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Trattamento sanzionatorio: discrezionalità del giudice

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro una condanna per furto aggravato. Il motivo, basato su un vizio di motivazione del trattamento sanzionatorio, è infondato. La Corte ribadisce che la graduazione della pena è discrezionale per il giudice di merito, se adeguatamente motivata con riferimento alla gravità del fatto e alla capacità a delinquere dell’imputato.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trattamento Sanzionatorio: la Discrezionalità del Giudice secondo la Cassazione

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un’importante chiarificazione sui limiti e i presupposti del potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena. Attraverso l’analisi di un caso di furto pluriaggravato, la Suprema Corte ribadisce principi consolidati in materia di trattamento sanzionatorio, sottolineando come la motivazione del giudice di merito sia il fulcro per la legittimità della sua decisione.

I Fatti del Processo

Il caso origina da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Torino. Quest’ultima aveva confermato una pronuncia di condanna emessa dal Tribunale per il reato di furto pluriaggravato, ai sensi degli articoli 624 e 625 del codice penale. L’imputato, attraverso il suo difensore, ha lamentato un unico motivo di ricorso: un presunto vizio di motivazione riguardo al trattamento sanzionatorio applicato, ritenuto eccessivamente severo.

L’appellante sosteneva che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente giustificato la quantificazione della pena, non tenendo conto di tutti gli elementi a sua disposizione per una valutazione più mite. Il ricorso si concentrava esclusivamente sulla presunta inadeguatezza della pena inflitta rispetto ai fatti commessi.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Trattamento Sanzionatorio

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. La decisione si fonda su un principio cardine del diritto penale: la graduazione della pena rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito. Questo potere, tuttavia, non è arbitrario, ma deve essere esercitato in aderenza ai criteri guida stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale.

Secondo la Suprema Corte, il ricorrente non si è confrontato con l’indirizzo giurisprudenziale consolidato che riconosce al giudice di primo e secondo grado un ampio margine di valutazione nella commisurazione della pena, inclusi gli aumenti e le diminuzioni per le circostanze aggravanti e attenuanti.

La Motivazione Adeguata del Giudice di Merito

Il punto centrale della decisione della Cassazione è la valutazione della motivazione fornita dalla Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno riscontrato che la Corte territoriale aveva assolto adeguatamente al proprio onere argomentativo. La sentenza impugnata, infatti, giustificava il trattamento sanzionatorio irrogato attraverso un riferimento specifico a due elementi decisivi:

1. Il valore del bene: La Corte d’Appello ha considerato l’entità del danno patrimoniale causato dal furto.
2. La capacità criminale dell’imputato: È stata valutata la personalità del reo, evidenziandone la condizione di recidivo e la sua particolare abilità nel commettere delitti della stessa specie.

Questi elementi, secondo la Cassazione, costituiscono una base motivazionale congrua e sufficiente per giustificare la pena inflitta, rendendo l’impugnazione priva di fondamento.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni dell’ordinanza si basano sul consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la determinazione della pena è un’attività tipica del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se la motivazione è logica, coerente e non contraddittoria. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice che ha esaminato direttamente le prove e gli atti processuali. L’onere del ricorrente è quello di dimostrare una manifesta illogicità o una carenza totale della motivazione, cosa che nel caso di specie non è avvenuta. La Corte d’Appello ha fatto buon governo dei principi di cui agli artt. 132 e 133 c.p., ancorando la sua decisione a elementi concreti e pertinenti. Di conseguenza, il ricorso è stato giudicato infondato e quindi inammissibile.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il sindacato della Corte di Cassazione sul trattamento sanzionatorio è limitato al controllo della logicità e della completezza della motivazione. Non è possibile, in sede di legittimità, rimettere in discussione la scelta discrezionale del giudice di merito sulla quantificazione della pena se questa è sorretta da argomentazioni adeguate, come il riferimento alla gravità del reato e alla personalità dell’imputato. La decisione conferma che, per ottenere una riforma della pena, non è sufficiente lamentarne l’eccessività, ma è necessario dimostrare un vizio logico-giuridico nel percorso argomentativo che ha portato alla sua determinazione.

Quando un giudice può decidere liberamente l’entità della pena?
Il giudice ha un potere discrezionale nel determinare la pena, ma deve esercitarlo seguendo i principi degli articoli 132 e 133 del codice penale, motivando la sua scelta in base a elementi concreti come il valore del bene sottratto e la capacità criminale dell’imputato.

Perché il ricorso sul trattamento sanzionatorio è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile perché manifestamente infondato. La Corte di merito aveva adeguatamente motivato la pena, giustificandola alla luce del valore del bene di cui l’imputato si era impossessato e della sua capacità criminale, essendo recidivo e abile nel commettere delitti.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile in questo caso?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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