito che questo percorso argomentativo (iter) è immune da censure, poiché fondato su una corretta applicazione dei principi di legge. Pretendere che la Suprema Corte rivaluti nel merito tali elementi, prospettando una diversa ponderazione degli stessi, significa chiedere un terzo grado di giudizio sul fatto, cosa non consentita dalla legge.

Di conseguenza, la manifesta infondatezza del ricorso ha comportato non solo la sua inammissibilità, ma anche la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa nell’aver promosso un’impugnazione palesemente priva di fondamento.

Le Conclusioni

Questa pronuncia ribadisce un’importante lezione pratica: contestare il trattamento sanzionatorio davanti alla Corte di Cassazione è un’operazione complessa che richiede la dimostrazione di un vizio giuridico o logico macroscopico nella sentenza impugnata. Non è sufficiente essere in disaccordo con la valutazione del giudice di merito. L’imputato che intende contestare la pena deve individuare una specifica violazione di legge o un’aperta irragionevolezza nel percorso motivazionale, senza sperare in una semplice riconsiderazione dei fatti a proprio favore. In assenza di tali vizi, il ricorso è destinato all’inammissibilità, con le relative conseguenze economiche.

È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa dal giudice?
Sì, ma solo se si dimostra una violazione di legge o un vizio di motivazione, come un ragionamento palesemente illogico o contraddittorio. Non è sufficiente sostenere che il giudice avrebbe dovuto valutare diversamente i fatti per applicare una pena più mite.

Cosa significa che un ricorso è “manifestamente infondato” in relazione al trattamento sanzionatorio?
Significa che il motivo di ricorso contro la pena appare palesemente privo di pregio, perché il giudice di merito ha fornito una motivazione congrua e logica, basata sui criteri di legge (art. 133 c.p.), come la gravità del fatto, i precedenti e la condotta dell’imputato.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza?
La persona che ha presentato il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver attivato inutilmente il sistema giudiziario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati