Trattamento Sanzionatorio e Aggravanti: La Cassazione Fa Chiarezza
L’applicazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale. Il trattamento sanzionatorio deve bilanciare la gravità del fatto con i principi di rieducazione del condannato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti spunti di riflessione su come le circostanze aggravanti influenzino questo calcolo, specialmente in relazione ai limiti minimi di pena imposti dalla legge. Analizziamo insieme la decisione per capire la logica seguita dai giudici supremi.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza di condanna della Corte d’Appello per il reato di rapina, previsto dall’articolo 628 del codice penale. L’imputato, attraverso il suo difensore, sollevava un’unica questione, relativa esclusivamente al trattamento sanzionatorio ricevuto.
Inizialmente, all’imputato erano state contestate due circostanze aggravanti. Nel corso del giudizio, una di queste era venuta meno. Secondo la tesi difensiva, questa modifica avrebbe dovuto comportare una riduzione della pena. Tuttavia, sia il giudice di primo grado che la Corte d’Appello avevano mantenuto una pena che, secondo il ricorrente, non teneva adeguatamente conto della caduta dell’aggravante.
La Questione sul Trattamento Sanzionatorio e i Limiti di Legge
Il cuore della questione sottoposta alla Corte di Cassazione era il seguente: la rimozione di una circostanza aggravante obbliga sempre il giudice a ridurre la pena, anche se questa è già vicina al minimo previsto dalla legge?
La difesa sosteneva che la pena avrebbe dovuto essere ricalcolata al ribasso. La Corte, invece, doveva valutare se il calcolo effettuato dai giudici di merito fosse corretto e se rispettasse i vincoli normativi, in particolare il cosiddetto “minimo edittale”.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando le censure “manifestamente infondate”. La motivazione della Corte si basa su un ragionamento logico-giuridico molto chiaro. I giudici hanno spiegato che il calcolo della pena era stato correttamente evidenziato già in primo grado.
Il punto cruciale della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 628 del codice penale e, in particolare, dei suoi limiti di pena. La norma, nella versione applicabile all’epoca dei fatti, prevedeva un minimo edittale di reclusione di 4 anni e 6 mesi in presenza di determinate aggravanti. La Corte ha sottolineato che, anche con l’eliminazione di una delle due aggravanti contestate, la pena inflitta non avrebbe comunque potuto essere inferiore a tale soglia minima. In altre parole, il minimo edittale funge da “pavimento” invalicabile per il giudice nella determinazione della pena. Il fatto che residuasse comunque un’aggravante era sufficiente a mantenere l’applicazione di quel limite minimo. Di conseguenza, la doglianza del ricorrente era priva di fondamento giuridico, poiché la pena irrogata rispettava pienamente i limiti imposti dalla legge.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di trattamento sanzionatorio: la discrezionalità del giudice nel quantificare la pena non è illimitata, ma deve sempre muoversi all’interno della cornice edittale definita dal legislatore. La presenza di una o più aggravanti può giustificare una pena più aspra, ma è il minimo edittale a fissare il limite al di sotto del quale non è possibile scendere.
Per i cittadini, ciò significa che l’esito di un processo penale dipende non solo dalla valutazione delle prove e dalla qualificazione giuridica del fatto, ma anche dall’attenta applicazione delle norme che regolano il calcolo della pena. Per i professionisti del diritto, questa decisione conferma l’importanza di argomentare le proprie tesi tenendo sempre in considerazione i limiti minimi e massimi di pena, che costituiscono i pilastri del sistema sanzionatorio.
La rimozione di una circostanza aggravante comporta sempre una riduzione della pena al di sotto del minimo legale?
No. La Corte ha specificato che, anche se viene meno un’aggravante, la pena non può comunque scendere al di sotto del minimo edittale previsto dalla legge per quel reato, se altre circostanze lo impongono.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché la contestazione sul calcolo della pena era manifestamente infondata. Il giudice di merito aveva correttamente applicato la legge, rispettando il minimo di pena previsto anche in presenza di una sola delle aggravanti originarie.
Cosa significa ‘minimo edittale’?
Il ‘minimo edittale’ è la soglia minima di pena che la legge stabilisce per un determinato reato. Il giudice non può infliggere una condanna a una pena inferiore a tale limite, che funge da garanzia e da parametro fisso nel sistema sanzionatorio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21267 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21267 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/11/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
N. 706NUMERO_DOCUMENTO Russo
OSSERVA
Visti gli atti e la sentenza impugnata (condanna per il reato di cui all’ art. 628 cod. pen.);
Esaminati i motivi di ricorso;
Ritenuto che il ricorrente, con l’unico motivo di ricorso attinente al trattamento sanzionatorio, avanza censure manifestamente infondate dal momento che il calcolo è stato ben evidenziato dal primo giudice che ha operato la diminuzione sull’art. 628, comma terzo, in ragione delle due aggravanti contestate; il fatto che sia venuta meno una di esse non implica l’eliminazione dei limiti di cui al comma quarto della norma citata che, in ragione della previsione vigente all’epoca del commesso reato, del minimo edittale pari a anni 4 e mesi 6 di reclusione, non avrebbe potuto essere inferiore anche con l’eliminazione di una delle due aggravanti.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17/05/2024