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Tratta di esseri umani: la Cassazione sulla tortura

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di tratta di esseri umani, tortura e sequestro a scopo di estorsione avvenuti in un campo di prigionia in Libia. Gli imputati, pur sostenendo di aver agito per coercizione, sono stati condannati. La Corte ha confermato la loro consapevole partecipazione all’associazione criminale, data l’inaudita ferocia delle loro azioni. Ha inoltre stabilito l’autonomia del reato di tortura rispetto al sequestro, escludendone l’assorbimento, e ha chiarito i contorni della fattispecie di tratta di esseri umani.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tratta di esseri umani: la Cassazione chiarisce i confini tra tortura e sequestro di persona

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 20726/2024) affronta un caso drammatico di tratta di esseri umani, tortura e sequestro a scopo di estorsione, offrendo importanti chiarimenti su complesse questioni giuridiche. La decisione analizza la posizione di due individui accusati di aver partecipato attivamente alle atrocità commesse in un campo di prigionia illegale in Libia, dove migranti venivano detenuti e seviziati per estorcere denaro alle loro famiglie.

I fatti del caso

Due cittadini stranieri sono stati condannati per aver fatto parte di un’associazione criminale dedita alla gestione di un campo di detenzione per migranti in Libia. All’interno di questa struttura, numerose persone venivano private della libertà personale e sottoposte a torture e vessazioni indicibili. Lo scopo era costringere i loro parenti a versare ingenti somme di denaro come prezzo per la liberazione e per il successivo viaggio verso l’Italia. Gli imputati avevano il compito specifico di carcerieri e torturatori, e mantenevano i contatti con le famiglie delle vittime.

Nei ricorsi in Cassazione, le difese hanno sostenuto che gli imputati non fossero partecipi volontari dell’associazione, ma a loro volta vittime, costrette a compiere tali atti sotto minaccia e coercizione psicofisica. Hanno inoltre contestato la configurabilità dei reati di tratta di persone e di tortura, chiedendo che quest’ultimo fosse considerato assorbito nel più grave reato di sequestro di persona a scopo di estorsione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente i ricorsi, confermando la condanna degli imputati. La sentenza si snoda attraverso l’analisi di tre punti giuridici fondamentali.

La partecipazione consapevole alla tratta di esseri umani

La Corte ha ritenuto infondata la tesi difensiva della coercizione e dello stato di necessità. Sebbene gli imputati si trovassero in un contesto ambientale difficile, le modalità delle loro azioni hanno rivelato una partecipazione consapevole e volontaria (affectio societatis). L’impressionante ferocia, le vessazioni gratuite e le violenze crudeli, anche quando non richieste, hanno dimostrato un’adesione al programma criminale che va ben oltre la condotta di una persona costretta ad agire per salvarsi. Un elemento decisivo è stato il fatto che i riscatti venivano ricevuti in patria proprio dai parenti degli imputati, a conferma di un ruolo attivo e non di mera vittima.

L’autonomia del reato di tortura rispetto al sequestro di persona

La Cassazione ha escluso che il reato di tortura potesse essere assorbito in quello di sequestro a scopo di estorsione. I giudici hanno sottolineato che le due fattispecie proteggono beni giuridici diversi e hanno strutture differenti. Il sequestro a scopo di estorsione non contiene tutti gli elementi costitutivi della tortura (violenze gravi, crudeltà, acute sofferenze fisiche o psichiche). Inoltre, nel caso specifico, le violenze non erano sempre e solo finalizzate a ottenere il riscatto, ma si protraevano anche dopo il pagamento, manifestando una crudeltà fine a se stessa e non meramente strumentale. Pertanto, i due reati concorrono e non si assorbono.

