Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23856 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23856 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a BOLOGNA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CONEGLIANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/04/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia del 29 marzo 2022, con la quale COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati condannati alla pena di giustizia in relazione alla fattispecie di cessione in concorso di sostanza stupefacente, qualificata ai sensi dell’art.73 comma 5 d.P.R. 309/90
2.Gli imputati, a mezzo del proprio difensore, ricorrono per RAGIONE_SOCIALEzione avverso la sentenza della Corte di appello per vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.
Il ricorso è inammissibile.
Con riferimento all’unico motivo di ricorso, che attiene alla misura del trattamento sanzionatorio di cui si assume la eccessività, va premesso che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
Il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l’enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 239754).
La pena applicata non è superiore a quella edittale e, in relazione ad essa, non era dunque necessaria un’argomentazione più dettagliata da parte del giudice (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949).
Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.
Al contrario, nella fattispecie, la pena è stata correttamente commisurata in considerazione dei precedenti riportati dagli imputati i quali costituiscono indice della loro inclinazione a delinquere.
Al contempo il giudice distrettuale ha escluso che ricorressero i presupposti per il riconoscimento del beneficio delle circostanze attenuanti generiche valorizzando in particolare, i criteri offerti dall’art.133 cod.pen. commi 1 e 2 cod.pen. e, in particolare la propensione a delinquere dei rei rappresentata dai precedenti, anche specifici, a loro carico.
La motivazione risulta coerente con la giurisprudenza di legittimità sul punto, la quale insegna che non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così sez. 3, n. 23055 del 23.4.2013, Banic e altro, rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale), laddove il beneficio in questione, a seguito delle intervenuta modifica normativa dell’art.62 bis cod.pen, non costituisce più una sorta di automatico riconoscimento all’imputato eventualmente incensurato, ma una attribuzione dalla valenza premiale (sez.I, 18.5.2017, Lamina, Rv.271315) che necessita di specifica motivazione sugli elementi posti a fondamento del beneficio. La motivazione del giudice di appello a sostegno della esclusione del beneficio risulta congrua e priva di difetti logici e si presenta pertanto insindacabile dinanzi al giudice di legittimità.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla RAGIONE_SOCIALE delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 15 maggio 2024
Il Consigliere estensore