Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13994 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13994 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Palermo in data DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/02/2023 del Tribunale di sorveglianza di Palermo udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, SAVV_NOTAIO COGNOME, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di sorveglianza di Palermo ha rigettato il reclamo, proposto da NOME COGNOME,, in relazione a provvedimento del Magistrato di sorveglianza, reso in data 28 novembre 2022, di rigetto dell’istanza ex art. 35-ter Ord. pen., avanzata dal detenuto in relazione al periodo di detenzione sofferto presso l’RAGIONE_SOCIALE di Palermo, dal 9 giugno 2015 al 15 novembre 2021.
Il provvedimento impugnato riconosce, sulla base della relazione della Casa circondariale e dell’allegato prospetto, la sussistenza di uno spazio pro capite nella cella occupata dal ricorrente ben superiore a 3 metri quadrati precisamente oscillante tra gli 8,44 e i 4,22 metri quadri.
Il reclamante, secondo il Tribunale, tenuto conto delle risultanze della descritta relazione, avrebbe occupato la cella da solo o, al più, con un altro compagno, precisando al riguardo che non era presente alcun letto a castello.
Quanto alla necessità di scomputare dal calcolo dellio spazio vitale a disposizione del detenuto, il letto singolo occupato la pronuncia si richiama a Sez. U, ricorrente Commisso, già applicata dal Magistrato di sorveglianza nel provvedimento reclamato.
2.Avverso detto provvedimento propone tempestivo ricorso il condannato, per il tramite del difensore, AVV_NOTAIO, deducendo con motivo unico, erronea applicazione dell’art. 3 CEDU e violazione dell’art. 27 Cost.
2.1. Secondo il ricorrente l’ordinanza sarebbe priva di motivazione quanto alle doglianze prospettate dal reclamante, relative ai profili trattamentali cosiddetti accessori.
Sotto tale profilo si segnalava l’assenza di adeguato sostegno psicologico durante il periodo della pandemia, le condizioni psicologiche pessime vissute, in completo isolamento, l’assenza di programmi trattamentali mirati al recupero sociale del detenuto.
Si fa riferimento, in particolare, alla circostanza che il ricorrente non ha partecipato ad alcuna attività trattamentale a causa della mancanza di proposta da parte della struttura.
Quanto alle dimensioni della cella, si afferma che il ricorrente si trovava, sempre insieme ad altro detenuto e in una cella detentiva con spazio calpestabile al di sotto di 3 metri quadrati, con arredamento composto da due brande, due bilancette grandi e tre piccole, con mancanza di aria e luce naturale.
Le celle, peraltro, sono indicate come sfornite di riscaldamento, perché guasto e si rimarca la mancanza di acqua calda in bagno, nonché la mancanza di acqua corrente, assicurata solo in alcune ore del giorno.
Infine, si segnala la condizione di umidità e muffa presente nella cella.
Si assume, pertanto, la lesione di diritti fondamentali del detenuto, con violazione dell’art. 27, comma 3, Cost. nonché del d.P.R. n. 230 del 2000 che disciplina nel dettaglio le condizioni di detenzione tali da assicurare che i servizi igienici siano muniti di acqua corrente, calda e fredda, e che le celle debbano essere illuminate con luce naturale o artificiale, in modo da permettere il lavoro e la lettura, areate e dotate di servizi igienici riservati e decenti.
Si assume, in definitiva, che la cella era divisa con altra persona, che questa consentiva uno spazio vivibile inferiore a tre metri quadrati e c:he non ricorrevano le condizioni per applicare i principi di cui alle Sez. U, ricorrente Commisso, posto che, nella specie, non vi erano letti a castello ma solo un letto singolo, per il quale l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità non è univoco.
Poiché deve essere considerato lo spazio di libero movimento, secondo il ricorrente, deve essere detratto dal computo lo spazio occupato dai letti singoli, i quali, comunque, sono arredi che non possono essere spostati in spazi diversi dalla cella.
