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Trattamento sanzionatorio: la discrezionalità del giudice

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 4 luglio 2024, ha dichiarato inammissibile un ricorso che contestava un trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivo. La Corte ha ribadito che la determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale non è tenuto a una motivazione analitica se la pena si attesta su livelli medi. Il ricorso è stato respinto con condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trattamento Sanzionatorio: I Limiti della Discrezionalità del Giudice

L’applicazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice è chiamato a bilanciare la gravità del reato con la necessità di una sanzione giusta ed equa. Ma quali sono i limiti della sua discrezionalità? Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione, datata 4 luglio 2024, offre importanti chiarimenti sul trattamento sanzionatorio e sull’obbligo di motivazione, confermando principi consolidati.

I Fatti del Caso

Un individuo, condannato in primo e secondo grado per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni aggravate, ha presentato ricorso in Cassazione. Il ricorrente lamentava che la pena inflittagli fosse eccessiva e che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente giustificato la sua determinazione. In sostanza, si contestava la congruità del trattamento sanzionatorio applicato, ritenendolo sproporzionato rispetto alla condotta.

La Decisione della Corte di Cassazione sul trattamento sanzionatorio

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici di legittimità hanno innanzitutto ribadito un principio cardine del nostro ordinamento: la graduazione della pena rientra pienamente nella discrezionalità del giudice di merito. Questo potere, tuttavia, non è arbitrario, ma deve essere esercitato seguendo i criteri indicati dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che impongono di valutare la gravità del reato e la capacità a delinquere del reo.

La Corte ha specificato che l’obbligo di motivazione del giudice cambia a seconda dell’entità della pena inflitta:

* Pena contenuta o media: È sufficiente una motivazione sintetica, anche con il semplice richiamo a criteri generali come la gravità del fatto, per dimostrare che il giudice ha ponderato gli elementi a sua disposizione.
* Pena notevolmente superiore alla media edittale: Solo in questo caso è richiesta una motivazione specifica e dettagliata, che spieghi analiticamente le ragioni di una sanzione così aspra.

Nel caso di specie, il giudice di primo grado aveva correttamente individuato la pena partendo dal minimo previsto per il reato più grave (resistenza a pubblico ufficiale), applicando poi aumenti ponderati per la continuazione con il reato di lesioni. Tale percorso logico è stato ritenuto dalla Cassazione aderente e adeguato al disvalore della condotta, rendendo la motivazione della Corte d’Appello, che confermava tale decisione, pienamente legittima.

Le motivazioni e la congruenza della pena

Un altro punto sollevato dal ricorrente riguardava una presunta discrasia tra motivazione e dispositivo, in merito alla concessione delle attenuanti generiche. La Cassazione ha smontato anche questa censura, chiarendo che il primo giudice aveva correttamente specificato come le attenuanti fossero state ritenute prevalenti solo per il capo relativo alla resistenza (art. 337 c.p.) e non per quello delle lesioni aggravate. La pena per le lesioni è stata quindi quantificata come aumento per la continuazione (ex art. 81 c.p.) sul reato più grave, un meccanismo che non presenta alcuna illegittimità.

La Corte ha concluso che il ricorso era non solo infondato, ma riproduttivo di censure già adeguatamente esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. Questo ha portato alla declaratoria di inammissibilità.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame conferma che la valutazione sul trattamento sanzionatorio è una prerogativa quasi esclusiva del giudice di merito. Il controllo della Corte di Cassazione è limitato alla verifica della logicità e della coerenza della motivazione, senza poter entrare nel merito della scelta della pena, a meno che non sia palesemente illogica o viziata da errori di diritto. Per i cittadini, ciò significa che contestare l’entità di una pena in Cassazione è un’operazione complessa, che ha successo solo quando si possono dimostrare vizi evidenti nel ragionamento del giudice e non una mera divergenza di valutazione. La decisione ha comportato per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Quando il giudice deve motivare in modo dettagliato la pena inflitta?
Il giudice è tenuto a fornire una spiegazione specifica e dettagliata del ragionamento seguito solo quando la pena applicata è di gran lunga superiore alla misura media di quella prevista dalla legge per quel reato.

La Corte di Cassazione può modificare la quantità della pena decisa dal giudice di merito?
No, la Corte di Cassazione non può entrare nel merito della quantificazione della pena. Il suo compito è verificare che la decisione del giudice sia logica, non contraddittoria e basata su una corretta applicazione della legge, ma non può sostituire la sua valutazione a quella del giudice di merito.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte senza validi motivi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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