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Trattamento sanzionatorio: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato contro la sentenza della Corte d’Appello. I giudici supremi ribadiscono che la valutazione del trattamento sanzionatorio e la concessione di attenuanti non possono essere rimesse in discussione in sede di legittimità se basate su doglianze di fatto e se la motivazione del giudice di merito è logica e adeguata, come nel caso di specie, dove la pena è stata ritenuta congrua in base alla personalità negativa e ai precedenti dell’imputato.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trattamento Sanzionatorio: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione sui limiti del giudizio di Cassazione, in particolare per quanto riguarda la determinazione del trattamento sanzionatorio. La Suprema Corte ribadisce un principio fondamentale: il suo ruolo non è quello di rivalutare i fatti, ma di garantire la corretta applicazione della legge. Analizziamo come questo principio sia stato applicato in un caso di diniego di attenuanti e di contestazione sulla congruità della pena.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dal ricorso di un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Catania. Il ricorrente lamentava due aspetti principali della decisione dei giudici di merito:

1. La mancata concessione dell’attenuante del danno di lieve entità, prevista dall’art. 62 n. 4 del codice penale.
2. Una generale mancanza e contraddittorietà della motivazione relativa al trattamento sanzionatorio applicato, ritenuto eccessivamente severo.

La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel non riconoscere la minore gravità del fatto e, di conseguenza, nell’infliggere una pena sproporzionata.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza Num. 13918 del 2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito delle richieste della difesa, ma si ferma a un livello precedente, quello della loro ammissibilità. La Corte ha ritenuto che le censure mosse dall’imputato non rientrassero tra quelle che possono essere esaminate in sede di legittimità.

Le motivazioni e la valutazione del trattamento sanzionatorio

La Suprema Corte ha spiegato in modo dettagliato le ragioni della sua decisione, analizzando separatamente i due motivi del ricorso.

Per quanto riguarda il primo punto, cioè il diniego dell’attenuante, i giudici hanno sottolineato che le argomentazioni della difesa costituivano “mere doglianze in punto di fatto”. In altre parole, il ricorrente non contestava un’errata interpretazione della legge, ma la valutazione dei fatti compiuta dalla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva logicamente motivato il suo diniego, basandosi sul valore economico dello stupefacente (pari a 72 dosi) e sul ricavato della vendita (dieci euro a dose), escludendo così che si potesse parlare di un lucro di “lieve entità”. La Cassazione, non potendo sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, ha considerato tale censura inammissibile.

Sul secondo punto, relativo alla congruità del trattamento sanzionatorio, la Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza impugnata adeguata e priva di vizi logici. La Corte di merito aveva correttamente determinato la pena tenendo conto dei criteri fissati dall’articolo 133 del codice penale. In particolare, aveva dato peso alla “negativa personalità dell’imputato”, gravato da numerosi precedenti penali, di cui due specifici per reati della stessa indole. La Cassazione ha richiamato il suo consolidato orientamento secondo cui la valutazione sulla congruità della pena è preclusa in sede di legittimità, a meno che non sia il risultato di “mero arbitrio o di ragionamento illogico”, cosa che non si verificava nel caso in esame.

Conclusioni

L’ordinanza conferma un caposaldo del nostro sistema processuale: la Corte di Cassazione è giudice della legge, non del fatto. Le valutazioni relative alla gravità di un reato, alla concessione delle attenuanti e alla commisurazione della pena spettano ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il ricorso in Cassazione può avere successo solo se si dimostra che tali giudici hanno violato una norma di legge o hanno motivato la loro decisione in modo manifestamente illogico o contraddittorio. Un ricorso che si limita a proporre una diversa lettura dei fatti o a contestare l’entità della pena, senza individuare specifici vizi di legittimità, è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Perché la Cassazione non ha riesaminato la richiesta di concessione dell’attenuante?
La richiesta è stata respinta perché si basava su una contestazione della valutazione dei fatti (il valore economico dello stupefacente), che è di competenza esclusiva dei giudici di merito. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella, logicamente motivata, della Corte d’Appello.

È possibile contestare in Cassazione una pena ritenuta troppo alta?
Sì, ma solo a condizioni molto specifiche. Non è sufficiente sostenere che la pena sia severa. È necessario dimostrare che la decisione del giudice di merito è frutto di puro arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico, e non una legittima applicazione dei criteri di legge come quelli dell’art. 133 del codice penale.

Quali elementi ha considerato la Corte per giudicare adeguata la pena inflitta?
La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali hanno ritenuto la pena congrua basandosi sui criteri dell’art. 133 c.p., in particolare tenendo conto della personalità negativa dell’imputato, come desunta dai suoi numerosi precedenti penali, tra cui due specifici per reati della stessa natura.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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