Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5123 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5   Num. 5123  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PARMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/03/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento della sentenza con riferimento al trattamento sanzioNOMErio e per l’inammissibilità nel resto.
udita l’AVV_NOTAIO del foro di PARMA che si riporta ai motivi del ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.
Ritenuto in fatto
Per quanto ancora rileva, con sentenza del 10 marzo 2023 la Corte d’appello di Bologna: a) in parziale riforma della decisione di primo grado, riqualificato il reato di cui al capo b) come bancarotta semplice documentale, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME, per essere il reato estinto per prescrizione; b) ha confermato la decisione di primo grado, quanto all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva che gli era stato contestato quale amministratore, prima, e liquidatore, poi, della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita in data 12 marzo 2012; c) ha mantenuto ferma la pena inflitta al COGNOME dal giudice di primo grado in tre anni di reclusione; d) ha «ridotto» «le pene accessorie di cui all’art. 216, u.c., L.F., in anni tre», che, va sin da ora osservato, è la stessa durata indicata dalla sentenza di primo grado.
Con riferimento a quest’ultimo punto, la sentenza della Corte territoriale: a) dopo avere respinto la doglianza che aspirava a conseguire I riconoscimento della circostanza attenuante della speciale tenuità del danno, ha aggiunto: «Sul punto, la relativa aggravante va ritenuta esistente in ragione del valore effettivo della somma distratta (euro 2.232.875,30)»; b) esclusa la possibilità di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti generiche concesse dal Tribunale, ha puntualizzato: «In virtù della mera esclusione dell’aggravante contestata e tenuto conto della sussistenza della cd. continuazione fallimentare ex art. 219 L.F., la pena rimane fissata in tre anni di reclusione ».
 Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. at cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, quanto alla determinazione della pena, rilevando: a) che il Tribunale aveva riconosciuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti «alla contestata aggravante», che la stessa Corte territoriale aveva individuato nell’art. 219, secondo comma, n. 1, I. fall. ossia nella «cd. continuazione fallimentare»; b) che, in tale contesto, la sopra ricordata motivazione destinata a giustificare il mantenimento della pena inflitta in primo grado era erronea, dal momento che gli effetti della cd. continuazione fallimentare, già elisi in primo grado, a seguito del giudizio di equivalenza delle circostanze, erano a maggior ragione non valorizzabili in appello, una volta preso atto dell’intervenuta estinzione per prescrizione del delitto di bancarotta semplice documentale; c) che doveva escludersi che la Corte territoriale avesse ritenuto sussistente la
pluralità di reati, all’interno della contestata bancarotta fraudolenta patrimoniale, in ragione della diversità dei beni asseritamente distratti (denaro, giacenze di magazzino e materiali), sia alla luce della stessa motivazione della sentenza, secondo la quale la continuazione era stata riconosciuta «in relazione ad entrambi i reati di cui ai capi A) e B) della rubrica», sia in ragione dell’unicità giuridica del reato del quale si tratta; d) che del tutto illegittima sarebbe stata la valorizzazione della circostanza aggravante di cui all’art. 219, primo comma, I. fall., alla quale pure, come detto, fa cenno la motivazione della sentenza impugnata, trattandosi di circostanza non contestata e non ritenuta dal primo giudice; e) che, del resto, la motivazione relativa alla conferma della pena irrogata considera esplicitamente solo la «cd. continuazione fallimentare».
2.2. Con il secondo motivo si lamenta l’assenza di motivazione in ordine alla disposta riduzione delle pene accessorie applicate all’imputato.
2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali, in relazione alla ritenuta non configurabilità della cd. bancarotta riparata, rilevando: a) che le distinte di versamento di assegni circolari, siglate dall’operatore di banca per avvenuto deposito, non lasciano residuare dubbi sull’effettivo incasso di oltre due milioni di euro; b) che la mancata indicazione di causale dei versamenti rendeva questi ultimi operazione “neutra”, ossia di mero reintegro di denaro; c) che la mancata annotazione delle operazioni nelle scritture contabili era addebitabile soltanto alla inattendibilità di queste ultime.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta mancata decisione della Corte territoriale in ordine alla richiesta, formulata con i motivi di appello, di disporre una perizia contabile finalizzata a ricostruire l’effettivo valore delle movimentazioni bancarie, delle immobilizzazioni materiali e immateriali, delle loro consistenza e delle rimanenze, alla luce dell’inattendibilità dei dati contabili.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata in relazione alla dei:erminazione del trattamento sanzioNOMErio.
