Trasporto stupefacenti: quando l’autista è complice?
Il semplice ruolo di autista in un’operazione di trasporto stupefacenti è sufficiente a provare la complicità nel reato? Un’ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su come indizi quali il tentativo di fuga e il comportamento successivo possano fondare una condanna per concorso in spaccio, anche quando un altro soggetto si è già assunto la piena responsabilità dei fatti. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Un uomo veniva condannato in primo e secondo grado per detenzione con finalità di spaccio di un ingente quantitativo di marijuana (dodici chilogrammi), in concorso con un altro soggetto. L’imputato, che fungeva da autista del veicolo utilizzato per il trasporto, presentava ricorso in Cassazione sostenendo l’insufficienza e l’equivocità degli indizi a suo carico. A suo dire, la sua unica condotta era stata quella di guidare, mentre il coimputato aveva già ammesso di essere l’unico responsabile. Inoltre, contestava la legittimità della confisca di una somma di denaro trovata in suo possesso, non essendo provato che fosse il provento del reato.
La Decisione della Corte sul trasporto stupefacenti
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna inflitta nei gradi di merito. Secondo gli Ermellini, i motivi presentati dall’imputato erano manifestamente infondati, generici e riproponevano censure già correttamente esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. La decisione si basa su una valutazione logica e coerente degli elementi indiziari, ritenuti sufficienti a dimostrare la piena consapevolezza e il contributo causale dell’autista al reato.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha ritenuto che il ragionamento del giudice di merito fosse immune da vizi logici. La consapevolezza dell’imputato, pur non provata direttamente, è stata logicamente desunta attraverso un ragionamento presuntivo basato su una serie di elementi gravi, precisi e concordanti.
Innanzitutto, il ruolo stesso di conducente in un’operazione così delicata come il trasporto di un carico illegale di oltre dodici chilogrammi è stato considerato un primo, forte indizio. Difficilmente, secondo la Corte, un compito del genere verrebbe affidato a una persona inconsapevole della natura della merce trasportata.
In secondo luogo, il comportamento tenuto dall’imputato al momento dell’intervento delle forze dell’ordine è stato decisivo: il suo tentativo di darsi alla fuga è stato interpretato come un chiaro segnale di coscienza sporca e di piena consapevolezza dell’illegalità dell’operazione. A questo si aggiunge un ulteriore dato comportamentale: l’atteggiamento reticente tenuto in carcere di fronte alle richieste di chiarimenti da parte di un familiare.
Per quanto riguarda la confisca della somma di denaro, la Cassazione ha chiarito che non era stata disposta in quanto profitto del reato, ma in applicazione dell’art. 240 bis del codice penale. L’imputato, pur risultando titolare di un’azienda, non aveva dichiarato redditi e non era stato in grado di fornire alcuna giustificazione plausibile sulla provenienza del denaro. Tale sproporzione ha quindi legittimato la misura ablativa.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di reati di droga e, in particolare, di trasporto stupefacenti: la prova della colpevolezza può essere raggiunta anche attraverso elementi indiziari, purché questi siano gravi, precisi e concordanti. Il giudice può utilizzare il ragionamento presuntivo per inferire la consapevolezza dell’imputato da fatti noti e provati, come il suo comportamento complessivo. La fuga, in questo contesto, assume il valore di un potente indizio di colpevolezza. Infine, la decisione conferma la severità dell’ordinamento nei confronti dei patrimoni di origine illecita o ingiustificata, legittimando la confisca per sproporzione anche quando non sia dimostrato un nesso diretto con lo specifico reato per cui si procede.
Essere l’autista in un trasporto di droga significa essere automaticamente complice?
No, non automaticamente. Tuttavia, secondo questa ordinanza, il ruolo di autista, unito ad altri indizi gravi, precisi e concordanti come il tentativo di fuga all’arrivo della polizia e l’assenza di spiegazioni plausibili, è sufficiente per dimostrare la consapevole partecipazione al reato.
Se un complice confessa e si assume tutta la colpa, l’altro può essere assolto?
