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Trattamento sanzionatorio: Cassazione e attenuanti

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due imputati condannati per rapina aggravata. Essi lamentavano un errato trattamento sanzionatorio, sostenendo che le circostanze attenuanti generiche non fossero state valutate. La Corte ha chiarito che le attenuanti erano già state riconosciute e bilanciate con l’aggravante contestata, e che la determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trattamento sanzionatorio: i limiti del ricorso in Cassazione

La determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i confini del proprio sindacato sul trattamento sanzionatorio stabilito dai giudici di merito, specialmente quando si discute di circostanze attenuanti generiche. Questo caso offre uno spunto prezioso per comprendere come e perché un ricorso possa essere considerato manifestamente infondato.

I fatti del caso

Due individui venivano condannati in primo grado e in appello per il reato di concorso in rapina aggravata. La difesa, non soddisfatta della pena inflitta, decideva di presentare ricorso per Cassazione. Il motivo principale del ricorso era incentrato sulla violazione di legge relativa alla determinazione della pena. In particolare, si sosteneva che la Corte d’Appello avesse omesso qualsiasi valutazione sul riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (previste dall’art. 62-bis del codice penale) e non avesse applicato correttamente i criteri di commisurazione della pena indicati dall’art. 133 del codice penale.

La decisione della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, ritenendoli manifestamente infondati. La Corte ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. La decisione si basa su una chiara distinzione tra il giudizio di merito, che valuta i fatti e la personalità dell’imputato, e il giudizio di legittimità, che si limita a controllare la corretta applicazione della legge.

Il corretto trattamento sanzionatorio e le attenuanti

Il fulcro della decisione risiede nella constatazione che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, le circostanze attenuanti generiche erano già state prese in considerazione dai giudici di merito. Non solo erano state riconosciute, ma erano state anche sottoposte a un “giudizio di equivalenza” rispetto alla circostanza aggravante contestata. Questo significa che il giudice aveva ritenuto che il peso delle attenuanti fosse pari a quello dell’aggravante, neutralizzandone di fatto gli effetti sulla pena finale.

le motivazioni

La Cassazione spiega che la doglianza della difesa, pur non essendo formulata in modo esplicito, mirava in realtà a contestare il giudizio di comparazione tra le circostanze, una valutazione che rientra pienamente nella discrezionalità del giudice di merito. Un tale giudizio può essere contestato in sede di legittimità solo se viziato da un’illogicità manifesta o da un arbitrio, e non per un semplice disaccordo sulla valutazione effettuata. Nel caso di specie, la sentenza d’appello aveva fornito una motivazione sufficiente e logica a sostegno della propria decisione.

Inoltre, per quanto riguarda la lamentela sul complessivo trattamento sanzionatorio, la Corte ribadisce un principio consolidato: la graduazione della pena, inclusa la determinazione della pena base e la gestione degli aumenti e delle diminuzioni, è un potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere deve essere esercitato nel rispetto dei principi stabiliti dagli artt. 132 e 133 del codice penale. Se il giudice adempie al suo onere di motivazione, facendo riferimento agli elementi ritenuti decisivi, la sua valutazione non è censurabile in Cassazione. La Corte ha ritenuto che, nel caso in esame, la motivazione fosse adeguata e congrua.

le conclusioni

Questa ordinanza conferma che il ricorso per Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio di merito. La discrezionalità del giudice nella commisurazione della pena è ampia e, se esercitata con una motivazione logica e coerente con i criteri di legge, è insindacabile. Le parti che intendono contestare il trattamento sanzionatorio devono dimostrare un vizio di legittimità, come una motivazione assente, manifestamente illogica o contraddittoria, e non semplicemente proporre una diversa e più favorevole valutazione degli elementi già esaminati dal giudice di merito. La manifesta infondatezza dei ricorsi ha quindi portato alla loro inammissibilità e a una condanna economica per i ricorrenti.

Cosa accade se un imputato lamenta la mancata valutazione delle attenuanti generiche, ma queste sono già state bilanciate con le aggravanti?
Secondo la Corte di Cassazione, il ricorso è manifestamente infondato. Se il giudice di merito ha già riconosciuto le attenuanti e le ha ritenute equivalenti alle aggravanti (giudizio di equivalenza), la questione è considerata correttamente affrontata. L’eventuale critica a tale bilanciamento rientra nel merito e non è ammissibile in Cassazione se la decisione è motivata.

La Corte di Cassazione può modificare una pena ritenuta troppo severa?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti per decidere se una pena sia giusta o meno. Il suo compito è verificare che la legge sia stata applicata correttamente. La graduazione della pena è una decisione discrezionale del giudice di merito. La Cassazione può intervenire solo se la motivazione a sostegno di tale decisione è mancante, illogica o contraddittoria, ma non può sostituire la sua valutazione a quella del giudice precedente.

Cosa comporta la dichiarazione di ‘manifesta infondatezza’ di un ricorso?
Comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Ciò significa che l’impugnazione viene respinta senza entrare nel merito delle questioni sollevate, perché le argomentazioni sono ritenute palesemente prive di fondamento. In ambito penale, come in questo caso, ciò porta anche alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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