 All’udienza del 16 gennaio 2024 si è svolta la discussione orale.
Considerato in diritto
Ragioni di ordine logico impongono di esaminare preliminarmente le doglianze che investono l’affermazione di responsabilità e il suo fondamento.
Ciò posto, il quarto motivo è manifestamente infondato e privo di specificità.
È esatto che l’atto di appello contiene un ultimo motivo dedicato all’impugnazione dell’ordinanza con la quale il Tribunale aveva rigettato la richiesta di espletamento di perizia contabile finalizzata a conseguire «ricostruzione effettiva delle movimentazioni bancarie e finanziarie e la ricostruzione effettiva del valore delle immobilizzazioni materiali o immateriali, la loro consistenza e delle rimanenze della società RAGIONE_SOCIALE».
E, tuttavia, occorre considerare, innanzi tutto, che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’omesso esame di un motivo di appello da parte del giudice dell’impugnazione non dà luogo ad un vizio di motivazione allorché il motivo proposto debba considerarsi implicitamente assorbito e disatteso dalle spiegazioni svolte nella motivazione in quanto incompatibile con la struttura e con l’impianto della stessa nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593 – 01).
Nel caso di specie, le ragioni dell’irrilevanza dell’accertamento contabile, richiesto con amplissime finalità esplorative, per come rappresentato nel motivo di appello, emergono dalla motivazione delle due sentenze di merito che non invertono in alcun modo l’onere della prova, limitandosi a prendere atto della fuoriuscita di beni dal patrimonio posto a garanzia dei creditori, senza che il ricorrente abbia indicato con la necessaria precisione le ragioni che hanno sorretto l’impiego dei beni.
Tale traiettoria argomentativa, si ripete, non comporta alcun inammissibile inversione dell’onere probatorio.
In altri termini, a fronte della sicuro ingresso nel patrimonio dell’imprenditore di componenti attive e dell’assoluta impossibilità di ricostruire la destinazione delle stesse, del tutto ragionevolmente si può desumere che queste ultime siano state sottratte alla garanzia dei creditori, nella piena consapevolezza della concreta pericolosità di tali condotte in vista del soddisfacimento delle loro pretese.
E allora, a ben guardare, non viene in questione un ribaltamento dell’onere probatorio ma la sollecitazione a fornire elementi idonei a scardinare, introducendo un ragionevole dubbio, le conclusioni altrimenti univocamente raggiungibili sul piano logico.
Ed è appena il caso di sottolineare che il dubbio ragionevole di cui all’art. 530, comma 1, cod. proc. pen. deve identificarsi in una ricostruzione della vicenda non solo astrattamente ipotizzabile in rerum natura, ma la cui
plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. È dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 dep. 03/04/2018, Troise, Rv. 272430).
In tale contesto, il motivo di ricorso è aspecifico, dal momento che si concentra sull’assenza di un esplicito esame della doglianza contenuta in appello, ma non illustra in modo puntuale per quali ragioni, a fronte del complesso argomentativo della sentenza di appello, l’accertamento peritale – avente finalità ricostruttiva, per quanto detto – avrebbe potuto accertare dati che il ricorrente non si cura di indicare così come non spiega per quali ragioni essi non sarebbero desumibili dall’analisi delle evidenze probatorie acquisite.
Il terzo motivo è inammissibile per assenza di specificità e manifesta infondatezza.
Al riguardo, occorre considerare che la bancarotta cosiddetta “riparata” si configura, determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori, sicché è onere dell’amministratore, che si sia reso responsabile di atti di distrazione e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l’esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati (Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017, COGNOME, Rv. 271922 – 01).
In tale contesto, le deduzioni del ricorrente sono del tutto generiche.
