Trattamento Sanzionatorio: Quando la Motivazione è Sufficiente?
La determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice esercita la propria discrezionalità. Ma fino a che punto deve spingersi la motivazione a supporto della scelta? Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione offre chiarimenti cruciali sul trattamento sanzionatorio, confermando che formule sintetiche come “pena congrua” possono essere sufficienti, a determinate condizioni.
I Fatti del Caso: L’impugnazione della Sentenza
Il caso trae origine dal ricorso di un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. L’unico motivo di doglianza riguardava un presunto vizio di motivazione nella determinazione del trattamento sanzionatorio. In altre parole, il ricorrente lamentava che i giudici di merito non avessero spiegato in modo adeguato le ragioni che li avevano portati a stabilire quella specifica entità di pena, considerando anche l’applicazione di circostanze aggravanti, attenuanti e il loro bilanciamento.
La difesa sosteneva che la Corte d’Appello si fosse limitata a una valutazione generica, senza un’analisi approfondita degli elementi che, secondo la legge, devono guidare il giudice nella quantificazione della pena.
La Decisione della Corte di Cassazione sul trattamento sanzionatorio
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo “manifestamente infondato” e quindi inammissibile. Con questa decisione, i giudici di legittimità hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza: la graduazione della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere, se esercitato nel rispetto dei principi stabiliti dagli articoli 132 e 133 del Codice Penale, non è sindacabile in sede di legittimità se la motivazione è logicamente coerente.
Le Motivazioni della Corte
La Corte ha spiegato che, per adempiere al proprio obbligo di motivazione, il giudice non è sempre tenuto a una disamina dettagliata di ogni singolo elemento. Secondo l’orientamento consolidato, è sufficiente l’utilizzo di espressioni sintetiche come «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento». Queste formule bastano a indicare che il giudice ha considerato tutti i parametri normativi e ha ritenuto la sanzione applicata adeguata al caso concreto.
Tuttavia, la Corte ha precisato un’importante eccezione. Una motivazione specifica e dettagliata diventa necessaria solo quando la pena inflitta si discosta in modo significativo dai minimi edittali, risultando “di gran lunga superiore alla misura media”. In tali circostanze, il giudice deve fornire una spiegazione approfondita del ragionamento seguito per giustificare una sanzione particolarmente severa. Nel caso in esame, richiamando anche la sentenza impugnata, la Corte ha implicitamente ritenuto che la pena non rientrasse in questa casistica, rendendo così legittima la motivazione più sintetica.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza conferma la fiducia dell’ordinamento nella discrezionalità del giudice di merito nella fase del trattamento sanzionatorio. La decisione ha due importanti implicazioni pratiche:
1. Per la difesa: Diventa fondamentale, per contestare efficacemente la quantificazione della pena, dimostrare non una generica inadeguatezza, ma una palese illogicità della motivazione o l’applicazione di una pena eccezionalmente elevata senza un’adeguata giustificazione.
2. Per i giudici: Si ribadisce che, nella maggior parte dei casi, una motivazione sintetica ma chiara è sufficiente a legittimare la pena irrogata, purché questa si mantenga all’interno di un range di ragionevolezza rispetto ai limiti edittali previsti dalla legge.
In conclusione, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Quando è sufficiente per un giudice motivare una pena con espressioni come “pena congrua”?
Secondo la Corte, l’uso di espressioni come “pena congrua” o “pena equa” è sufficiente per motivare la decisione quando la pena inflitta non è di gran lunga superiore alla misura media prevista dalla legge per quel reato.
In quali casi il giudice è tenuto a fornire una spiegazione dettagliata per la pena inflitta?
Il giudice deve fornire una spiegazione specifica e dettagliata del suo ragionamento soltanto quando la pena che decide di applicare è notevolmente superiore alla media, discostandosi in modo significativo dai minimi edittali.
Quali sono le conseguenze di un ricorso giudicato manifestamente infondato?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile perché manifestamente infondato, come in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 915 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 915 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a PISTOIA il 19/08/1984
avverso la sentenza del 30/01/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME Marco;
considerato che l’unico motivo di ricorso, con il quale si deduce il vizio di motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio, è manifestamente infondato, in quanto la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti e al giudizio di bilanciamento, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132-133 cod. pen. e, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, è sufficiente che il giudice, per assolvere al proprio obbligo di motivazione, utilizzi espressioni del tipo: «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media (si veda, in proposito, pag. 4 della sentenza impugnata, ove si richiama anche la ritenuta recidiva);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, in data 19 novembre 2024
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