Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34288 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34288 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 03/12/2024 della Corte d’appello di Perugia.
Letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
sentiti il AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile, e l’AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 giugno 2018 il Tribunale di Teramo, all’esito di giudizio abbreviato, condannava NOME COGNOME in ordine a due reati di furto in abitazione, aggravati dall’aver commesso il fatto usando violenza sulle cose.
Con sentenza del 17 febbraio 2022 la Corte di appello di L’Aquila confermava il giudizio di responsabilità e riformava la sentenza impugnata riconoscendo la continuazione con altro reato di furto in abitazione, in ordine al quale era già intervenuta in data 10 febbraio 2016 sentenza del Tribunale di Teramo, irrevocabile il 23 gennaio 2019; la corte abruzzese procedeva, conseguentemente, a rideterminare il trattamento sanzionatorio, aumentando la pena base già individuata dal primo giudice per il furto contestato al capo b) (anni 3 di reclusione ed € 210 di multa) di mesi 2 di reclusone ed € 10 di multa per il furto contestato al capo a), e di ulteriori mesi 4 di reclusione ed € 80 di multa per il furto già giudicato con la citata sentenza del 10 febbraio 2016; la pena complessiva di anni 3 e mesi 6 di reclusione ed € 300 di multa veniva, infine, ridotta di un terzo, e dunque ad anni 2 e mesi 4 di reclusione ed € 200 di multa, in virtø del rito prescelto.
Adita dal ricorso dell’imputato, questa Corte (Sez. 5, n. 227 del 27/09/2022, dep. 2023, n.m.) dichiarava inammissibile il motivo di ricorso relativo alla riconosciuta circostanza aggravante della violenza sulle cose (poichØ «dalle dichiarazioni rese dalle persone offese, risultava che l’imputato aveva forzato le finestre dei loro appartamenti, rendendo, conseguentemente, necessaria un’attività di ripristino»), ed annullava con rinvio la sentenza impugnata in merito al trattamento sanzionatorio, rilevando che «La Corte di appello, invero, non spende neanche una parola per chiarire i criteri utilizzati per determinare la pena per il reato già giudicato, posto in continuazione con quello oggetto del presente processo».
Con sentenza n. 917 del 3 dicembre 2024 la Corte di appello di Perugia confermava la pena così come determinata dalla sentenza poi annullata da questa Corte: ritenuto piø grave il furto contestato al capo b), confermava la quantificazione della pena base in anni 3 di reclusione ed € 210 di multa (trattandosi di statuizione non oggetto di annullamento), e la aumentava di mesi 2 di reclusone ed € 10 di multa per il furto di cui al capo a) (rilevando che si trattava di aumento «oggettivamente minimo in rapporto alla pena del reato di furto in appartamento il cui minimo edittale era all’epoca di anni 3 di reclusione», ma non modificabile pena la violazione del divieto di reformatio in peius ), e di mesi 4 di reclusione ed € 80 di multa per il furto già giudicato con la citata sentenza del 10 febbraio 2016; l’entità dell’aumento veniva giustificata con la «maggiore gravità» di questo furto, «avuto riguardo alle caratteristiche della refurtiva costituita da un numero di oggetti maggiore e di valore superiore, trattandosi di 2 bracciali e di due orologi di marca oltre che da una somma di denaro cinque volte superiore»; si rilevava, altresì, che in relazione a questo terzo furto il COGNOME aveva riportato condanna – all’esito della riduzione di un terzo per il rito abbreviato – alla pena di anni 1 di reclusione ed € 400 di multa, che «all’epoca il minimo edittale era pari ad anni 1 di reclusione», e che «quindi la condotta criminosa, come emerge dalla motivazione addotta dal Tribunale di Teramo, era stata ritenuta abbastanza grave, anche alla luce delle connotazioni soggettive del COGNOME, gravato da plurimi precedenti penali».
2. Il difensore di fiducia del COGNOME, AVV_NOTAIO, ha impugnato la sentenza n. 917 del 2024, articolando due motivi di ricorso.
Con il primo deduce la nullità della sentenza, ex art. 178, comma 1, lett. a) e lett. c), cod. proc. pen., «in ragione della redazione e sottoscrizione del dispositivo da parte del Presidente della Corte di appello di Perugia il 2.12.2024, giorno precedente la data di fissazione dell’udienza dinanzi la Corte di appello di Perugia (3.12.2024)»: il dispositivo sarebbe stato, dunque, redatto il giorno precedente la celebrazione dell’udienza, «senza la regolare costituzione del collegio e ad opera del solo Presidente della Corte di appello di Perugia, il quale ha deciso senza l’intervento e la partecipazione degli altri componenti il collegio e in violazione del diritto di difesa dell’imputato».
Con il secondo deduce l’illogicità della motivazione con la quale i giudici perugini hanno giustificato la quantificazione della pena: il reato giudicato con sentenza del 10 febbraio 2016 Ł un furto semplice, essendo stata esclusa l’aggravante della violenza sulle cose, riconosciuta, invece, in relazione agli altri due furti; per detto reato, peraltro commesso lo stesso giorno degli altri due, il giudice di merito aveva irrogato una pena detentiva di un anno di reclusione, pari, dunque, alla metà della pena di due anni di reclusione individuata quale pena base per il furto di cui al capo b) oggetto del presente giudizio; la refurtiva aveva un valore modesto; la differenza di valore – «non si comprende come accertata, in difetto di una concreta stima dei beni sottratti» – non giustificava l’applicazione di un aumento di pena doppio rispetto a quello stabilito per il reato sub a) oggetto del presente giudizio; sono inconferenti le valutazioni dei giudici perugini sulle «connotazioni soggettive del COGNOME», poichØ «la personalità dell’imputato Ł sempre la stessa».
3. Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile, attesa la manifesta infondatezza di entrambi i motivi: il primo venendo in rilievo un mero errore materiale, il secondo perchØ la sentenza impugnata ha motivato in modo coerente, lineare e per nulla illogico la misura degli aumenti di pena.
Il ricorso Ł affidato a motivi manifestamente infondati e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Il primo motivo Ł manifestamente infondato, venendo in rilievo un mero refuso: l’udienza si Ł tenuta in camera di consiglio sulle conclusioni scritte rassegnate dalle parti, che non avevano chiesto la trattazione orale; il «verbale di udienza in camera di consiglio » -atto fidefaciente al quale il ricorso non fa alcun riferimento – reca la data del 3 dicembre 2024, ed attesta che il procedimento Ł stato trattato alle ore 14:10 e deciso «come da provvedimento che deposita e si allega al presente verbale, chiuso alle ore 14:20» del 3 dicembre 2024.
Il dispositivo di udienza reca, come rilevato dal ricorrente, la data del 2 dicembre 2024, ma risulta inviato a mezzo pec al difensore dell’imputato alle ore 19:17 del 3 dicembre 2024.
La sentenza oggi impugnata riporta nell’intestazione e nel dispositivo la data del 3 dicembre 2024.
Vi sono, dunque, plurimi ed incontrovertibili elementi che illustrano che il procedimento Ł stato effettivamente trattato e deciso il 3 dicembre 2024, così come indicato nel verbale di udienza e nella sentenza, e che la diversa data del 2 dicembre 2024 Ł stata indicata nel dispositivo a cagione di un mero errore materiale.
Può, dunque, serenamente darsi continuità al principio, affermato in tema di nullità della sentenza, ma senz’altro applicabile al caso di specie, secondo cui «la mancanza o l’evidente erroneità della data non Ł causa di nullità allorchØ questa si possa ricavare con esattezza dagli atti» (Sez. 3, n. 19156 del 13/12/2017, dep. 2018, G., Rv. 273196 – 01), rammentando, peraltro, che altro univoco orientamento di legittimità insegna che «Nell’ipotesi in cui la discrasia tra dispositivo e motivazione della sentenza dipenda da un errore materiale relativo all’indicazione della pena nel dispositivo, e dall’esame della motivazione sia chiaramente ricostruibile il procedimento seguito dal giudice per pervenire alla sua determinazione, la motivazione prevale sul dispositivo» (Sez. 2, n. 35424 del 13/07/2022, COGNOME, Rv. 283516 – 01): nel caso di specie appare evidente, sulla base degli inequivocabili elementi innanzi valorizzati, che la discrasia tra il dispositivo e la sentenza Ł ascrivibile ad un refuso contenuto nel dispositivo, sicchØ non sussiste la denunciata nullità.
Il secondo motivo Ł manifestamente infondato, venendo in rilievo l’esercizio di un potere tipico del giudice di merito, il cui esito Ł insindacabile in questa sede, se congruamente motivato: nel caso di specie l’argomentata valutazione della Corte di appello di Perugia sfugge al sindacato di legittimità, non apparendo frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, ed essendo stata attaccata con critiche di natura meramente rivalutativa.
La censura investe la misura dell’aumento di pena per il furto già oggetto di separata statuizione, in quanto giudicato con la citata sentenza del 10 febbraio 2016: l’entità dell’aumento decisa in sede di rinvio dai giudici di appello (mesi 4 di reclusione ed € 80 di multa, poi ridotti di un terzo, a fronte della pena di anni 1 di reclusione ed € 400 di multa applicata dal giudice della cognizione), Ł sì superiore a quella stabilita per il delitto di furto contestato al capo a) (mesi 2 di reclusone ed € 10 di multa, poi ridotti di un terzo), ma Ł stata ineccepibilmente giustificata con la «maggiore gravità» del primo delitto rispetto al secondo, nitidamente illustrata non solo dalla decisione del giudice della cognizione di partire da una pena base superiore al minimo edittale, ma anche e soprattutto dal maggior valore della refurtiva (ed invero, nel primo caso risultano essere stati asportati, secondo quanto illustrato in denuncia dalla persona offesa NOME COGNOME, «vari oggetti di bigiotteria, due orologi in acciaio marca Calvin Klein e l’altro Police , un braccialemarca Pandora, un bracciale tipo
tennis, la somma di € 250», mentre nel secondo caso due orologi che la stessa persona offesa NOME COGNOME ha indicato in denuncia come «di modesto valore» e la somma di € 50), aspetto, questo, che la Corte perugina ha ritenuto, in maniera non illogica nØ arbitraria, e, dunque, con giudizio non sindacabile in questa sede, maggiormente rilevante, nell’ottica dell’art. 133 cod. pen., rispetto agli altri aspetti della vicenda enfatizzati dal ricorrente (in particolare, la circostanza che solo il secondo reato, e non anche il primo, fosse aggravato dall’uso della violenza sulle cose).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’Ł ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di € 3.000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così Ł deciso, 17/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME