Trattamento Sanzionatorio: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
L’ordinanza in esame offre un’importante lezione sui limiti del giudizio di Cassazione, in particolare per quanto riguarda la determinazione del trattamento sanzionatorio. La Suprema Corte ribadisce un principio fondamentale: il suo ruolo non è quello di rivalutare i fatti, ma di garantire la corretta applicazione della legge. Analizziamo come questo principio sia stato applicato in un caso di diniego di attenuanti e di contestazione sulla congruità della pena.
I Fatti di Causa
Il caso nasce dal ricorso di un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Catania. Il ricorrente lamentava due aspetti principali della decisione dei giudici di merito:
1. La mancata concessione dell’attenuante del danno di lieve entità, prevista dall’art. 62 n. 4 del codice penale.
2. Una generale mancanza e contraddittorietà della motivazione relativa al trattamento sanzionatorio applicato, ritenuto eccessivamente severo.
La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel non riconoscere la minore gravità del fatto e, di conseguenza, nell’infliggere una pena sproporzionata.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza Num. 13918 del 2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito delle richieste della difesa, ma si ferma a un livello precedente, quello della loro ammissibilità. La Corte ha ritenuto che le censure mosse dall’imputato non rientrassero tra quelle che possono essere esaminate in sede di legittimità.
Le motivazioni e la valutazione del trattamento sanzionatorio
La Suprema Corte ha spiegato in modo dettagliato le ragioni della sua decisione, analizzando separatamente i due motivi del ricorso.
Per quanto riguarda il primo punto, cioè il diniego dell’attenuante, i giudici hanno sottolineato che le argomentazioni della difesa costituivano “mere doglianze in punto di fatto”. In altre parole, il ricorrente non contestava un’errata interpretazione della legge, ma la valutazione dei fatti compiuta dalla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva logicamente motivato il suo diniego, basandosi sul valore economico dello stupefacente (pari a 72 dosi) e sul ricavato della vendita (dieci euro a dose), escludendo così che si potesse parlare di un lucro di “lieve entità”. La Cassazione, non potendo sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, ha considerato tale censura inammissibile.
Sul secondo punto, relativo alla congruità del trattamento sanzionatorio, la Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza impugnata adeguata e priva di vizi logici. La Corte di merito aveva correttamente determinato la pena tenendo conto dei criteri fissati dall’articolo 133 del codice penale. In particolare, aveva dato peso alla “negativa personalità dell’imputato”, gravato da numerosi precedenti penali, di cui due specifici per reati della stessa indole. La Cassazione ha richiamato il suo consolidato orientamento secondo cui la valutazione sulla congruità della pena è preclusa in sede di legittimità, a meno che non sia il risultato di “mero arbitrio o di ragionamento illogico”, cosa che non si verificava nel caso in esame.
Conclusioni
L’ordinanza conferma un caposaldo del nostro sistema processuale: la Corte di Cassazione è giudice della legge, non del fatto. Le valutazioni relative alla gravità di un reato, alla concessione delle attenuanti e alla commisurazione della pena spettano ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il ricorso in Cassazione può avere successo solo se si dimostra che tali giudici hanno violato una norma di legge o hanno motivato la loro decisione in modo manifestamente illogico o contraddittorio. Un ricorso che si limita a proporre una diversa lettura dei fatti o a contestare l’entità della pena, senza individuare specifici vizi di legittimità, è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Perché la Cassazione non ha riesaminato la richiesta di concessione dell’attenuante?
La richiesta è stata respinta perché si basava su una contestazione della valutazione dei fatti (il valore economico dello stupefacente), che è di competenza esclusiva dei giudici di merito. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella, logicamente motivata, della Corte d’Appello.
È possibile contestare in Cassazione una pena ritenuta troppo alta?
Sì, ma solo a condizioni molto specifiche. Non è sufficiente sostenere che la pena sia severa. È necessario dimostrare che la decisione del giudice di merito è frutto di puro arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico, e non una legittima applicazione dei criteri di legge come quelli dell’art. 133 del codice penale.
Quali elementi ha considerato la Corte per giudicare adeguata la pena inflitta?
La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali hanno ritenuto la pena congrua basandosi sui criteri dell’art. 133 c.p., in particolare tenendo conto della personalità negativa dell’imputato, come desunta dai suoi numerosi precedenti penali, tra cui due specifici per reati della stessa natura.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13918 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13918 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/06/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
visto il ricorso proposto da NOME a mezzo del difensore;
Rilevato che la difesa lamenta: 1. Inosservanza dell’art. 62 n. 4 cod. pen., mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata concessione della suddetta attenuante; 2. Mancanza, contraddittorietà della motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio.
Ritenuto che i rilievi riguardanti la mancata applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché costituiti da mere doglianze in punto di fatto e riproduttivi di profili censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito (si veda, in particolare, quanto argomentato dalla Corte territoriale nel motivare il diniego laddove esclude che possa rinvenirsi un lucro di lieve entità nella contestata attività delittuosa, avuto riguardo al valor economico dello stupefacente rinvenuto nella disponibilità del reo, pari a 72 dosi medie singole ed alla somma ricavata dalla cessione di una dose pari a dieci euro).
Considerato che la sentenza è sorretta da motivazione adeguata in punto di trattamento sanzionatorio (motivo secondo del ricorso)’ avendo la Corte di merito ritenuto congrua la misura della pena come determinata in primo grado alla luce dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., tenuto conto della negati personalità dell’imputato, gravato da plurimi precedenti, di cui due specifici.
Considerato che, nel giudizio di cassazione, è inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione, come nel caso in esame, non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20 marzo 2024