Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26290 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26290 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CESANO MADERNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/11/2023 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Trieste, con la sentenza indicata in epigrafe, ha parzialmente riformato, escludendo la recidiva, la pronuncia con la quale il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trieste il 26/01/2023 aveva dichiarato COGNOME NOME responsabile del reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 73, comma 1 e 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 per avere in concorso con ignoti, con i mittenti colombiani e con altri, concordato con un under cover la cessione di kg. 20 di cocaina (principio attivo minimo al 60% tale da consentire almeno 240.000 assunzioni efficaci da mg. 50) quale campione di prova della qualità della cocaina, già acquistata e pagata direttamente dai fornitori colombiani, in vista dell’imminente consegna di almeno kg. 300; in esecuzione dell’accordo, il corriere COGNOME riceveva dall’under cover i kg. 20 e li portava con il veicolo Volkswagen Golf a Saronno, ove in strada, sotto casa sua, lo aspettava NOME, non impugnante. In Fossalta di Portogruaro, Trieste e Saronno il 14 febbraio 2022.
Il Tribunale, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante dell’ingente quantità e alla recidiva contestata all’udienza del 17 novembre 2022, applicata la diminuente per il rito abbreviato, lo aveva condannato alla pena di anni sei di reclusione ed euro 75.000 di multa con l’interdizione legale per la durata della pena inflitta e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
La Corte di appello, investita nell’impugnazione limitatamente al trattamento sanzionatorio, ha ritenuto insussistente la recidiva contestata, come peraltro rilevato dallo stesso giudice di primo grado nella motivazione della sentenza, in quanto il reato addebitatogli era stato dichiarato estinto per esito positivo della messa alla prova. I giudici dell’appello hanno escluso che il giudice di primo grado ne avesse tenuto conto per determinare la pena, considerato che le circostanze attenuanti generiche erano state poste in regime di equivalenza rispetto alla ben più rilevante circostanza aggravante di cui all’art.80, comma 2, T.U. Stup.; si è, comunque, ritenuto che il fatto contestato all’imputato dovesse ritenersi di notevole gravità e che la pena irrogata fosse congrua rispetto a tutti gli elementi emersi nel giudizio.
I giudici hanno escluso che la posizione del COGNOME fosse di minore importanza, considerato che l’attività del trasporto è fondamentale per la realizzazione dell’intero disegno criminoso riguardante le fasi comprese tra l’acquisto e lo smercio dello stupefacente. Pur essendo stato assolto dal reato
associativo contestato, secondo la Corte l’imputato aveva dimostrato di avere contatti con persone di altissimo spessore criminale e di ottenere da costoro incarichi fiduciari concernenti quantità così rilevanti di cocaina, tali da farl ritenere coinvolto in un traffico internazionale di stupefacente con la Colombia insieme a numerosi altri partecipi. A tanto sono giunti sulla base di messaggi telefonici dai quali si sarebbe desunto che l’episodio accertato non era occasionale ma che l’imputato avesse lavorato almeno un’altra volta con il NOME; quest’ultimo, tre giorni dopo il trasporto della cocaina, scrivendo all’agente sotto copertura, aveva fatto chiaro riferimento allo scampato pericolo del COGNOME e aveva rassicurato l’interlocutore circa l’affidabilità dello stesso dicendo «lavora da parecchio per amici», affermando che quella fosse la seconda volta che lavorava con lui. In sede di interrogatorio di garanzia l’imputato si era peraltro avvalso della facoltà di non rispondere e aveva rilasciato una dichiarazione scritta in cui cercava di limitare la sua responsabilità, senza che fosse ipotizzabile un’interruzione dei suddetti contatti criminali.
Le condizioni soggettive dell’imputato indicate dalla difesa sono state ritenute idonee a giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, senza tuttavia che potesse mutare il giudizio di bilanciamento in ragione del notevole rilievo da attribuire al quantitativo di cocaina rinvenuto.
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione censurando la sentenza, con il primo motivo, per vizio di motivazione per avere i giudici di merito escluso che la recidiva applicata in primo grado non avesse avuto un peso nel bilanciamento delle circostanze. Il ricorrente si lamenta del fatto che la Corte di appello non abbia modificato la quantificazione della pena, pur avendo accolto il motivo di appello inerente all’erronea contestazione della recidiva. Appare evidente, secondo la difesa, che il giudice di primo grado avesse tenuto conto anche della circostanza di cui all’art. 99 cod. pen.
