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Trattamento sanzionatorio: calcolo della pena errato

Un imputato ricorre in Cassazione contestando il trattamento sanzionatorio applicato dal giudice dell’esecuzione dopo il riconoscimento della continuazione tra più reati. La Corte ha annullato la decisione, riscontrando errori nel calcolo della pena e una motivazione carente, rinviando gli atti per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Calcolo della pena e continuazione: la Cassazione fissa i paletti

La corretta determinazione del trattamento sanzionatorio in fase esecutiva è un momento cruciale per garantire la giustizia della pena. Quando un soggetto riporta più condanne per reati legati da un unico disegno criminoso, il giudice dell’esecuzione deve applicare l’istituto della continuazione. Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione torna a precisare i criteri che devono guidare questo complesso calcolo, annullando un’ordinanza per vizi di motivazione e per aver effettuato un mero cumulo materiale anziché una corretta rideterminazione della pena.

I fatti del caso

Un soggetto, condannato con quattro sentenze definitive per vari reati (principalmente legati agli stupefacenti), si rivolgeva al Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, per ottenere il riconoscimento della continuazione tra tutti i reati. Il giudice accoglieva la richiesta ma, nel determinare la pena finale, commetteva secondo il ricorrente alcuni errori. In particolare, il condannato lamentava che il giudice si fosse limitato a sommare le pene già determinate in precedenza, anche per reati che erano già stati unificati in un precedente provvedimento, senza procedere a una nuova e autonoma valutazione. Inoltre, contestava la mancata considerazione delle attenuanti generiche che gli erano state riconosciute in una delle sentenze di condanna.

Il corretto calcolo del trattamento sanzionatorio

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata e rinviando gli atti per un nuovo giudizio. I giudici di legittimità hanno ribadito i principi consolidati in materia di calcolo della pena in caso di applicazione dell’art. 671 del codice di procedura penale.

Il giudice dell’esecuzione non può limitarsi a sommare le pene. Deve invece seguire un percorso logico-giuridico preciso:

1. Scorporo dei reati: Deve ‘smontare’ le precedenti condanne, isolando ogni singolo reato, anche quelli già unificati in continuazione in sede di cognizione.
2. Individuazione del reato più grave: Deve identificare la violazione più grave, che costituirà la base per il calcolo della pena complessiva.
3. Determinazione degli aumenti: Sulla pena base del reato più grave, deve applicare aumenti di pena per ciascun ‘reato satellite’. Questi aumenti devono essere determinati autonomamente e non possono superare le pene inflitte per gli stessi reati nelle sentenze originali.

L’importanza della motivazione nel trattamento sanzionatorio

Un punto centrale della decisione riguarda l’obbligo di motivazione. Il giudice dell’esecuzione non può giustificare gli aumenti di pena con formule generiche, come un vago riferimento alla ‘gravità delle condotte’ o allo ‘spessore criminale’.

le motivazioni

La Corte ha rilevato che il giudice di merito ha errato sotto un duplice profilo. In primo luogo, per uno dei reati satellite, ha confermato la pena inflitta in una precedente ordinanza senza fornire alcuna nuova motivazione, nonostante quel reato avesse cambiato ‘status’, passando da reato più grave a reato satellite nel nuovo e più ampio computo. In secondo luogo, per un altro gruppo di reati, la motivazione fornita è stata ritenuta inadeguata perché generica e, soprattutto, perché non ha chiarito se fossero state considerate le attenuanti generiche riconosciute in sede di cognizione, un elemento che avrebbe dovuto incidere sulla quantificazione dell’aumento di pena.

le conclusioni

La sentenza riafferma un principio fondamentale di garanzia: la determinazione della pena, anche in fase esecutiva, è un atto discrezionale che deve essere sempre supportato da una motivazione puntuale e verificabile. Il giudice non è un mero ‘contabile’ delle pene, ma deve ricalibrare il trattamento sanzionatorio in modo equo e conforme alla legge, spiegando in modo trasparente il percorso logico che lo ha portato a una certa quantificazione. L’annullamento con rinvio impone ora al Tribunale di Roma di effettuare una nuova e più attenta valutazione, nel pieno rispetto dei principi enunciati dalla Cassazione.

Come deve procedere il giudice dell’esecuzione per calcolare la pena in caso di continuazione tra reati?
Deve prima scorporare tutti i reati dalle sentenze originarie, individuare quello più grave, e su questa base applicare aumenti di pena autonomi per ogni altro reato (reato satellite), motivando specificamente l’entità di ciascun aumento.

Può il giudice dell’esecuzione confermare semplicemente la pena di un reato che, nel nuovo calcolo, diventa un ‘reato satellite’?
No, non può farlo senza una motivazione specifica. Anche se un reato era stato precedentemente considerato come base di calcolo, una volta che diventa ‘satellite’ in un raggruppamento più ampio, la pena relativa deve essere ricalcolata come aumento sulla nuova pena base, e tale aumento deve essere giustificato.

È sufficiente una motivazione generica sulla gravità dei fatti per giustificare gli aumenti di pena?
No. La Corte ha stabilito che non è sufficiente un semplice riferimento alla gravità delle condotte o allo spessore criminale del condannato. La motivazione deve essere specifica, permettendo un controllo effettivo del percorso logico seguito dal giudice, e deve tenere conto di tutti gli elementi, incluse eventuali circostanze attenuanti riconosciute nelle sentenze di condanna.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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