La configurabilità del reato di tratta di esseri umani

La Corte ha respinto anche la censura relativa al delitto di tratta di persone. La difesa sosteneva la mancanza dello scopo di sfruttamento. La Cassazione ha chiarito che l’art. 601 del codice penale prevede due condotte alternative. La prima, contestata nel caso di specie, riguarda chi recluta o introduce nel territorio dello Stato persone ridotte in schiavitù o servitù. In questa ipotesi, lo sfruttamento è insito nella condizione stessa di assoggettamento totale della vittima, la cui “reificazione” (riduzione a oggetto) ne costituisce di per sé lo sfruttamento. Non è necessario, quindi, un dolo specifico finalizzato a prestazioni lavorative o sessuali, essendo sufficiente il dolo generico di porre in essere la condotta.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una rigorosa applicazione dei principi del diritto penale. Per quanto riguarda la partecipazione all’associazione, la sentenza distingue nettamente tra un concorso occasionale in un reato e l’inserimento stabile in una struttura organizzata, caratterizzata da ruoli definiti, mezzi e un programma criminoso indeterminato. La ferocia dimostrata dagli imputati è stata interpretata come un chiaro indicatore della loro libera adesione agli scopi dell’organizzazione.

Sul rapporto tra tortura e sequestro, la Corte ha applicato il principio di specialità, escludendo l’assorbimento. La comparazione strutturale tra le due norme ha evidenziato l’assenza di un rapporto di continenza. La tortura punisce un “di più” di sofferenza che non è un elemento necessario del sequestro a scopo di estorsione. La crudeltà eccedente la finalità estorsiva rende le condotte autonome e quindi punibili in concorso.

Infine, sull’interpretazione della tratta di esseri umani, la Corte ha valorizzato l’evoluzione normativa, sottolineando come la riduzione in schiavitù, secondo la prima ipotesi dell’art. 601 c.p., integri di per sé una forma di sfruttamento, completando la fattispecie senza la necessità di provare un fine ulteriore.

Le conclusioni

La sentenza 20726/2024 della Corte di Cassazione consolida importanti principi in materia di crimini contro la persona e criminalità organizzata transnazionale. In primo luogo, stabilisce che la scriminante dello stato di necessità non può essere invocata quando la condotta è caratterizzata da una crudeltà sproporzionata e gratuita, che rivela una adesione volontaria al piano criminale. In secondo luogo, afferma con chiarezza l’autonomia del delitto di tortura, che non può essere banalizzato a mera modalità esecutiva di altri reati, ma tutela un bene giuridico specifico, la dignità umana, anche quando la vittima è già privata della libertà. Infine, offre un’interpretazione decisiva sulla fattispecie della tratta di esseri umani, riconoscendo che la riduzione di una persona allo stato di oggetto è, in sé, una forma di sfruttamento penalmente rilevante.

Un carceriere in un campo di prigionia, che a sua volta era stato prigioniero, può invocare lo stato di necessità per le torture inflitte ai detenuti?
No. Secondo la Corte di Cassazione, lo stato di necessità non è applicabile se la condotta è caratterizzata da una ferocia e una crudeltà sproporzionate e gratuite. Tali comportamenti dimostrano una consapevole adesione al programma criminale e non un’azione compiuta al solo fine di salvare sé stessi da un pericolo.

Il reato di tortura viene assorbito da quello di sequestro di persona a scopo di estorsione se le violenze avvengono durante la prigionia?
No. La Corte ha stabilito che il reato di tortura è autonomo e non viene assorbito dal sequestro. I due reati tutelano beni giuridici diversi e la tortura implica elementi (violenze gravi, crudeltà) non necessari per il sequestro. Se le violenze sono eccessive rispetto allo scopo estorsivo o continuano anche dopo il pagamento del riscatto, i due reati concorrono.

Per configurare il reato di tratta di esseri umani è sempre necessario dimostrare che lo scopo finale era lo sfruttamento lavorativo o sessuale?
No. La Cassazione ha chiarito che la norma sulla tratta di persone (art. 601 c.p.) prevede una prima ipotesi in cui il reato si perfeziona con la semplice condotta di reclutare o trasportare persone che si trovano già in stato di schiavitù o servitù. In questo caso, lo sfruttamento è considerato implicito nella condizione di totale assoggettamento della vittima, e non è richiesto un dolo specifico finalizzato ad ulteriori forme di sfruttamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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