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Trattamento inumano in carcere: quando è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto che lamentava un trattamento inumano in carcere per le condizioni sofferte in un penitenziario milanese. La Corte ha stabilito che i motivi del ricorso erano generici e infondati. In particolare, ha confermato che disagi come orari ridotti fuori dalla cella o sovraffollamento delle aree comuni non costituiscono una violazione dell’art. 3 CEDU se viene garantito lo spazio minimo vitale di 3 mq pro capite e l’accesso ai servizi essenziali.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trattamento Inumano in Carcere: Quando un Ricorso è Inammissibile?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5799/2025, torna a pronunciarsi su un tema di grande attualità e delicatezza: la definizione dei confini del trattamento inumano in carcere. La decisione offre importanti chiarimenti sui requisiti di ammissibilità di un ricorso presentato da un detenuto e sulla differenza tra un grave pregiudizio ai diritti fondamentali e i semplici disagi legati alla vita detentiva. Analizziamo insieme questo caso per capire quali sono i criteri che la giurisprudenza segue per valutare queste situazioni.

I Fatti del Caso

Un detenuto ristretto presso il carcere di Milano San Vittore presentava un reclamo al Magistrato di Sorveglianza, chiedendo un risarcimento per il trattamento intramurario degradante che sosteneva di aver subito in un periodo di circa sei mesi (tra ottobre 2022 e aprile 2023). Il reclamo, basato sull’art. 35-ter della Legge sull’Ordinamento Penitenziario, veniva rigettato sia in prima istanza che, successivamente, dal Tribunale di Sorveglianza.

Il detenuto decideva quindi di ricorrere in Cassazione, affidando la sua difesa a tre motivi principali.

I Motivi del Ricorso e il Trattamento Inumano in Carcere

La difesa del ricorrente ha articolato l’impugnazione su tre argomenti distinti, che toccavano sia aspetti procedurali che di merito.

1. La Violazione del Contraddittorio

Il primo motivo lamentava un vizio procedurale: la mancata notifica del reclamo al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP). Secondo la difesa, questa omissione avrebbe violato il diritto al contraddittorio, rendendo nullo il procedimento.

2. La Mancata Assunzione di Prove

Con il secondo motivo, si contestava al Tribunale di Sorveglianza di non aver disposto ulteriori accertamenti istruttori. Il detenuto aveva messo in dubbio la veridicità delle informazioni fornite dalla direzione del carcere, ma il Tribunale aveva respinto la richiesta di approfondimento con una motivazione ritenuta troppo sintetica.

3. La Violazione dei Diritti Fondamentali

Il terzo e più sostanziale motivo denunciava la violazione diretta del diritto a una pena non contraria al senso di umanità (art. 27 Cost. e art. 3 CEDU). Le doglianze riguardavano disagi concreti: una cella di poco superiore ai 3 mq, la riduzione del tempo trascorso fuori dalla camera di pernottamento e altre problematiche generali della struttura. Si chiedeva, in sostanza, di disapplicare le circolari interne che limitavano le ore d’aria.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, fornendo una chiara interpretazione dei requisiti necessari per contestare le condizioni detentive.

Inammissibilità per Genericità e Infondatezza

La Corte ha respinto il primo motivo, chiarendo che l’omessa notifica al DAP, nel caso specifico, non costituisce una causa di nullità assoluta. Il principio di tassatività delle nullità impone che una sanzione così grave sia espressamente prevista dalla legge, cosa che qui non accade. Inoltre, l’istituto penitenziario era stato coinvolto e aveva fornito una relazione esaustiva, rendendo superflua un’ulteriore interlocuzione.

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile per genericità. La difesa non aveva specificato quali prove decisive sarebbero dovute essere assunte. La Corte ha sottolineato che i disagi lamentati (orari ridotti, salette affollate) non superano la soglia di gravità necessaria per configurare un trattamento inumano in carcere, ma rappresentano disagi non indifferenti che, tuttavia, non comportano una compressione grave e inaccettabile dei diritti fondamentali.

Infine, il terzo motivo è stato considerato una richiesta di rivalutazione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità. La Corte ha ribadito l’insegnamento delle Sezioni Unite (sent. n. 6551/2020): la presunzione di violazione dell’art. 3 CEDU scatta solo quando lo spazio individuale a disposizione del detenuto scende sotto i tre metri quadrati netti. Al di sopra di questa soglia, si presume la regolarità delle condizioni. Le problematiche generali del carcere, se non si traducono in una lesione specifica e personale di un diritto del singolo detenuto, non sono sufficienti per ottenere un risarcimento.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio cardine: il ricorso per cassazione per violazione di legge non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Il ricorrente deve dimostrare una chiara violazione di una norma giuridica o un vizio logico manifesto nella motivazione del giudice precedente, non semplicemente riproporre le proprie lamentele. Nel caso del trattamento inumano in carcere, la giurisprudenza ha ormai consolidato criteri precisi. Il superamento della soglia dei tre metri quadrati pro capite, unito alla fruizione di servizi essenziali (acqua calda, docce, assistenza sanitaria) e alla possibilità di svolgere attività fuori dalla cella, crea una presunzione di conformità alla normativa convenzionale. I disagi residui, pur reali, non raggiungono quel livello di afflittività intollerabile richiesto dall’art. 3 della CEDU per essere definiti ‘inumani’ o ‘degradanti’.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma che, per ottenere un risarcimento per condizioni detentive, non è sufficiente lamentare disagi generici o problematiche strutturali di un istituto penitenziario. È necessario provare una violazione grave, specifica e personale dei propri diritti fondamentali, dimostrando in modo concreto il superamento della soglia di tollerabilità. I ricorsi basati su doglianze generiche, non supportate da specifiche violazioni di legge e che mirano a una rivalutazione dei fatti, sono destinati a essere dichiarati inammissibili. La decisione serve come monito sull’importanza di formulare ricorsi tecnicamente precisi e giuridicamente fondati, evitando di confondere il giudizio di legittimità con un’ulteriore istanza di merito.

La mancata notifica di un atto all’Amministrazione Penitenziaria (DAP) in un procedimento per trattamento inumano rende nulla la decisione?
No, secondo la Corte di Cassazione, l’omessa notifica al DAP non è di per sé causa di nullità, in quanto non è specificamente prevista come tale dalla legge (principio di tassatività). Se l’istituto penitenziario locale è stato coinvolto e ha fornito informazioni complete, non si configura un pregiudizio concreto al diritto di difesa.

Quali sono i criteri per stabilire se le condizioni detentive costituiscono un trattamento inumano in carcere?
Il criterio principale è lo spazio individuale nella cella, che non deve essere inferiore a 3 metri quadrati netti. Se questa soglia è rispettata e vengono garantiti altri fattori compensativi (accesso a servizi, attività fuori dalla cella), si presume che le condizioni siano conformi alla legge. Altri disagi, come orari ridotti o sale comuni affollate, sono considerati rilevanti solo se raggiungono un livello di gravità eccezionale, tale da risultare intollerabili.

Un ricorso in Cassazione per trattamento inumano può basarsi su una generica lamentela sulle condizioni del carcere?
No. Il ricorso in Cassazione deve denunciare una chiara violazione di legge o un vizio logico della motivazione, non può limitarsi a una rivalutazione dei fatti già esaminati nei gradi precedenti. Motivi generici, che contestano l’andamento generale del carcere senza indicare una lesione specifica e personale dei diritti del ricorrente, vengono dichiarati inammissibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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