Trattamento sanzionatorio: i limiti alla discrezionalità del giudice secondo la Cassazione
Quando una pena può essere considerata ‘troppo alta’? E fino a che punto un condannato può contestarla? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un tema centrale del diritto penale: la determinazione del trattamento sanzionatorio. La Suprema Corte ha ribadito i confini molto stretti entro cui è possibile criticare la misura della pena decisa dal giudice, sottolineando l’ampia discrezionalità di quest’ultimo e le conseguenze di un ricorso infondato.
I Fatti di Causa
Il caso nasce dal ricorso di un individuo condannato per la violazione dell’art. 75, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011. La Corte di Appello di Bologna aveva confermato la sentenza di primo grado. L’imputato ha quindi deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, basando la sua difesa su un unico punto: l’eccessività del trattamento sanzionatorio inflitto. A suo dire, la pena era sproporzionata, e la Corte d’Appello non aveva motivato in modo adeguato e sufficiente le ragioni per cui riteneva congrua la sanzione decisa in primo grado.
La Decisione sul Trattamento Sanzionatorio e la Discrezionalità del Giudice
La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso ‘inammissibile’. La decisione si fonda su un principio consolidato della giurisprudenza di legittimità: la valutazione sulla misura della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. 
Le Motivazioni della Corte
La Suprema Corte ha spiegato che il ricorso era ‘manifestamente infondato’ per diverse ragioni. Innanzitutto, le critiche mosse dal ricorrente non erano altro che una ripetizione di argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte territoriale. In secondo luogo, e questo è il punto cruciale, il ragionamento della Corte d’Appello sulla congruità della pena era stato corretto e immune da censure.
I giudici di merito avevano infatti giustificato il trattamento sanzionatorio valorizzando elementi specifici, quali:
*   I precedenti penali dell’imputato, rilevanti per valutare la sussistenza della recidiva.
*   La ‘particolare intensità del dolo’, ovvero la forte intenzionalità con cui il reato era stato commesso.
La Cassazione ha ricordato che, secondo l’articolo 133 del codice penale, il giudice esercita un potere discrezionale nel determinare la pena tra il minimo e il massimo edittale. Questa valutazione è insindacabile in sede di legittimità, a condizione che sia motivata e non sia il risultato di un puro arbitrio o di un ragionamento illogico. Anche una motivazione sintetica è sufficiente, purché dia conto dei criteri seguiti. Nel caso esaminato, la motivazione della Corte d’Appello era stata ritenuta logica e ben argomentata, rendendo così l’impugnazione del tutto pretestuosa.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
L’ordinanza ha implicazioni pratiche significative. Essa conferma che presentare un ricorso in Cassazione lamentando genericamente l’eccessività della pena, senza individuare un vizio logico o una palese arbitrarietà nella motivazione del giudice, è una strategia destinata al fallimento. La discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena è molto ampia e la Cassazione non agisce come un ‘terzo grado’ di giudizio per ricalibrare la sanzione. Di conseguenza, l’inammissibilità del ricorso ha comportato per il ricorrente non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo di pagare le spese processuali e una cospicua somma alla Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver promosso un’impugnazione ritenuta irrituale e colposa.
 
È possibile contestare in Cassazione la misura della pena ritenuta troppo alta?
No, non se la critica si basa su un mero disaccordo con la valutazione del giudice. È possibile farlo solo se la motivazione della sentenza è inesistente, palesemente illogica o arbitraria. Una motivazione sintetica ma coerente rende il ricorso inammissibile.
Quali elementi considera il giudice per decidere l’entità del trattamento sanzionatorio?
Il giudice esercita la sua discrezionalità basandosi sui criteri dell’art. 133 del codice penale. Come emerge da questa ordinanza, elementi specifici come i precedenti penali dell’imputato e l’intensità del dolo (l’intenzione criminale) sono fattori determinanti per la quantificazione della pena.
Cosa accade se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Come stabilito in questo caso, la persona che ha presentato il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver presentato un’impugnazione ritenuta infondata e quindi colposa.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5246 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 5246  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CECINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/05/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza in preambolo con la quale la Corte di appello di Bologna ha confermato la sua condanna per il reato di cui all’art. 75 comma 2 d.lgs. n. 159 del 2011 e deduce il vizio di motivazione in punto di eccessività del trattamento sanzionatorio, da ridursi atteso il comportamento «endo ed extra processuale dell’imputato», lamentando altresì che la Corte non avrebbe esplicato adeguatamente e sufficientemente le ragioni che l’hanno determinata a ritenere congrua la pena irrogata dal Giudice di primo grado;
Ritenuti i motivi manifestamente infondati, siccome riproduttivi di doglianze già adeguatamente valutate dalla Corte territoriale e, comunque, a-specifici;
considerato che sfugge a censura il ragionamento svolto dalla Corte territoriale per la determinazione del trattamento sanzionatorio – che dopo avere richiamato, ai fini della valutazione della corretta sussistenza della recidiva, i precedenti penali dell’imputato – ha valorizzato, la particolare intensità del dolo espressa nella violazione – poiché la generica doglianza sul punto oblitera il principio, secondo cui, in tema di determinazione della misura della pena, il giudice del merito esercita la discrezionalità che al riguardo la legge gli conferisce, attraverso l’enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. (Cass. Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243; Cass. Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Cass. Sez. 2, n. 12749 del 19/3/2008, COGNOME, Rv. 239754) e che una valutazione siffatta è insindacabile in sede di legittimità, purché – come nel caso di specie – sia argomentata e non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Cass. Sez. 5, n. 5582 del 30/9/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 dicembre 2023