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Trattamento sanzionatorio favorevole: guida pratica

La Corte di Cassazione chiarisce il principio del trattamento sanzionatorio favorevole. In un caso di lesioni personali, la Corte ha stabilito che una pena detentiva di due mesi, sospesa, è più vantaggiosa per l’imputato rispetto a trenta giorni di permanenza domiciliare non sospendibili, previsti da una legge successiva. La decisione sottolinea che la valutazione della pena più favorevole deve essere fatta caso per caso, considerando l’impatto concreto sulla libertà personale dell’imputato.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trattamento sanzionatorio favorevole: guida pratica

Cosa accade quando una nuova legge, entrata in vigore dopo la commissione di un reato, prevede pene più lievi ma esclude benefici come la sospensione condizionale? Il principio del trattamento sanzionatorio favorevole impone di applicare sempre la pena numericamente più bassa? A questa domanda ha risposto la Corte di Cassazione con una recente sentenza, stabilendo che la valutazione deve essere fatta ‘in concreto’, caso per caso, scegliendo la soluzione che risulta effettivamente più vantaggiosa per l’imputato. Analizziamo insieme la decisione.

I fatti del caso

La vicenda processuale riguarda un’imputata condannata in primo grado a due mesi di reclusione, con pena sospesa, per il reato di lesioni personali commesso nel 2016. La sentenza veniva confermata in appello.

Successivamente, entrava in vigore una riforma legislativa (il d.lgs. n. 150/2022) che trasferiva la competenza per quel tipo di reato dal Tribunale al Giudice di Pace, prevedendo sanzioni diverse e generalmente più miti, come la permanenza domiciliare.

La Corte di Cassazione, in un primo momento, annullava la sentenza d’appello limitatamente alla determinazione della pena, rinviando il caso a una nuova sezione della Corte d’Appello per una nuova valutazione alla luce della normativa sopravvenuta.

Il giudice del rinvio, pur riconoscendo l’applicabilità della nuova legge, concludeva che la pena originaria di due mesi di reclusione con sospensione condizionale fosse, in concreto, più favorevole per l’imputata rispetto ai 30 giorni di permanenza domiciliare previsti dalla nuova disciplina, in quanto quest’ultima non è soggetta al beneficio della sospensione. Di conseguenza, confermava la pena iniziale. Contro questa decisione, l’imputata proponeva un nuovo ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la validità del ragionamento seguito dal giudice del rinvio. I giudici hanno richiamato un’importante pronuncia delle Sezioni Unite (n. 12759 del 2024), che ha fissato il principio guida in materia.

Secondo tale principio, la scelta del trattamento sanzionatorio più favorevole non è automatica, ma richiede una valutazione comparativa da effettuarsi caso per caso, tenendo conto di tutte le circostanze specifiche e degli istituti giuridici applicabili, inclusa la sospensione condizionale della pena.

L’applicazione del trattamento sanzionatorio favorevole

La questione centrale non è semplicemente confrontare l’entità astratta delle pene, ma valutare quale delle due opzioni normative produca l’effetto meno afflittivo per il condannato. Una pena detentiva, anche se di durata superiore, può essere considerata più favorevole se, grazie alla sospensione condizionale, non viene di fatto eseguita. Al contrario, una pena più breve ma che deve essere scontata (come la permanenza domiciliare) comporta una limitazione effettiva e immediata della libertà personale.

Il giudice del rinvio ha correttamente applicato questo principio: ha messo a confronto i due mesi di reclusione (sospesi) con i trenta giorni di permanenza domiciliare (da scontare) e ha logicamente concluso che la prima opzione fosse quella più vantaggiosa.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione di inammissibilità evidenziando che il ricorso dell’imputata si basava su un presupposto giuridico errato. L’imputata sosteneva che il giudice avrebbe dovuto applicare ‘in ogni caso’ le sanzioni previste per la competenza del Giudice di Pace, a prescindere da una valutazione concreta di favore. Questa tesi, però, si scontra direttamente con l’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite.

Il giudice del merito ha il dovere di compiere un ‘giudizio caso per caso’, considerando l’intera vicenda processuale. In questo specifico contesto, la concessione della sospensione condizionale ha avuto un peso preponderante nella valutazione, rendendo la pena del regime ‘ordinario’ (quella del Tribunale) concretamente più favorevole.

Di conseguenza, il motivo del ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato, in quanto proponeva una tesi giuridica già respinta dal massimo organo interpretativo della Corte.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: la valutazione del trattamento sanzionatorio favorevole non è un mero calcolo matematico, ma un giudizio ponderato che deve considerare l’impatto reale della sanzione sulla vita del condannato. La possibilità di beneficiare della sospensione condizionale è un elemento cruciale che può rendere preferibile una pena detentiva sulla carta più severa, ma di fatto non eseguita, rispetto a una sanzione più lieve ma certa nella sua applicazione. Gli operatori del diritto dovranno quindi sempre effettuare un’analisi comparativa completa, tenendo conto di tutti gli istituti che possono incidere sull’esecuzione della pena.

Cosa succede se una nuova legge rende una pena più lieve ma esclude la possibilità della sospensione condizionale?
Il giudice deve valutare caso per caso quale sia la soluzione più favorevole in concreto. Una pena detentiva più lunga, ma sospesa, può essere considerata più vantaggiosa di una pena più breve (come la permanenza domiciliare) che deve essere effettivamente scontata.

L’applicazione delle pene previste per i reati trasferiti al Giudice di Pace è automatica per i fatti commessi in precedenza?
No, non è automatica. La giurisprudenza ha chiarito che il giudice deve sempre compiere una valutazione comparativa per determinare se il nuovo regime sanzionatorio, nel suo complesso, sia effettivamente più favorevole al reo, considerando anche istituti come la sospensione condizionale della pena.

Perché nel giudizio di Cassazione non sono state liquidate le spese legali in favore delle parti civili?
Le spese non sono state liquidate perché il ricorso in Cassazione riguardava esclusivamente la quantificazione della pena inflitta all’imputato. Le parti civili non avevano un interesse giuridico a partecipare a questa fase del giudizio, in quanto la decisione sull’entità della pena non avrebbe inciso sulla quantificazione del loro risarcimento del danno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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