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Trattamento sanzionatorio: i limiti del ricorso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4970/2024, ha dichiarato inammissibile un ricorso contro la determinazione della pena. La Corte ha ribadito che il trattamento sanzionatorio, frutto della discrezionalità del giudice di merito, non è censurabile in sede di legittimità se la motivazione non è palesemente illogica o arbitraria. Anche formule come ‘pena congrua’ sono state ritenute sufficienti, specialmente per pene inferiori alla media edittale.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trattamento sanzionatorio: quando la decisione del giudice è insindacabile?

Il trattamento sanzionatorio rappresenta uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice esercita la propria discrezionalità per commisurare la pena al singolo caso concreto. Ma fino a che punto questa scelta può essere contestata? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 4970/2024) offre chiarimenti cruciali sui limiti del ricorso in sede di legittimità, ribadendo la solidità del potere discrezionale del giudice di merito.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Brescia. L’oggetto della doglianza non riguardava la colpevolezza, bensì la quantificazione della pena. Il ricorrente contestava il trattamento sanzionatorio applicato, ritenendolo non adeguatamente motivato in relazione sia alla pena base sia agli aumenti per le circostanze aggravanti e la continuazione tra i reati.

La Decisione della Corte sul trattamento sanzionatorio

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno stabilito che la valutazione sulla pena rientra a pieno titolo nell’ambito della discrezionalità del giudice di merito. Di conseguenza, non può essere oggetto di un nuovo esame in sede di Cassazione, a meno che non emergano vizi macroscopici nel ragionamento del giudice.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che la graduazione della pena, sia nell’individuazione della pena base sia nelle variazioni per circostanze e continuazione, costituisce un esercizio di potere discrezionale. Tale potere può essere contestato in Cassazione solo in due ipotesi specifiche:

1. Quando la decisione è frutto di mero arbitrio.
2. Quando la motivazione è palesemente illogica.

Nel caso specifico, i giudici di legittimità hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse assolto adeguatamente al proprio onere motivazionale. L’uso di espressioni sintetiche come “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento” è stato considerato sufficiente, soprattutto perché la pena inflitta era inferiore alla media prevista dalla legge per quel tipo di reato. La Cassazione ha sottolineato che non è richiesta una motivazione analitica e dettagliata in questi casi, essendo sufficiente che il ragionamento del giudice non appaia irrazionale.

Le Conclusioni

Questa ordinanza conferma un principio consolidato nella giurisprudenza: non è sufficiente dissentire dalla quantificazione della pena per ottenere una sua riforma in Cassazione. È necessario dimostrare che il giudice di merito ha commesso un grave errore logico-giuridico nel suo percorso decisionale. Per gli operatori del diritto, ciò significa che i motivi di ricorso sul trattamento sanzionatorio devono essere formulati con estremo rigore, evidenziando l’arbitrarietà o l’illogicità manifesta della motivazione, piuttosto che limitarsi a proporre una valutazione alternativa e più favorevole della pena.

Quando è possibile contestare in Cassazione il trattamento sanzionatorio deciso da un giudice?
È possibile contestarlo solo se la decisione del giudice è frutto di mero arbitrio o se la motivazione a sostegno della pena è palesemente illogica. Non è sufficiente una semplice divergenza di valutazione sull’entità della pena.

Una motivazione generica come ‘pena congrua’ è sufficiente a giustificare l’entità della pena?
Sì, secondo la Corte, espressioni di questo tipo sono sufficienti per giustificare la pena, specialmente quando questa viene fissata in una misura inferiore alla media edittale prevista dalla legge per quel reato.

Qual è stato l’esito del ricorso analizzato in questa ordinanza?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Di conseguenza, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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