4.1. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione per avere i giudici di merito, nella determinazione della pena, riconosciuto a carico del COGNOME un fatto al medesimo non attribuibile, ossia la futura consegna di altri 500 chili di sostanza stupefacente. Sottolinea come il COGNOME non fosse coinvolto nella consegna di altri chili di cocaina, ma tale circostanza è stata esplicitata dal giudice di primo grado come elemento essenziale nella quantificazione della pena e non è stata smentita dalla Corte di appello. Pur essendo emerso nel corso del processo che fosse solo il COGNOME a tenere i rapporti con l’agente sotto copertura in relazione alla consegna di 500 chilogrammi di cocaina e che il COGNOME non fosse stato coinvolto nell’operazione, tale travisamento della prova è decisivo nell’apparato argomentativo del provvedimento impugnato in quanto il giudice di
primo grado ha ritenuto decisivo il riferimento ai 500 chili nella determinazione del trattamento sanzionatorio, così irrogando la pena di sei anni di reclusione.
4.2. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione per avere i giudici di merito non adeguatamente personalizzato la pena in rapporto ai singoli contributi causali. Nell’atto di appello la difesa aveva sottolineato il diverso apporto riconducibile al COGNOME nel reato concorsuale. Egli non aveva in alcun modo partecipato alla fase programmatica e organizzativa del fatto, risultando un mero trasportatore, per cui lo stesso pubblico ministero aveva differenziato la sua richiesta di pena. La Corte territoriale si è focalizzata unicamente sulla frazione della condotta trascurando il quadro generale, con motivazione apparente e carente che, se portata alle estreme conseguenze, condurrebbe ad annullare la valenza significativa degli artt. 112 e 114 cod. pen. in rapporto alle capacità e al peso di ogni singolo partecipante, oltre che al suo contributo causale. La motivazione offerta dalla Corte territoriale equipara condotte aventi un peso molto diverso tra loro, cosicché l’equiparazione delle due posizioni del COGNOME e del COGNOME è illogica e fortemente ingiustificata. Il COGNOME era, infatti, soggetto coinvolto sin dall’inizio nella vicenda generale con l’RAGIONE_SOCIALE acquirente della merce nonché con l’RAGIONE_SOCIALE, occupandosi oltre che del trasporto anche del pagamento della logistica assicurata dall’under cover; inoltre, millantava piani in ordine alla futura consegna di ben 500 chili di cocaina, mentre il COGNOME era comparso esclusivamente con riguardo all’episodio del trasporto di 20 chili.
4.3. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione anche in relazione all’inosservanza di norme stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità o inammissibilità e in relazione agli artt. 27, comma 2, Cost., 132 e 133 cod. pen., 192 e 195 cod. proc. pen. per non avere il giudice adeguatamente motivato o per avere errato sui parametri e sui dati che hanno concorso a determinare la pena, utilizzando elementi probatori etico-cognitivi inutilizzabili ai fini dell valutazioni. Nella sentenza di primo grado si è descritta nei particolari l’intera vicenda, senza tuttavia successivamente esaminare ai fini della determinazione della pena la diversità delle posizioni. Si era chiesto al giudice d’appello che il trattamento sanzionatorio venisse commisurato al peso reale di ciascuna condotta ma la Corte territoriale ha ritenuto che l’imputato avesse contatti con persone di altissimo spessore criminale e ottenesse da queste incarichi fiduciari sulla base di messaggi telefonici intervenuti tra il NOME e l’agente sotto copertura. Tuttavia, valorizzando il contenuto di questa conversazione, si è dato rilievo alla cosiddetta voce corrente nel pubblico ai sensi dell’art. 194, comma 3, cod. proc. pen. o quantomeno non si è fatta applicazione dei principi riconducibili alla testimonianza indiretta a conferma di un sentito dire, non avendo il NOME
indicato i soggetti «amici», restituendo un dato incerto e relegato al mero pettegolezzo, dunque inutilizzabile. L’affermazione del COGNOME secondo la quale vi sarebbe stato un precedente incarico affidato al COGNOME è priva di supporto probatorio e avrebbe dovuto essere sottoposta alla rigorosa verifica di attendibilità ai sensi dell’art. 192 cod. pen. per le chiamate di correo. È una petizione di principio che il soggetto al quale si fa riferimento in queste conversazioni sia il COGNOME. La Corte ha, inoltre, valutato la personalità del ricorrente in assenza di elementi probatori certi e incontrovertibili sulla base della tautologia che fosse implausibile che, per un trasporto, si utilizzasse un guidatore occasionale; si tratta di una mera opinione, che potrebbe essere contraddetta dalla più agevole scelta, per operazioni di semplice manovalanza, di persone esterne, bisognose, facili da manovrare, non a conoscenza di dettagli e di nomi di referenti e contatti.
