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Trattamento sanzionatorio: i limiti del ricorso

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso contro una condanna per tentato furto pluriaggravato. Il ricorrente contestava il trattamento sanzionatorio, ma la Corte ha ribadito che la graduazione della pena è una decisione discrezionale del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata.

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Pubblicato il 10 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trattamento sanzionatorio: la Cassazione ribadisce i poteri del giudice di merito

L’applicazione e la quantificazione della pena rappresentano uno dei momenti più delicati del processo penale. Con la recente ordinanza n. 31275/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui limiti del sindacato di legittimità in materia di trattamento sanzionatorio, offrendo chiarimenti fondamentali sulla discrezionalità del giudice di merito. La decisione sottolinea un principio consolidato: non è possibile utilizzare il ricorso in Cassazione come un terzo grado di giudizio per rimettere in discussione la misura della pena, se questa è stata decisa con una motivazione logica e coerente.

I fatti del caso

Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato, condannato sia in primo grado che in appello per il reato di tentato furto pluriaggravato. La Corte di Appello di Palermo aveva confermato la sentenza di condanna del Tribunale. L’imputato, non condividendo la quantificazione della pena, ha deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, lamentando un’errata applicazione della legge penale, in particolare riguardo alle norme che disciplinano il tentativo e i criteri generali per la commisurazione della pena (artt. 56, 132 e 133 del codice penale).

L’importanza del trattamento sanzionatorio nella decisione dei giudici

Il ricorrente ha fondato il suo unico motivo di ricorso sulla presunta violazione dell’art. 606, comma 1, lettere b) ed e) del codice di procedura penale, contestando specificamente il trattamento sanzionatorio applicato. Sostanzialmente, la difesa riteneva che la pena base, così come gli aumenti per le aggravanti e le diminuzioni per le attenuanti, non fossero stati graduati correttamente. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha immediatamente messo in chiaro i paletti entro cui può muoversi il suo giudizio.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici hanno richiamato l’orientamento consolidato della giurisprudenza, secondo cui la graduazione della pena rientra pienamente nella discrezionalità del giudice di merito. Questo potere non è arbitrario, ma deve essere esercitato seguendo i principi guida stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che impongono al giudice di tenere conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo.

Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che il giudice d’appello aveva adempiuto al proprio onere motivazionale. La sentenza impugnata conteneva un riferimento congruo agli elementi considerati decisivi per la determinazione della pena (in particolare al paragrafo 4 della stessa). Di conseguenza, non essendo ravvisabile un’illogicità manifesta o una violazione di legge nell’esercizio di tale potere discrezionale, la doglianza del ricorrente non poteva trovare accoglimento in sede di legittimità. Il ricorso è stato quindi respinto perché tentava di ottenere una nuova valutazione del merito, operazione preclusa alla Corte di Cassazione.

Conclusioni e implicazioni pratiche

La decisione in commento conferma un principio cardine del nostro sistema processuale: la Corte di Cassazione non è un “terzo giudice” dei fatti. Il suo ruolo è quello di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge. Pertanto, un ricorso che si limiti a criticare l’entità della pena senza dimostrare un vizio logico palese o un errore di diritto nella motivazione del giudice di merito è destinato all’inammissibilità. Per il ricorrente, tale esito comporta non solo la conferma della condanna, but anche l’obbligo di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro. Questa pronuncia serve da monito: le strategie difensive in Cassazione devono concentrarsi su vizi di legittimità concreti e non su una generica insoddisfazione per la pena inflitta.

È possibile contestare in Cassazione la quantificazione della pena decisa da un giudice?
No, di norma non è possibile. La graduazione della pena è una valutazione discrezionale del giudice di merito. Il ricorso in Cassazione è ammesso solo se la motivazione del giudice è manifestamente illogica o viola specifici principi di legge, ma non per una semplice richiesta di riconsiderare l’adeguatezza della pena.

Per quale motivo il ricorso in esame è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché contestava il trattamento sanzionatorio, una valutazione che rientra nella discrezionalità del giudice. La Corte di Cassazione ha ritenuto che la motivazione della sentenza impugnata fosse adeguata e coerente, rendendo il motivo di ricorso manifestamente infondato e non consentito dalla legge in quella sede.

Cosa comporta per il ricorrente la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro, stabilita in questo caso in tremila euro, da versare alla Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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