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Trattamento sanzionatorio: la discrezionalità del giudice

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di due imputati condannati per spaccio di lieve entità. Essi lamentavano un trattamento sanzionatorio eccessivo, ma la Corte ha ribadito l’ampia discrezionalità del giudice di merito nel determinare la pena entro i limiti edittali, basandosi sui criteri dell’art. 133 c.p., come i precedenti penali, senza necessità di una motivazione analitica.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trattamento sanzionatorio: i confini della discrezionalità del giudice

L’applicazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale. Un corretto trattamento sanzionatorio deve bilanciare la gravità del reato con la personalità dell’imputato. Ma quali sono i poteri del giudice in questa fase e quali i limiti per l’imputato che ritiene la pena eccessiva? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 23856/2024) ci offre un chiaro ripasso dei principi che governano la materia, sottolineando l’ampia discrezionalità del giudice di merito.

I fatti del processo

Il caso riguarda due soggetti condannati in primo e secondo grado per cessione in concorso di sostanze stupefacenti, un reato qualificato come di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/90. La Corte d’Appello di Bologna aveva confermato integralmente la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia. Insoddisfatti della pena inflitta, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione proprio in relazione alla misura del trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo.

Il ricorso: un trattamento sanzionatorio contestato

L’unico motivo di ricorso si concentrava sull’eccessività della pena. Secondo la difesa, i giudici di merito non avrebbero adeguatamente motivato le ragioni per cui hanno applicato una pena superiore al minimo edittale e negato le circostanze attenuanti generiche. Si tratta di una doglianza comune, che tuttavia si scontra con un orientamento giurisprudenziale consolidato, ribadito con forza dalla Suprema Corte in questa occasione.

La discrezionalità del giudice nella commisurazione della pena

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per ribadire alcuni capisaldi in materia di determinazione della pena.

I criteri dell’art. 133 del Codice Penale

Il fulcro della decisione risiede nell’ampio potere discrezionale che la legge conferisce al giudice di merito. La determinazione della misura della pena, tra il minimo e il massimo previsto dalla legge per un dato reato, è una valutazione che il giudice compie sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 del codice penale (gravità del reato e capacità a delinquere del colpevole). La Cassazione ha ricordato che il giudice adempie al suo obbligo di motivazione anche quando valuta questi elementi in modo intuitivo e globale, senza una disamina analitica di ciascuno di essi. Non è necessaria una motivazione dettagliata, soprattutto se la pena applicata non si discosta significativamente dai minimi edittali.

Il ruolo dei precedenti penali

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la pena fosse stata correttamente commisurata tenendo conto dei precedenti penali degli imputati. Tali precedenti, anche specifici, costituiscono un indice della loro “inclinazione a delinquere” e giustificano sia una pena superiore al minimo, sia il diniego delle attenuanti generiche. Queste ultime, infatti, non sono un diritto automatico ma una concessione premiale che richiede una valutazione positiva della personalità del reo, valutazione che i precedenti negativi possono compromettere.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La motivazione della Corte di Appello, seppur sintetica, è stata giudicata congrua e priva di difetti logici. I giudici di legittimità hanno sottolineato che non è necessario che il giudice prenda in considerazione ogni singolo elemento favorevole o sfavorevole; è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi. Nel caso in esame, i precedenti penali sono stati considerati l’elemento preponderante e sufficiente a giustificare sia la pena inflitta sia il mancato riconoscimento delle attenuanti. Il sindacato della Cassazione, pertanto, può intervenire solo quando la quantificazione della pena è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico, eventualità esclusa in questa fattispecie.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame conferma che contestare l’entità del trattamento sanzionatorio in Cassazione è un’operazione complessa. La discrezionalità del giudice di merito è molto ampia e il suo esercizio è censurabile solo in caso di manifesta illogicità o arbitrarietà. La presenza di precedenti penali a carico dell’imputato rappresenta un ostacolo significativo, poiché viene considerata un valido criterio per giustificare una pena più severa e per negare benefici come le attenuanti generiche. Questa pronuncia serve da monito: la valutazione sulla pena è, e rimane, una prerogativa quasi esclusiva del giudice che ha esaminato i fatti nel merito.

Quando è possibile contestare in Cassazione l’entità della pena?
È possibile contestare l’entità della pena (il trattamento sanzionatorio) davanti alla Corte di Cassazione solo quando la decisione del giudice di merito è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. Non è sufficiente che l’imputato la ritenga semplicemente ‘eccessiva’.

Il giudice deve sempre motivare in modo dettagliato la scelta della pena?
No. Secondo la giurisprudenza costante, il giudice adempie al suo obbligo di motivazione anche con una valutazione sintetica e globale degli elementi previsti dall’art. 133 c.p. (gravità del reato e capacità a delinquere). Una motivazione più analitica non è necessaria, specialmente se la pena non è molto superiore al minimo previsto dalla legge.

Che peso hanno i precedenti penali nella determinazione della pena?
I precedenti penali hanno un peso significativo. Sono considerati un indice dell’inclinazione a delinquere dell’imputato e possono giustificare sia l’applicazione di una pena superiore al minimo edittale, sia il diniego delle circostanze attenuanti generiche, che non sono un riconoscimento automatico ma una concessione di natura premiale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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