4.4. Con il quinto motivo deduce vizio di motivazione e travisamento della prova nonché inosservanza di norme processuali in relazione all’art. 129 bis cod. proc. pen. per non avere i giudici adeguatamente motivato, o per avere errato nel motivare, sui parametri e sui presupposti per l’eventuale ammissione del ricorrente ai programmi di giustizia riparativa. La difesa si duole del fatto che la Corte di appello, in risposta all’istanza di accesso ai programmi di giustizia riparativa, abbia motivato il diniego in forza della mancata ammissione della propria responsabilità da parte del COGNOME. Premesso che COGNOME ha ammesso le proprie responsabilità, in ogni caso non si tratta di un presupposto per lo svolgimento del programma in questione. La pronuncia, inoltre, si fonda sul travisamento della piena ammissione resa dal COGNOME in relazione al trasporto illecito ascrittogli. Il travisamento è determinante in quanto, ove il giudicante avesse percepito che l’imputato aveva ammesso il fatto addebitatogli, l’istanza sarebbe stata accolta.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
GLYPH Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La Corte territoriale ha specificato che nella motivazione della sentenza di primo grado si fosse già espresso l’errore nel quale era incorso il decidente nel porre in comparazione, nel dispositivo, anche la circostanza aggravante della recidiva. Si
tratta di un caso nel quale la valutazione degli elementi tratti dalla motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni della decisione, consentiva di derogare al principio interpretativo secondo il quale, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, prevale il primo (Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018, dep. 2019, B., Rv. 275690 – 01; Sez. 6, n. 24157 del 01/03/2018, COGNOME, Rv. 273269 – 01). I giudici di appello hanno, pertanto, correttamente ritenuto che il giudice di primo grado non avesse tenuto conto di tale circostanza aggravante.
Ma anche a voler accedere all’assunto difensivo, secondo il quale la recidiva avrebbe inciso sulla determinazione della pena in primo grado, il Collegio osserva che la Corte territoriale ha spiegato con ragionamento esente da vizi che il «peso» dell’altra aggravante posta in comparazione, ossia la circostanza prevista dall’art.80, comma 2, T.U. Stup., non consentisse di superare il giudizio di equivalenza in senso più favorevole all’appellante. Così operando, la Corte di appello ha legittimamente lasciato inalterata la pena inflitta in primo grado, pur avendo escluso la sussistenza di un’aggravante, rinnovando il giudizio comparativo tra circostanze aggravanti e attenuanti; nel formulare tale nuovo giudizio di comparazione, il giudice di secondo grado conserva infatti piena facoltà di conferma della precedente operazione di bilanciamento, secondo una valutazione insindacabile in cassazione, se congruamente motivata (Sez. 2, n.33480 del 07/05/2021, Ticci, Rv. 281917 – 01; Sez. 4, n. 10448 del 22/12/2009, dep.2010, COGNOME, Rv. 246529 – 01).
Il secondo, il terzo e il quarto motivo sono inammissibili in quanto aspecifici.
2.1. Il motivo di impugnazione deve essere scandito da necessaria analisi critica delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata, dovendosi altrimenti ritenere generico; ne consegue che sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l’aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive e apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento e l’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione; sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione; Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, COGNOME, Rv. 254584).
