Trattamento sanzionatorio: quando la motivazione della pena è sufficiente
Il ricorso alla Corte di Cassazione per contestare la misura della pena inflitta è un’evenienza comune nella prassi giudiziaria. Tuttavia, non sempre le doglianze relative al trattamento sanzionatorio trovano accoglimento. Un’ordinanza recente della Suprema Corte chiarisce i confini dell’obbligo di motivazione del giudice, specialmente quando la pena irrogata non si discosta in modo significativo dai minimi previsti dalla legge.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un individuo per il reato di furto pluriaggravato, confermata in secondo grado dalla Corte di Appello. L’imputato, non contestando la propria colpevolezza, ha deciso di proporre ricorso per cassazione, incentrando le sue censure esclusivamente sulla presunta inadeguatezza del trattamento sanzionatorio applicato.
In sostanza, il ricorrente lamentava che la Corte di Appello non avesse motivato in modo sufficientemente approfondito la scelta di infliggere una determinata pena, ritenuta eccessiva.
La Decisione della Corte sul trattamento sanzionatorio
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Secondo gli Ermellini, il motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio non meritava accoglimento.
La Corte ha quindi confermato la decisione della Corte territoriale e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver proposto un ricorso inammissibile.
Le Motivazioni della Sentenza
Il fulcro della decisione risiede nel principio, consolidato in giurisprudenza, relativo all’onere motivazionale del giudice in materia di commisurazione della pena. La Suprema Corte ha ribadito che un obbligo di motivazione ‘rafforzata’ sorge soltanto quando il giudice si discosta in modo significativo dal minimo edittale previsto per il reato.
Al contrario, quando la pena inflitta si colloca al di sotto della media edittale, come nel caso di specie in cui era stata applicata una pena di sei mesi di reclusione, è sufficiente che il giudice faccia riferimento al criterio generale dell’adeguatezza della pena. Tale richiamo, infatti, implica una valutazione complessiva di tutti gli elementi indicati dall’art. 133 del codice penale, tra cui la gravità del reato e la capacità a delinquere del colpevole.
Nel caso specifico, la Corte di Appello aveva dato conto delle connotazioni fattuali e personali della vicenda, evidenziando la ‘negativa personalità’ del ricorrente per giustificare sia la mancata esclusione della recidiva sia la determinazione finale della pena. Questa motivazione è stata ritenuta dalla Cassazione pienamente adeguata e priva di vizi logici, rendendo il ricorso del tutto infondato.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale di grande rilevanza pratica. Essa chiarisce che non è possibile pretendere dal giudice una motivazione analitica e dettagliata su ogni singolo aspetto della commisurazione della pena, a meno che non vengano applicate sanzioni di particolare severità.
Per gli operatori del diritto, ciò significa che un ricorso basato unicamente sulla presunta inadeguatezza della motivazione del trattamento sanzionatorio ha scarse probabilità di successo se la pena inflitta è contenuta entro limiti ragionevoli. La decisione del giudice di merito gode di un’ampia discrezionalità, sindacabile in sede di legittimità solo in caso di vizi logici manifesti o di violazione di legge, non per una mera divergenza di valutazione.
Quando un giudice deve fornire una motivazione “rafforzata” per la pena che infligge?
Un giudice è tenuto a fornire una motivazione più dettagliata e approfondita (rafforzata) solo quando la pena che decide di applicare si discosta in modo significativo dal minimo previsto dalla legge per quel reato.
È sufficiente un generico riferimento all’adeguatezza della pena per giustificare una condanna?
Sì, quando la pena irrogata è inferiore alla media tra il minimo e il massimo edittale, è considerato sufficiente un richiamo al criterio di adeguatezza della pena, poiché si ritiene che tale valutazione includa implicitamente tutti gli elementi previsti dall’art. 133 del codice penale.
Quali sono le conseguenze se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, il cui importo è stabilito dalla Corte.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3312 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3312 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 24/09/1985
avverso la sentenza del 13/05/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RG 34714/2024 – Consigliere COGNOME – Ud. 18 dicembre 2024
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo che ha confermato la condanna dell’imputato per il reato di furto pluriaggravato;
Considerato che l’unico motivo di ricorso – che attiene al trattamento sanzionatorio – è manifestamente infondato, giacché la Corte di appello ha dato conto delle connotazioni fattuali e personali della vicenda che sorreggono la scelta sanzionatoria. D’altronde l’obbligo di una motivazione rafforzata sussiste solo allorché la pena si discosti significativamente dal minimo edittale, mentre, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media, è sufficiente richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME e altri, Rv. 256464; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, COGNOME, Rv. 245596).
Nel caso di specie il ricorrente è stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione e la Corte territoriale ha adeguatamente motivato sulla commisurazione sanzionatoria sia quando a negato l’esclusione della recidiva – laddove ha esaltato la negativa personalità del ricorrente sia quando ha specificamente giustificato la determinazione del trattamento sanzionatorio (si veda pag. 2 della sentenza impugnata);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18 dicembre 2024
Il consigl
Il Presidente