Infine, si ribadisce l’assenza di acqua calda, di riscaldamento, la presenza di muffa e umidità in cella, con grave violazione dell’art. 3 CEDU per le condizioni di detenzione, non potendo il detenuto fruire di uno spazio minimo vitale, anche se superiore a mq. 4,15, per assenza di aria e insufficienza di luce elettrica.
3.11 Sostituto Procuratore generale di questa Corte, COGNOME. COGNOME, ha chiesto con requisitoria scritta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Va preliminarmente rilevato che l’art. 35-bis, connrna 4-bis, Ord. pen. prevede espressamente che il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per violazione di legge.
Vanno pertanto esaminate le sole doglianze prospe1:tate in termini di erronea applicazione di legge o di totale assenza di mo1:ivazione su punti essenziali della situazione dedotta, intendendosi per tale anche un percorso argomentativo meramente apparente o tale da risultare non comprensibile, tra cui vanno ricomprese le condizioni di sussistenza del trattamento inumano o degradante (Sez. 1, n. 52819 del 9/09/2016, Sciuto, Rv. 268231).
2.Tanto premesso, si osserva che il trattamento carcerario inumano è quello non solo nel quale l’offerta fa riferimento a spazi inferiori al mimino vital ma anche quello nel quale la costrizione a scontare la RAGIONE_SOCIALE avviene in condizioni materiali tali da provocare irragionevole sofferenza aggiuntiva e pericoli per la propria salute.
La giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. 1, n. 16116 del 27/01/2021, COGNOME, Rv. 281356; Sez. 1, n. 30030 del 11/09/2020, COGNOME, Rv. 279793) ha avuto modo di affermare che, in tema di rimedi ex art. 35-bis ord. pen., non è sufficiente, al fine di escludere la violazione dell’art. 3 CEDU, che la cella abbia dimensioni superiori a tre-quattro metri quadrati, dovendosi, altresì, tener conto delle ulteriori condizioni che possono rendere comunque degradante il trattamento detentivo (annullando nel primo caso citato, con rinvio l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di rigetto del reclamo del detenuto in regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen., per non aver valutato in una complessiva ottica multifattoriale – indipendentemente dall’ampiezza della cella, nella specie di gran lunga superiore ai quattro metri quadrati – altresì le ulteriori allegazioni del medesimo in ordine all’impossibilità di utilizzare l’acqua corrente per la presenza di arsenico ed alle precarie condizioni igieniche degli ambienti, in guisa da porle in correlazione con le concrete modalità detentive).
3.Tali essendo i principi generali cui il Collegio intende uniformarsi, si rileva che il ricorso, con riferimento all’entità dello spazio vitale assicurato detenuto, pone una prospettazione perplessa che, per tale ragione, si appalesa generica e, dunque, inammissibile.
Invero, da un lato, si confuta la computabilità del letto singolo ai fin dell’individuazione dello spazio minimo da assicurare al detenuto, assumendo che questo, detratto il mobilio, genericamente indicato (p. 4) è inferiore di gran lunga a tre metri quadrati.
Dall’altro, a p. 7 del ricorso, si indica detto spazio come pari a mq. 4,15 aggiungendo a tale dato numerico una serie di altri fattori negativi, rispetto alle condizioni di detenzione (acqua calda, riscaldamento, corrente elettrica mancanti, assenza di programma trattamentale), diversi dal dedotto sovraffollamento, che, comunque, integrerebbero il trattamento inumano in violazione dell’art. 3 CEDU.
Ad analoghe considerazioni si perviene quanto all’ulteriore profilo affrontato relativamente all’omessa esclusione, nel determinare lo spazio vitale assicurato al ricorrente, del letto singolo proprio del detenuto e del compagno di cella, ancorché non infissi al suolo, in quanto ingombranti, unitamente ad altri arredi, del pari indicati come presenti nella cella detentiva.
