Trattamento Sanzionatorio: Quando la Pena non si Discute in Cassazione
L’ordinanza in esame offre un chiarimento fondamentale sui limiti del ricorso per Cassazione in materia di trattamento sanzionatorio. La Suprema Corte ha ribadito un principio cardine del nostro sistema processuale: la determinazione della pena è una prerogativa quasi esclusiva del giudice di merito. Analizziamo come questa regola si sia applicata a un caso di tentato furto pluriaggravato, portando alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
I Fatti di Causa
La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un individuo per il reato di tentato furto pluriaggravato, pronunciata in primo grado dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte di Appello di Torino. Ritenendo ingiusta la pena inflitta, l’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione, affidando le sue speranze a un unico motivo di impugnazione.
Il Motivo del Ricorso: Critiche al Trattamento Sanzionatorio
L’unica doglianza sollevata dal ricorrente riguardava l’erronea applicazione dell’articolo 133 del Codice Penale. Questa norma elenca i criteri (gravità del reato, capacità a delinquere del colpevole, etc.) che il giudice deve considerare per commisurare la pena in modo equo e proporzionato. In sostanza, il ricorrente non contestava la sua colpevolezza, ma sosteneva che i giudici di merito avessero sbagliato nel quantificare la sanzione, applicando in modo scorretto il loro potere discrezionale.
Il Principio della Discrezionalità del Giudice
È importante sottolineare che la legge non prevede una pena fissa per ogni reato, ma un minimo e un massimo (la cosiddetta “cornice edittale”). All’interno di questo intervallo, il giudice ha il compito di individualizzare la pena, adattandola alle specificità del caso concreto. Questa attività costituisce il cuore del trattamento sanzionatorio ed è espressione di un potere ampiamente discrezionale.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile con una motivazione netta e perentoria. Gli Ermellini hanno ricordato che il sindacato della Corte in materia di trattamento sanzionatorio è estremamente limitato. La Cassazione non è un “terzo grado di merito” e non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici che hanno analizzato direttamente le prove e i fatti.
Il controllo di legittimità sulla determinazione della pena è consentito solo in due ipotesi:
1. Arbitrarietà: Quando la decisione del giudice appare come il frutto di un puro arbitrio, totalmente slegata dai criteri di legge.
2. Motivazione Manifestamente Illogica: Quando la giustificazione fornita a supporto della pena scelta è palesemente contraddittoria, carente o illogica.
Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che la decisione della Corte d’Appello era assistita da una motivazione adeguata (come indicato a pagina 2 della sentenza d’appello) e non presentava alcun vizio di arbitrarietà. Di conseguenza, la critica del ricorrente si risolveva in una mera richiesta di rivalutazione del merito della decisione, attività preclusa in sede di legittimità.
Le Conclusioni
La decisione finale è stata la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Questo ha comportato non solo la conferma definitiva della condanna, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. L’ordinanza rappresenta un importante monito: impugnare una sentenza in Cassazione contestando unicamente il trattamento sanzionatorio è una strategia processuale ad alto rischio di insuccesso. È necessario dimostrare un vizio palese e grave nella motivazione del giudice, non semplicemente un disaccordo sulla quantità di pena ritenuta più equa.
È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa dal giudice?
No, non è possibile se la contestazione riguarda la mera scelta discrezionale del giudice. Il ricorso è ammesso solo se si dimostra che la decisione sulla pena è frutto di arbitrarietà o è supportata da una motivazione manifestamente illogica o assente.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
Comporta che la Corte di Cassazione non esamina il merito della questione. La sentenza impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Qual è il ruolo dell’art. 133 del Codice Penale secondo questa ordinanza?
L’art. 133 del Codice Penale fornisce al giudice di merito i parametri per esercitare il suo potere discrezionale nella determinazione della pena. L’ordinanza chiarisce che il modo in cui il giudice applica questi criteri non è sindacabile in Cassazione, a meno che non si traduca in una decisione arbitraria o immotivata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11116 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11116 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOMECUI CODICE_FISCALE) nato il 13/11/1992
avverso la sentenza del 15/05/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
NOME ricorre avverso la sentenza, in epigrafe indicata, della Corte di appello di Torino che ha confermato la pronuncia emessa in data 19/12/2023 dal locale Tribunale che lo ha dichiarato colpevole del reato di tentato furto pluriaggravato.
Ritenuto che l’unico motivo sollevato (Erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen.) non è consentito in sede di legittimità perché, essendo il trattamento sanzionatorio naturalmente rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, la relativa determinazione è incensurabile, qualora, come nel caso di specie, non sia frutto di arbitrio o sia assistita da motivazione manifestamente (p. 2 sent. app.);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12 dicembre 2024
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Il Consigliere estensore
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