L’affermazione della Corte territoriale, peraltro fondata sulle stesse ammissioni della consulenza di parte, secondo cui le copie dei versamenti non recano alcuna indicazione circa l’incasso delle somme sui conti correnti della società fallita è contrastata con l’obiezione per la quale le distinte di versamento siglate dall’operatore della banca per avvenuto deposito non lascerebbero spazio a “pretestuose” verifiche in punto di effettivo incasso. Si tratta di una deduzione basata su affermazioni ipotetiche, soprattutto se si considera che proprio il brano della deposizione del consulente COGNOME menzioNOME a pag. 6 dell’atto di appello conferma che non è stato operato alcun accertamento quanto all’incasso degli assegni su conti sociali. Sul punto le indicazioni del consulente sono del tutto congetturali.
Ne discende che la premessa della doglianza, secondo la quale i versamenti sarebbero intervenuti e avrebbero avuto il fine di reintegrare il patrimonio delle somme distratte, è puramente assertiva.
D’altra parte, la condotta distrattiva attribuita all’imputato non è circoscritta ai soli importi monetari, talché anche il profilo dell’integrale reintegrazione del patrimonio le deduzioni del ricorrente sono prive di specificità.
 Il secondo motivo è infondato e trae alimento da un’irrilevante imprecisione della sentenza impugnata.
La sentenza di primo grado, intervenuta in data 22 gennaio 2020, aveva già operato una determinazione calibrata delle pene accessorie fallimentari nella misura di tre anni.
In assenza di impugnazione sul punto, la Corte territoriale afferma di avere ridotto le pene accessorie di cui all’ultimo comma dell’art. 216 I. fall. in tre anni, ma, all’evidenza, si tratta di una pronuncia di conferma della decisione del giudice di primo grado.
L’assenza di appello sul punto preclude qualunque motivo di ricorso, per difetto di previa impugnazione, in questa sede.
4. Il primo motivo di ricorso è fondato.
In particolare, sebbene anche nell’atto di appello l’imputato indugi nel contestare la circostanza aggravante di cui all’art. 219, primo comma, I. fall., è esatto il rilievo contenuto in ricorso per il quale siffatta circostanza non risulta essere stata contestata né ritenuta dal primo giudice. In particolare, a fronte di un capo di imputazione silente sul punto e, in difetto di qualunque specificazione, da parte della Corte d’appello, è ragionevole ritenere che il riferimento della sentenza del Tribunale al giudizio di bilanciamento con la “contestata aggravante” riguardi la circostanza di cui all’art. 219, secondo comma, n. 1, I. fall. Si tratta della disciplina della cd. continuazione fallimentare, alla quale la sentenza di secondo grado fa riferimento ritenendo che la sua sussistenza rappresenterebbe il presupposto della conferma del giudizio di equivalenza con le riconosciute circostanze attenuanti generiche.
E, tuttavia, una volta dichiarato il non doversi procedere per prescrizione per il delitto di cui al capo B, residua solo la fattispecie di bancarotta distrattiva.
Sul punto, la motivazione della sentenza impugnata è perplessa, nel senso che, per un verso, afferma l’esclusione dell’aggravante contestata (e siffatta, imprecisata aggravante non può essere quella di cui all’art. 219, primo comma, I. fall., che, secondo la Corte d’appello, ma del tutto illegittimamente per quanto sopra detto, sarebbe sussistente, talché non può che identificarsi, in quanto
oggetto di esplicita esclusione, nella circostanza di cui all’art. 219, secondo comma, n. 1, I. fall.) e, per altro verso, ritiene sussistente la cd. continuazione fallimentare, senza spiegare perché, posto che non emerge dalla sentenza di primo grado che, all’interno del capo A), siano stati ritenuti esistenti più illeciti, in dipendenza della ontologica diversità dei beni oggetto delle varie condotte, e che la stessa sentenza di secondo grado assume che la continuazione fallimentare riguarderebbe entrambi (enfasi di chi scrive) i reati di cui ai capi A) e B).
Poiché il reato residuo non si è estinto per prescrizione, la sentenza va annullata con rinvio, limitatamente alla determinazione del trattamento sanzioNOMErio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzioNOMErio, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 16/01/2024