Trattamento Sanzionatorio e Vizio di Motivazione: Quando l’Appello è Inammissibile
L’applicazione della pena, nota tecnicamente come trattamento sanzionatorio, rappresenta una delle fasi più delicate del processo penale, in cui il giudice è chiamato a bilanciare la gravità del reato con la situazione personale dell’imputato. Tuttavia, la discrezionalità del giudice non è illimitata e la sua decisione può essere oggetto di ricorso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini entro cui è possibile contestare la quantificazione della pena, soprattutto quando si adducono motivazioni legate a difficoltà economiche.
I Fatti del Caso: Omessa Dichiarazione e Appello
Il caso in esame riguarda un imprenditore condannato per il reato di omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi, previsto dall’articolo 5 del D.Lgs. 74/2000. La Corte d’Appello, pur riconoscendo le circostanze attenuanti generiche, aveva rideterminato la pena in un anno e otto mesi di reclusione.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando un ‘vizio di motivazione’ in ordine al trattamento sanzionatorio. La sua difesa sosteneva che i giudici di secondo grado non avessero adeguatamente considerato le sue precarie condizioni economiche nel decidere l’entità della pena.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione si fonda su un principio consolidato: le valutazioni del giudice di merito relative alla determinazione della pena sono insindacabili in sede di legittimità, a condizione che siano supportate da una motivazione esente da vizi logico-giuridici. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza impugnata pienamente adeguata e coerente.
Le Motivazioni: I Limiti al Sindacato sul Trattamento Sanzionatorio
La Cassazione ha spiegato che la Corte territoriale aveva già esaminato e ponderato tutti gli elementi del caso. La concessione delle attenuanti generiche, con una riduzione della pena base pari a un sesto, dimostra che la situazione dell’imputato era stata presa in considerazione.
Tuttavia, la richiesta di un’ulteriore riduzione è stata respinta sulla base di due fattori cruciali:
1. La natura del reato: Il crimine è stato considerato particolarmente grave, non solo perché reiterato, but anche per il danno significativo arrecato all’erario.
2. La condotta dell’imputato: L’assenza di qualsiasi comportamento riparatorio, anche solo simbolico, ha pesato negativamente nella valutazione complessiva.
Di conseguenza, la Corte ha confermato la pena base di due anni e sei mesi, la riduzione di sei mesi per le attenuanti, l’aumento di sei mesi per la continuazione del reato e la successiva riduzione finale per la scelta del rito processuale. La logica seguita dal giudice d’appello è stata quindi giudicata ineccepibile.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza ribadisce un punto fondamentale per chiunque affronti un processo penale: non è sufficiente lamentare una pena ritenuta ‘eccessiva’ per ottenere una riforma in Cassazione. È necessario dimostrare un vizio concreto nel ragionamento del giudice, come un’evidente illogicità o la mancata considerazione di elementi decisivi.
La decisione sottolinea che le condizioni economiche disagiate, pur potendo contribuire al riconoscimento delle attenuanti generiche, non garantiscono automaticamente uno ‘sconto’ di pena ulteriore, specialmente di fronte a reati gravi e all’assenza di gesti riparatori. Infine, la pronuncia di inammissibilità comporta per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, un deterrente contro ricorsi manifestamente infondati.
È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa da un giudice solo perché la si ritiene troppo alta?
No, la determinazione della pena (il trattamento sanzionatorio) non è contestabile in Cassazione se la motivazione del giudice è logica e priva di vizi giuridici. La Corte Suprema non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito.
Le difficoltà economiche dell’imputato possono sempre portare a una riduzione della pena?
Non automaticamente. Le difficoltà economiche possono essere considerate per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, ma il giudice deve bilanciarle con altri fattori, come la gravità del reato e la condotta post-delitto dell’imputato. In questo caso, la gravità e la mancanza di riparazione hanno prevalso.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente, quest’ultimo è condannato, come previsto dall’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 38586 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 38586 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 19/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/02/2025 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale la Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, previa concessione dell circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato la pena in anni uno e mesi otto di reclusione, per il reato di cui all’articolo 5 d.l.vo n. 74 del 2000, per non aver presentato le dichiarazio redditi al fine di evadere l’obbligazione tributaria.
Il ricorrente deduce con un unico motivo di ricorso vizio di motivazione in ordine trattamento sanzionatorio, non avendo il giudice a quo tenuto conto delle condizioni economiche disagiate.jm, k e4 A Ve l i4 1 % 1/-
Si sottolinea che le determinazioni del giudice di merito in ordine al trattamen sanzionatorio sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione esente da vizi logico-giuridici. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata è senz’altro da ritenersi adeguata, avendo la Corte territoriale già esaminato la circostanza prospettata da ricorrente, escludendo la possibilità di una ulteriore riduzione della pena, superiore a quel applicata, pari a un sesto, per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, considerazione sia della natura del reato, reiterato e particolarmente lesivo per l’erario, sia d mancanza di condotte riparatorie, anche meramente simboliche. Pertanto, confermata la pena base di anni due e mesi sei di reclusione, ha ritenuto equo apportare la riduzione di mesi sei d reclusione ai sensi dell’art. 62 bis cod. pen., ha applicato l’aumento di mesi sei di reclusione la continuazione e ridotto la pena finale per la scelta del rito.
Stante l’inammissibilità del ricorso, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisando assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. Sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 19/09/2025
Il consigliere estensore /
Il Presidente