Trattamento Sanzionatorio: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
L’applicazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice esercita un potere discrezionale fondamentale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti entro cui è possibile contestare il trattamento sanzionatorio in sede di legittimità, ribadendo un principio consolidato: non basta lamentare una pena eccessiva, serve dimostrare un vizio logico nella decisione del giudice. Analizziamo insieme la pronuncia per capire meglio i confini del sindacato della Suprema Corte.
I Fatti del Caso
Un soggetto condannato dalla Corte di Appello di Bologna presentava ricorso per cassazione, affidandosi a un unico motivo: l’eccessività del trattamento sanzionatorio applicato. La difesa sosteneva, in termini generici, che la pena inflitta fosse sproporzionata, senza però individuare vizi specifici nella motivazione della sentenza impugnata. La questione giungeva quindi al vaglio della Suprema Corte, chiamata a decidere sull’ammissibilità di una doglianza così formulata.
La Decisione della Corte di Cassazione
Con l’ordinanza in esame (n. 12547/2024), la settima sezione penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. La decisione si fonda sulla natura del giudizio di cassazione, che non può trasformarsi in un terzo grado di merito per rivalutare scelte discrezionali del giudice.
Le Motivazioni: la discrezionalità nel trattamento sanzionatorio
Il cuore della motivazione risiede nella riaffermazione di un principio cardine del nostro sistema processuale: la graduazione della pena è espressione della discrezionalità del giudice di merito. Questa attività, che comprende sia la determinazione della pena base sia la gestione di aumenti e diminuzioni per circostanze o reati in continuazione, non può essere oggetto di ricorso per cassazione se la decisione del giudice è sorretta da una motivazione sufficiente e non palesemente illogica o arbitraria.
La Corte specifica che l’onere motivazionale del giudice è adeguatamente assolto anche attraverso il semplice richiamo agli elementi dell’art. 133 del codice penale o con l’uso di formule sintetiche come “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”. Questo è particolarmente vero, sottolinea l’ordinanza, quando la pena inflitta si colloca in una fascia inferiore alla media edittale prevista dalla legge per quel reato. In tali casi, non è necessaria una motivazione analitica e dettagliata per giustificare la scelta compiuta, essendo sufficiente che essa non appaia come il frutto di un puro arbitrio.
Conclusioni: Limiti al Sindacato di Legittimità sulla Pena
Questa pronuncia conferma che le porte della Cassazione restano chiuse per chi intende semplicemente lamentare un trattamento sanzionatorio ritenuto troppo severo. Per ottenere un giudizio di ammissibilità, il ricorso deve evidenziare un vizio logico manifesto nel ragionamento del giudice di merito o una totale assenza di motivazione. L’impugnazione non può limitarsi a una generica contestazione della pena, ma deve argomentare in modo specifico perché la decisione sia irragionevole o contraddittoria. In assenza di tali vizi, la valutazione del giudice di merito sulla congruità della pena è e rimane insindacabile in sede di legittimità, con la conseguenza dell’inammissibilità del ricorso e delle relative condanne pecuniarie per il ricorrente.
È possibile contestare in Cassazione la misura della pena decisa dal giudice di merito?
No, in generale non è possibile. La determinazione del trattamento sanzionatorio è un esercizio di discrezionalità del giudice di merito e non può costituire oggetto di ricorso per cassazione, a meno che la motivazione sia frutto di mero arbitrio, manifestamente illogica o del tutto assente.
Quale tipo di motivazione è considerata sufficiente per giustificare la misura della pena?
Secondo la Corte, una motivazione è sufficiente anche quando il giudice si limita a richiamare gli elementi dell’art. 133 c.p. o utilizza espressioni sintetiche come “pena congrua” o “pena equa”, specialmente se la sanzione irrogata è inferiore alla media edittale.
Cosa accade se un ricorso contro la misura della pena viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12547 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12547 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TORRE ANNUNZIATA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/04/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con il quale si contesta, peraltro genericamente, l’eccessività del trattamento sanzionatorio, non è consentito in quanto, trattandosi di esercizio della discrezionalità attribuita al giudice del merito, la graduazione della pena – sia con riguardo alla individuazione della pena base che in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previste per le circostanze e per i reati in continuazione – non può costituire oggetto di ricorso per cassazione laddove la relativa determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non sia stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico;
che, nella specie, l’onere argomentativo del giudice è stato adeguatamente assolto attraverso il richiamo agli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. ritenuti decisivi o rilevanti ovvero attraverso espressioni del tipo “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, non essendo necessaria una specifica e dettagliata motivazione nel caso in cui venga irrogata una pena inferiore alla media edittale (si veda, in particolare, pag. 3);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 6 marzo 2024.