Non ignora il Collegio il problema interpretativo cui si riferisce il ricorrent quanto alla detraibilità dalla superficie utile dello spazio occupato dal lett singolo, non affrontato, invero, in alcuna parte dal provvedimento censurato.
Ciò a fronte della nota decisione, Sez. U, ricorrente Commisso, che ha risolto in senso positivo il quesito della detraibilità dei letti a castello, in te criteri di computo dello spazio vitale da assicurare ai detenuti e circa la necessità di detrarre, a tal fine, dalle dimensioni della cella collettiva, lo spazio occupato d detti arredi tendenzialmente fissi al suolo.
A tale pronuncia si affiancano quelle che hanno aderito all’indirizzo interpretativo secondo il quale, in relazione al letto singolo dei detenuti allocati cella collettiva, vi è la necessità di detrarre nel computo dello spazio vitale quello occupato dal letto del cd. concellino o, comunque, dei letti non suscettibili, per ingombro o peso, di facile spostamento da un punto all’altro della cella, tali da compromettere il movimento agevole del detenuto al suo interno (Sez. 1, n. 18760 del 20/12/2022, dep. 2023, Rv. 284510 – 01 nel senso che n tema di rimedi risarcitori ex art. 35-ter ord. pen. nei confronti di detenuti o internati fini della determinazione dello spazio individuale minimo di tre metri quadrati da assicurare affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti stabilito dall’art. 3 della Convenzione EDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, non deve essere computato lo spazio occupato dal letto singolo del soggetto ristretto, in quanto arredo tendenzialmente fisso al suolo, non suscettibile, per il suo ingombro o peso, di facile spostamento da un punto all’altro della cella e tale da compromettere il movimento agevole del predetto al suo interno; conf. Sez. 1, n. 21495 del 20/12/2022, dep. 2023, Rv. 284701 – 01).
Tuttavia, su tale specifico punto, il ricorso è generico posto che, a p. 4, fa riferimento ad uno spazio occupato da mobilio, non meglio specificato, tale da rendere quello fruibile dal detenuto inferiore a tre metri quadrati, senza però affrontare, specificamente, il tema con riferimento alla condizione in concreto sofferta dal detenuto per il periodo preso in esame ai fini della richiesta ex art. 35-ter cit.
In definitiva, su tale punto, non è specificamente chiarito se la questione posta attenga o meno, a mobilio da reputarsi di pari ingombro rispetto a quello di letti a castello, avendo il ricorrente fatto generico riferimento a mobilio, presente nella camera detentiva presso la Casa di reclusione, rappresentato da letti singoli e da non meglio descritti altri arredi indicati come fissi, comprese l mensole collocate al di sotto dell’altezza di 1,70 mt. (cfr. reclamo del 9 dicembre 2022, il quale fa riferimento generico a mensole – non indicate nel numero collocate al di sotto di metri 1,70 di altezza, nonché a letti singoli, del pari no
indicati nel numero né descritti per loro amovibilità o meno, ma segnalati come arredi preclusivi di spazio fruibile per il moto).
Da ultimo, si osserva che nel resto il ricorso è inammissibile perché si propongono ulteriori doglianze sulla – presunta – mancata valutazione di altri fattori negativi, diversi dal sovraffollamento, ma, comunque, idonei a configurare la violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti stabilito dall’art. della Convenzione EDU, riportandosi ad argomenti non dedotti dinanzi al Magistrato di sorveglianza in sede di reclamo e nemmeno al Tribunale e, come tali inammissibili, quali ad esempio le lamentate condizioni dei bagni, del sistema di aerazione e di illuminazione all’interno delle celle, di cui a P. 7 dell’impugnazione proposta in questa sede.
Segue alla pronuncia, la condanna alle spese processuali, nonché al pagamento dell’ulteriore somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, importo che si ritiene di determinare equitativamente, tenuto conto dei motivi devoluti.
P.Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15 novembre 2023
Il Consigli e estensore
Il Presidente