2.2. La difesa ripropone il tema dell’incidenza che avrebbe avuto l’imminente consegna di altri 500 chili di sostanza stupefacente sulla determinazione del trattamento sanzionatorio ma trascura che il giudice di appello ha concentrato il giudizio esclusivamente sul fatto addebitatogli nel presente processo, ossia il trasporto di kg.20 di cocaina, ricevuti da agente sotto copertura, a Saronno dove era atteso dal COGNOME. La Corte territoriale ha valutato che la gravità di tale fatto giustificasse la pena irrogata, peraltro in misura inferiore alla media edittale (sull’onere motivazionale del giudice in ordine alla determinazione della pena, Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, COGNOME, Rv. 276288-01; Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243). Ogni ulteriore argomentazione, riferibile alla sentenza di primo grado, mette ulteriormente in evidenza il mancato confronto con la decisione impugnata.
2.3. Con riguardo al contributo offerto dal ricorrente nel reato concorsuale, la difesa sembra ignorare che il giudizio di disvalore si è incentrato sul fatto che «l’attività del trasporto è all’evidenza fondamentale per la realizzazione dell’intero disegno criminoso riguardante le fasi comprese tra l’acquisto e lo smercio dello stupefacente», oltre che sul dato, valutato con giudizio insindacabile in quanto esente da vizi, che il COGNOME abbia partecipato con la sua condotta a un traffico internazionale di stupefacente con la Colombia. A fronte di tale ragionamento, la difesa invoca genericamente la disciplina dettata dagli artt.112 e 114 cod. pen. senza, tuttavia, esplicitare sulla base di quali argomenti le regole che diversificano l’apporto dei concorrenti, legate a ben precisi presupposti applicativi, avrebbero potuto trovare spazio nel caso in esame.
2.4. L’argomento tendente a escludere l’efficacia probatoria dei messaggi inviati dal COGNOME all’agente sotto copertura in data 17 febbraio 2022 si risolve, in parte, in una lettura alternativa di tale elemento istruttorio, laddove si pretende che la Corte di legittimità riesamini se il COGNOME si riferisse al COGNOME. Le ragioni espresse dalla Corte per evidenziare che il COGNOME non fosse alla sua prima esperienza nel campo non risultano arbitrarie né manifestamente illogiche. Per altro verso, la difesa invoca l’applicazione di disposizioni inconferenti perché inerenti a fonti di prova (testimonianza e chiamata in correità) diverse dall’intercettazione di conversazioni e messaggistica.
2.5. Giova, inoltre, ricordare che non può essere considerato come indice del vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo procedimento ai coimputati, anche se correi, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento del caso, che si prospetta come identico, sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali; a fortiori, non integra vizio di motivazione l’identico trattamento sanzionatorio irrogato al coimputato nel medesimo reato la cui condotta il ricorrente ritenga di maggiore gravità (Sez. 3,
n.9450 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 282839 – 01; Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, COGNOME Penna, Rv. 264020 – 01).
3. Il quinto motivo di ricorso è infondato.
L’asserito travisamento della prova si fonda su una lettura parziale della motivazione offerta a pag.5 della sentenza. La Corte territoriale ha, infatti, precisato che non potesse ritenersi confessoria una dichiarazione nella quale l’imputato aveva riconosciuto quanto ampiamente provato, aggiungendo che nella memoria difensiva il COGNOME aveva negato la consapevolezza della qualità dello stupefacente. Con tale ragionamento, nella sua integralità, per quanto riportato nel ricorso, la censura omette un reale confronto. A sostegno del diniego di ammissione al programma di cui all’art.129 bis, cod. proc. peri, la Corte ha, inoltre, addotto la gravità del fatto, l’assenza di resipiscenza o, quantomeno, di consapevolezza della gravità del fatto commesso. Si tratta di giudizio rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, come si evince dal verbo «può»’ di cui all’art.129 bis, comma 1, cod. proc. pen., insindacabile in sede di legittimità in quanto non manifestamente illogico né arbitrario (Sez. 4, n. 646 del 06/12/2023, dep.2024, S., Rv. 285764 – 01; Sez. 6, n.25367 del 09/05/2023, I., Rv. 285639 – 01).
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; al rigetto segue, ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 6 giugno 2024
Il ConsigliGLYPH m estensore
Il Pr sidente