Non necessariamente. La confessione di un coimputato non esclude automaticamente la responsabilità degli altri. Il giudice deve valutare tutte le prove disponibili, e se altri elementi (come in questo caso il comportamento dell’autista) indicano una partecipazione consapevole, la condanna è comunque possibile.
Perché è stata confiscata una somma di denaro all’imputato se non era dimostrato che provenisse da quello specifico reato?
La confisca non è avvenuta in quanto profitto del reato contestato, ma ai sensi dell’art. 240 bis del codice penale. Questa norma permette di confiscare beni di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato, quando l’imputato non è in grado di giustificarne la legittima provenienza.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33781 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33781 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/11/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha riconosciuto COGNOME NOME colpevole del reato di detenzione con finalità di cessione di sostanza stupefacente del tipo marijuana (dodici chilogrammi) in concorso e lo aveva condannato alla pena di giustizia.
Il ricorrente deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla affermazione di responsabilità nei suoi confronti oltre ogni ragionevole dubbio, quale concorrente del KOLA che aveva riconosciuto la propria responsabilità per i fatti in oggetto, assumendo la equivocità degli indizi indicati a sostegno della sua condotta partecipativa quale autista della vettura dove era stato caricato lo stupefacente e per il fatto di avere tentato di darsi alla fuga quando erano intervenute le forze dell’ordine. Con una seconda articolazione assume difetto d motivazione in relazione alla confisca della somma di denaro rinvenuta in suo possesso, ai sensi degli art.85 bis dPR 309/90 e 240 bis cod.pen.
Ebbene, ritiene il Collegio che i motivi sopra richiamati siano manifestamente infondati in quanto in fatto, generici, privi di confronto con la decisione impugnata, non scanditi da necessaria critica alle argomentazioni poste a fondamento della decisione (Cass., sez. U, n.8825 del 27/10/2016, COGNOME), sprovvisti di analisi censoria degli argomenti posti a fondamento del giudizio di responsabilità del ricorrente e ripropositivi di censure adeguatamente esaminate dal giudice distrettuale e disattese con giudizio logico non suscettibile di ulteriore sindacato.
Il ragionamento sviluppato dal giudice distrettuale risulta coerente con le risultanze processuali in quanto la motivazione non è contraddittoria né manifestamente illogica nel riconoscere il contributo agevolativo del COGNOME, quale conducente dell’autovettura che avrebbe dovuto caricare lo stupefacente e portarlo a destinazione, così da potersi escludere che il correo gli avesse assegnato tale compito senza renderlo edotto della natura del contenuto del collo da trasportare, anche in ragione delle cautele da osservare e del percorso da seguire; tale inferenza, che costituisce espressione non illogica del ragionamento presuntivo riservato al giudice del merito, è poi confortata dal fatto che il COGNOME ebbe a tentare la fuga non appena si palesarono gli agenti di PG e dall’ulteriore dato del comportamento tenuto presso l’istituto di detenzione a fronte della richiesta di chiarimenti sul possesso dello stupefacente rivoltagli dal congiunto. Una volta accertato, mediante il ragionamento per presunzioni, che il COGNOME era consapevole della natura del carico (del peso di oltre tredici chilogrammi), risulta essersi concretizzata la fattispecie del reato di trasporto
dello stesso nonché di rafforzamento del proposito criminoso del Kola qualora quest’ultimo ne fosse l’unico destinatario.
Manifestamente infondata è la censura concernente la confisca della somma di denaro che non è intervenuta in quanto profitto o provento di attività illecite, come prospetta la difesa del ricorrente ma, con riferimento all’art.240 bis cod.pen., per non avere il COGNOME fornito alcuna giustificazione della sua provenienza e, al contempo dal fatto che l’imputato risultava privo di fonti reddituali in quanto, pure titolare d un’azienda, non aveva dichiarato alcun ricavo.
Evidenziato che all’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende che, avuto riguardo al palese carattere dilatorio del ricorso e alla palese inammissibilità del ricorso, appare conforme a giustizia stabilire nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 10 luglio 2024
Il Consigliere estensore
Il re ‘dente